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Problemi e riflessioni (a cura di Lara Parisella) . Anno V, n. 49, settembre 2011

Zoom immagine Ancora i popoli
più indifesi vittime
della violazione
dei diritti umani

di Angela Galloro
Da Ega editore: documenti-denuncia
redatti da Amnesty International


Amnesty International, famosa organizzazione non governativa indipendente, si occupa di tutelare i diritti umani nell’intero pianeta, e ha difeso per decenni, in ogni angolo del mondo, le popolazioni oppresse da crisi economiche e situazioni politiche drammatiche.

I due opuscoli che presentiamo fanno parte di una serie di piccoli documenti redatti dall’associazione che la casa editrice Ega ha pubblicato qualche anno fa e che denunciano le condizioni più disagiate di alcuni paesi, ma soprattutto di alcune categorie. Amnesty, infatti, si impegna da anni a combattere le discriminazioni di natura razziale, sessuale, religiosa e di ogni genere. Ognuno di questi documenti – molto brevi ma anche molto ricchi di dati, statistiche, informazioni – presenta al suo inizio un Editoriale scritto, sotto forma di lettera, dal presidente della sezione italiana di Amnesty, Paolo Pobbiati, il quale si rivolge in modo confidenziale al lettore spiegando il contenuto della denuncia, anche attraverso un preciso riepilogo storico.

 

Una guerra lunga più di sessant’anni

Sopravvivere sotto assedio. Violazioni dei diritti umani dei palestinesi nei Territori Occupati (Ega editore, pp. 32, € 4,00) racconta le pericolose conseguenze dell’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele, dopo il conflitto che ha visto insanguinare parte del Medio Oriente per decenni. La legittimità dello stato di Israele vale tutti i diritti umani costantemente negati ai civili? I dati sono inquietanti: in soli cinque anni hanno perso la vita quasi cinquemila persone tra cui moltissimi bambini.

La popolazione palestinese si trova ad essere «prigioniera in casa propria» dove le viene impedita persino la libertà di movimento, a causa dei numerosi insediamenti israeliani nei cosiddetti Territori Occupati che comprendono la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Si tratta di luoghi continuamente sottoposti a raid aerei, bombardamenti, conflitti armati che coinvolgono per lo più i civili. La distruzione di infrastrutture, la confisca continua di terre e attività hanno bloccato la società palestinese dal punto di vista economico, i numerosi coprifuoco e blocchi stradali l’hanno poi limitata sotto tutti gli altri aspetti, impedendo non solo i collegamenti con ospedali, scuole e molti altri servizi, ma anche l’approvvigionamento di acqua, risorsa indispensabile. La società palestinese è uscita dal conflitto (e dal ritiro delle truppe israeliane nel 2005) privata di ogni possibilità di ripresa: soprattutto perché la categoria più colpita risulta essere quella delle donne. Amnesty dedica più di una pagina della sua denuncia alle terribili pressioni, violenze, intimidazioni alle quali sono sottoposte le ragazze e le donne sposate dai tempi dell’occupazione; si tratta di una condizione psicologica opprimente dovuta anche a impedimenti pratici come la possibilità di partorire negli ospedali. Il divieto di passaggio imposto dai militari nelle zone occupate vieta alle partorienti di raggiungere strutture sanitarie adeguate e moltissime sono le morti dei neonati al momento della nascita.

I permessi per il passaggio attraverso la propria terra devono essere rilasciati ai palestinesi dai militari israeliani e quindi costantemente negati. Oltre a ciò sono tantissimi e terribili gli episodi di violenza perpetrati dal regime militare che vige in quei territori.

Ci troviamo davanti a persone che per decenni hanno visto negati i propri elementari diritti all’educazione, alla casa, al lavoro, alla libertà personale, sulla base della propria identità, “in quanto palestinesi”, poiché come tali sono considerati una potenziale minaccia, pure senza che abbiano commesso personalmente reati di qualche tipo. Persino l’istruzione, necessaria affinché la popolazione giovane possa acquisire consapevolezza della situazione storica in cui vive, è completamente negata. Le strutture sono irraggiungibili e anche dover percorrere qualche chilometro costituisce un imminente pericolo di vita. A questo si aggiunge una lacerazione sociale ulteriore: la Legge sulla riunificazione delle famiglie, che impedisce l’unione familiare di uomini israeliani sposati con donne palestinesi e viceversa. Le famiglie sono costrette alla clandestinità e le donne, in particolare, al tragico ruolo subordinato e vittima di sopruso continuo.

A tutto ciò si aggiungono le violenze perpetrate dai guerriglieri sul proprio popolo: bambini usati come scudi umani contro le incursioni israeliane ed esecuzioni sommarie prive di processo per i sospettati di “collaborazionismo”. Tali violazioni, insieme a quelle commesse dalla potenza occupante, che come si è detto sopra costringe all’immobilità la popolazione palestinese, sono quello che Amnesty si propone di combattere, sulla base di atti istituzionali come la Quarta convenzione di Ginevra sui diritti umani.

Il libretto in questione è stato pubblicato nel 2005: da allora poco è cambiato, se proprio un giovane volontario italiano, Vittorio Arrigoni, che da anni si batteva per aiutare la popolazione palestinese, è stato ucciso lo scorso 14 aprile dai militanti salafiti nella Striscia di Gaza. I rischi ai quali vanno incontro queste associazioni umanitarie non fanno altro che confermare drammaticamente il loro concreto aiuto di difesa e tutela.

 

Dalla rivoluzione alla repressione

Il secondo opuscolo di cui parliamo, pubblicato nello stesso anno del precedente, si occupa dell’Estremo Oriente, in particolare della Cina, un paese che di recente ha conosciuto uno sviluppo economico profondo, che purtroppo però, non ha cancellato una torbida gestione della cosa pubblica. Da Tian An Men a oggi. Violazioni dei diritti umani in Cina (Ega editore, pp. 32, € 4,00) testimonia questo squilibrio proprio in occasione del sedicesimo anniversario dei fatti di piazza Tian An Men (come scrive il presidente di Amnesty in apertura al fascicolo), quando migliaia di studenti si riunirono nella celebre piazza di Pechino per protestare contro il Partito comunista e il suo spietato conservatorismo.

Tuttora le cose non sono cambiate di tanto quanto a diritti umani: anzi, la repressione impedisce qualsiasi possibilità di azione per migliorare le condizioni del popolo cinese, per una riforma del governo, ma soprattutto della giustizia. I processi non risultano coerenti con gli standard internazionali, il diritto di difesa risulta molto limitato, le confessioni estorte sotto tortura vengono considerate prove e la detenzione viene decretata sulla base di provvedimenti amministrativi.

Le violenze inflitte dalle forze dell’ordine, descritte dal documento di Amnesty, sono spaventose, impensabili al giorno d’oggi in un paese che ha avuto «tassi di crescita economica incredibili». I reati di “separatismo”, “sovversione”, “spionaggio” e “furto di segreti di stato” permettono alle autorità di deliberare esecuzioni immediate. Non solo la pena di morte è contemplata dallo stato, ma se ne abusa in modo raccapricciante: sono addirittura state disposte unità mobili per rendere rapide le esecuzioni attraverso iniezione letale anche per reati “minori” come la detenzione e lo spaccio di stupefacenti. Per non parlare della libertà religiosa, del tutto inesistente. Gli appartenenti al comune credo del Falun Gong rischiano quotidianamente maltrattamenti e abusi sessuali se si rifiutano di rinunciare al loro credo: una simile repressione è avvenuta su scala esponenzialmente maggiore in Tibet dove gli indipendentisti, accusati di sovversione, sono stati perseguitati per non aver rinnegato il Dalai Lama, il leader tibetano in esilio. Qualcosa di simile avviene anche nella regione autonoma dello Xinjiang: qui gli uiguri, che formano il gruppo etnico di maggioranza e di origine non cinese, subiscono continue violazioni dei propri diritti. Ma ogni giorno e nei più comuni aspetti della vita quotidiana la popolazione cinese continua a veder calpestati i propri diritti: gli arresti arbitrari sono applicati anche agli attivisti politici, o a semplici utenti di internet, colpevoli di aver fatto circolare informazioni politiche delicate. Un paese sulla via della ricchezza, ma totalmente incivile e inadeguato nel campo dei diritti umani, dove il proibizionismo alimenta un giustizialismo del tutto superficiale.

 

La conoscenza che diventa attivismo

Grazie a questi opuscoli documentari, ricchi di informazioni di carattere giornalistico e fonti accreditate, è possibile conoscere tutti gli aspetti “oscuri” degli eventi internazionali contemporanei e c’è l’opportunità, per chi volesse, di diventare un sostenitore di Amnesty, in diverse modalità, come è indicato nelle ultime pagine. L’aspetto divulgativo, aiutato anche da numerose fotografie particolarmente suggestive scattate nei luoghi di crisi, è importante per la sensibilizzazione dei lettori che necessitano di un’analisi approfondita, come questa, su questioni particolarmente delicate.

 

Angela Galloro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 49, settembre 2011)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
Progetto grafico a cura di: Fulvio Mazza ed Emanuela Catania. Realizzazione: FN2000 Soft per conto di DAMA IT