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A. XVIII, n. 200, maggio 2024
Una favola che propone
ai lettori le avventure
fantastiche di Giorgetto
e il suo camaleonte Rito
di Daniela Vena
Risucchiati da un quadro magico, i due protagonisti del racconto
vengono sbalzati in un mondo di meraviglie. Da Falzea editore
Le favole rappresentano da sempre quel luogo fantastico, sospeso tra sogno e realtà, in cui gli adulti e i bambini s’incontrano. Leggere un libro di favole è un’occasione preziosa per allontanarsi dagli opprimenti doveri quotidiani e ripercorrere quei sentieri, ormai lontani, dell’infanzia. Le favole, infatti, hanno il potere speciale di dare un senso di libertà, l’impressione di poter fare ciò che la vita reale non permette.
L’avventura di Giorgetto e del suo amico camaleonte Rito iniziò al museo, di fronte al quadro che ritrae S. Giorgio e il drago. I due amici rimasero imbambolati a guardare i soggetti della tela: San Giorgio, un bellissimo cavaliere biondo che, sul suo destriero bianco, impugnava una lancia dorata che stava per trafiggere il drago; e il mostro, un essere gigantesco tutto verde, con due paia d’ali simili a quelle dei pipistrelli, ma altrettanto grandi. Il bambino, protagonista di San Giorgio e il Drago (Falzea editore, pp. 32; € 10,00) conosceva la leggenda di S. Giorgio che uccise il drago per liberare la principessa, tuttavia più guardava il quadro più si convinceva che il santo non avrebbe ucciso il mostro, piuttosto l’avrebbe addomesticato. Guardando Rito affermò che quel drago poteva essere un suo antenato e perciò lui stesso un discendente di S. Giorgio: del resto avevano lo stesso nome ed erano entrambi biondi e con gli occhi azzurri! Mentre parlava al suo amico, Giorgetto ebbe come l’impressione che il santo lo stesse osservando. Scendeva la sera e il museo doveva chiudere. Uscendo dalla sala, Rito vide il drago sorridere. Quando furono all’uscita, Erode, il custode del museo, chiuse l’enorme portone. Percorrendo la strada di ritorno, Giorgetto e Rito continuavano a pensare a quell’incredibile avventura che contrapponeva l’impavido eroe al mostro. Il pomeriggio seguente i due tornarono al museo, con l’intento di restare dopo la chiusura. In piedi davanti al quadro fissavano i propri eroi. Era quasi il tramonto, quando i due amici si nascosero dietro un muretto e, dopo che Erode spense tutte le luci, si appostarono davanti al dipinto. Giorgetto e Rito sentivano delle voci: erano S. Giorgio e il drago che li invitavano ad andare nei loro mondi incantati, per vivere delle avventure irripetibili. Rito accettò subito e, salito sul drago, vide la terra diventare piccolissima. Erano giunti nei mari di «Nonsodove» quando Rito scorse «l’isola dei facoceri impalati». Il drago raccontò al camaleonte che i facoceri, piantati nel terreno, giocavano una partita di palla a volo che non finiva mai. I loro amici più fidati erano i pellicani che, oltre a trasformarsi in palla, li nutrivano e sugli spalti facevano un tifo sfrenato. Giorgetto intanto cavalcava insieme a S. Giorgio. Ad un certo punto giunsero davanti ad un castello con dodici strane torri, ognuna delle quali aveva due entrate: su una c’era la lettera A e sull’altra
La ricchezza della favola
Molto probabilmente, il piacere d’imbastire racconti è nato insieme all’uomo. L’origine delle favole è antichissima, diverse fonti sostengono che esse risalgano ai miti e ai riti primordiali. Prima tramandate a voce nella lunga corsa dei secoli, poi perfezionate secondo le strutture narrative, perdurano grazie al piacere simmetrico del raccontare e dell’ascoltare, ma soprattutto derivano dall’umana necessità d’espressione. La favola, scritta in prosa o in versi, è un racconto fantastico, d’intento morale, il cui intreccio in genere narra la storia di un eroe positivo che vive, in un tempo indeterminato, delle avventure fantastiche, magari salvando una principessa. Gli studiosi della materia, hanno dimostrato che tutti gli elementi delle favole sono simboli della vita dell’uomo e che rappresentano l’eterno tentativo di quest’ultimo di realizzare il bene e la felicità. Per questo motivo esse sono una sorta di tesoro che ogni popolo ha custodito gelosamente e che serviva ad educare le giovani generazioni, a trasmettere loro i valori, il modo di stare insieme, di vivere la gioia e il dolore, la nascita e la morte.
La favola condensa in sé fantasia e pedagogia, ma più d’ogni altra cosa possiede la multiforme ricchezza di guidare il bambino alla scoperta della propria identità. Il significato profondo della favola è diverso per ogni persona, e diverso per la stessa persona in momenti differenti della propria vita.
C’è qualcosa di magico ed inafferrabile, tale per cui le sue capacità suggestive sfuggono a tutti i controlli della ragione. Sarà forse per questo che la favola, sciogliendo le ali della fantasia, sembra non finire mai, alimentata dall’immaginazione dell’ascoltatore del momento.
Un linguaggio semplice
In San Giorgio e il drago la scelta di un linguaggio molto semplice, insieme con una storia lineare, introduce in una dimensione allegra e giocosa. Ciascun personaggio colpisce per la grinta e per la purezza d’animo, rappresentando virtù che la realtà offusca. Nella favola troviamo l’impavido eroe, il mostro dal cuore tenero, la spontaneità del camaleonte, la curiosità del bambino e la capacità di non arrendersi mai in mago Merlino come in in re Artù. L’intento morale del racconto insegna ai giovani lettori l’importanza dell’amicizia, dell’astuzia e del coraggio, regalando infine uno degli insegnamenti più importanti: leggere è bello!
Daniela Vena
(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 47, luglio 2011)
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi