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Biografie (a cura di Fulvia Scopelliti) . Anno V, n. 47, luglio 2011

Zoom immagine L’utopia sanguinaria
degli Anni di piombo
torna alla memoria
di un romanzo-verità

di Elena Montemaggi
Da Iacobelli il turbinio del ’68
rivisitato da un’ottica problematica
con amare e profonde riflessioni


«Perché a vent’ anni è tutto ancora intero, perché a vent’anni è tutto chi lo sa, a vent’anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell’età, oppure allora si era solo noi non c’entra o meno quella gioventù: di discussioni, caroselli, eroi quel ch’è rimasto dimmelo un po’ tu... ». Così riassumeva Francesco Guccini nella sua Eskimo, lo spirito di un sessantottino a distanza di anni dalla contestazione. Quello che restava dei propri ideali e della lotta politica; speranze e delusioni e di come veniva vissuto l’amore in quel periodo. Sulle note di questa canzone potrebbe concludersi il romanzo scritto da Mariano De Simone Una rivoluzione a metà (Iacobelli, pp. 128, € 12,00), in cui tra storie vissute, immaginate e romanzate si rivive uno spaccato degli Anni di piombo e l’ambizione crescente di una generazione determinata a realizzare i propri sogni. Mariano De Simone, come il protagonista del romanzo, è laureato in Fisica all’università di Roma, ha insegnato nelle scuole superiori e coltivato contemporaneamente la propria passione per la musica tradizionale americana che lo ha portato ad esibirsi a lungo al “Folk Studio” di Roma, a scrivere saggi e infine ad offrire la propria consulenza musicale a Martin Scorsese per il film Gangs of New York.

 

Eskimo, Pitrentotto e sogni di piombo

Strano come in questo romanzo siano i simboli a scandire il tempo e gli avvenimenti. Le date vengono bandite completamente, quasi a non voler conferire ai fatti realmente accaduti un aspetto documentaristico, cronologico; così come l’io narrante non possiede identità, anch’egli sprovvisto di documenti, non rintracciabile. In questo modo può guardarsi indietro e farsi testimone di un’epoca, di un periodo storico recente ma in realtà sconosciuto, vittima del presbitismo con cui siamo abituati a “vedere” gli eventi che più ci appartengono e maggiormente ci coinvolgono. L’eskimo, dunque, contraddistingue l’inizio di quegli Anni di piombo che, nel tentativo mancato di smuovere un paese, finiranno col paralizzarlo completamente; una “non-divisa” delle università occupate da un movimento studentesco che reagiva alla chiusura del sistema, e che a sua volta era nel mirino di giovani reazionari di estrema destra. Quel movimento che inevitabilmente prese «le distanze dalle associazioni studentesche tradizionali e dai nuclei di iscritti ai partiti della sinistra che cercavano di cavalcare la tigre, inserendosi nel movimento e approfittando dell’appoggio dei gruppi, controllandone al tempo stesso gli estremismi. Un meccanismo complesso nel quale non tutto è chiaro» e che, nel 68, darà il via al primo caso di scontro violento contro le forze dell’ordine: i cosiddetti scontri di Valle Giulia.

Le spinte autonomistiche portarono al distacco dalla sinistra ufficiale, dalle sue organizzazioni giovanili e dai gruppi storici della sinistra extraparlamentare, si acuirono sempre di più i contrasti tra i gruppi che agivano all’interno delle università e le strutture politiche e sindacali ufficiali. Nel corso di un decennio si registrò una divisione delle forze della sinistra, che portarono al “movimento del 77” in cui si contestava duramente la politica del compromesso storico e l’abbandono da parte del Pci dell’opposizione di classe al potere borghese. La rottura col partito si manifestò a Roma con “la cacciata di Lama” dall’Università “La Sapienza” poiché «partito e sindacato erano venuti con l’intenzione di mostrare al governo un volto garantista e legalista», l’atteggiamento del sindacato adesso era di aggressione verbale e fisica e «Lama non l’ama più nessuno».

In questo clima si cominciavano a delineare frange autonome pronte allo scontro, si gridava all’esproprio proletario, all’autoriduzione. Chi si racconta cominciava a porsi domande poiché sentiva forte l’esigenza di reagire all’oppressione del sistema, a metodi polizieschi spesso brutalmente repressivi; rigettava l’idea del compromesso e ora cercava una via immediata e diretta per farsi sentire; non sopportava più la sensazione di impotenza di fronte alla contraddizione di non riuscire a coniugare la voglia di cambiamento con la legalità. Quasi inconsapevolmente non si oppose alla frangia violenta, imboccando una strada senza uscita ma non senza dubbi e sensi di colpa: «è armandoci che riusciremo a rendere più forte il movimento? Non abbiamo voluto appoggiarci alle strutture del partito esistenti, non abbiamo voluto sforzarci di cambiarle da dentro. […] Non ci siamo dissociati apertamente quando le armi hanno cominciato a circolare nel movimento. […] È un punto di non ritorno». Ora l’eskimo attirava troppa attenzione; chi nascondeva una Pitrentotto e dava vita a cellule autonome non doveva dare nell’occhio «al bando eskimo e jeans, ben vengano discreti abiti borghesi». La lotta armata era avviata, ma la sua forza non abbatteva i dubbi: «sono combattuto tra problemi di coscienza, insoddisfazione, assenza di obiettivi concreti e immediati […] non riesco più a far quadrare ideologia e pratica politica. […] Ho voglia di tornare a vivere una vita normale».

E alla vita normale tornerà poiché come diceva Kafka: «ogni rivoluzione evapora, lasciando dietro solo la melma di una nuova burocrazia».

 

Amici, compagni, donne e femministe

Amici e “compagni” si avvicendano per tutto il romanzo, persone con le quali il protagonista condivide lunghi percorsi o brevi fasi della vita; rapporti a volte profondi, altri superficiali o indecifrabili, spesso vissuti nel contesto politico o mediati dalla musica, elemento che accompagna tutto il romanzo. Musica come droga, musica e droga, musica e donne. Donne di una sera, donne di altri, donne più o meno importanti. «Credo di avere provato l'amore, almeno una volta, è stato un brivido di buio in una stanza d’affitto, è stato trovare il fondo di una morte felice e la disperata allegria di non servire a niente, e lacrime e risate e l’intenso di carezze più pure», come Claudio Lolli in Donna Di Fiume anche il nostro protagonista credeva di aver trovato l’amore, ma forse fu solo la storia più duratura tra le tante poiché l’amore non vuole regole né camere separate, né tantomeno imbrigliamenti politici o femministi. Politica e amore possono anche deludere, ma la musica resta una compagna fedele, quella musica folk americana che lo vede esibirsi più volte là dove il protagonista si fonde con chi scrive la storia: il “Folk Studio” di Roma.

 

Elena Montemaggi

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 47, luglio 2011)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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