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A. XVIII, n. 198, marzo 2024
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Civiltà letteraria (a cura di Angela Galloro)

Zoom immagine Un amaro graphic novel
e le sue corali avventure
nella solitudine urbana
di pagine malinconiche

di Guglielmo Colombero
Frammenti di vita raccontati da Tunuè attraverso i simbolici disegni
di Niccolò Storai e i dialoghi rotti e discontinui di Andrea La Provitera


«Ogni città è un essere vivente, ha un’anima, un corpo e un cuore pulsante. A volte il cuore è nascosto all’interno di qualche insegna luminosa che funziona a intermittenza, proprio come le persone. Altre volte è quasi perso, dimenticato in un angolo della periferia, solo come la gente che cammina per la strada senza nemmeno sollevare lo sguardo da terra». Questo è l’incipit del graphic novel Quartieri, incluso nella collana Prospero’s Books. Gli autori sono Andrea Laprovitera, radiologo umbro con la passione per il fumetto e la letteratura, che ha già pubblicato diversi graphic novel (Il maestro con Tunué, Sonny & Sambo con la francese Editions Clair de Lune, Il treno con Rizzoli Lizard) e Niccolò Storai, fumettista e animatore toscano, illustratore dei libri per l’infanzia L’imbuto di latta di Paolo Seganti (Masso delle Fate) e C’era una volta un mercante di Margherita Romagnoli (Piano B), docente presso il Centro per l’Arte contemporanea “Luigi Pecci” di Prato e tra i fondatori dello studio di animazioni televisive Dramph. Laprovitera definisce il libro (Tunué, pp. 112, € 12,50) «una specie di Spoon River dei vivi», in cui «i protagonisti si succedono passandosi il testimone e restano in scena solo il tempo necessario per raccontare il proprio scorcio di vita». Le tonalità del bianco e nero tratteggiate da Storai sono cupe e quasi fuligginose, e i suoi disegni sembrano voler esprimere con plasticità vagamente naïf il triste degrado urbano di un’anonima e rassegnata periferia.

Dalla finestra di un monolocale, una ragazza dalla figura esile e dai grandi occhi densi di malinconia osserva il volo solitario di un aquilone a forma di testa di coniglio. Un giovane pony express extracomunitario incaricato di consegnare pizze a domicilio sbaglia indirizzo e suona alla porta della ragazza, che lo accoglie ugualmente e finisce per mangiare la pizza insieme a lui. La visuale si sposta sul pensionato che occupa il parcheggio lasciato libero dallo scooter del giovane maghrebino. Dialoga a lungo con la fotografia della moglie scomparsa prima di passare il testimone a Baldo, un suo vicino di casa, impiegato in una fabbrica, che assiste a un infortunio e che, al suo ritorno incrocia Michele, aspirante musicista che si adatta alle mansioni di uomo delle pulizie canticchiando le strofe di Free as a Bird dei Beatles diffusa dalla radio. Le note che volteggiano attraverso le finestre conducono dentro l’alloggio di una coppia infelice e rancorosa, che attende di ricevere i suoceri di lei: la donna paragona la propria esistenza a uno specchio infranto, ma di fronte alla quieta armonia dei due vecchi ospiti si rende conto, e il suo compagno con lei, che forse sarà possibile ritrovare un po’ di serenità affrontando insieme le avversità. Per strada i due anziani incrociano una giovane madre che rientra a casa: è separata da un marito che continua a importunarla nonostante il divieto del giudice, e nel corso di un alterco, lui le assesta uno schiaffone in pieno volto, per poi ricadere in una funerea apatia. La donna si affaccia al balcone e vede una coppia di ragazzi diretta verso la casa del nonno di lei. Lo trovano morto, adagiato sulla sua vecchia poltrona: la ragazza è incinta, e decide che, se sarà maschio, darà al bambino il nome del nonno. In quel medesimo caseggiato abita da solo un pensionato, che ha atteso invano per anni le lettere del figlio emigrato in Francia: il postino gli reca un pacco che le contiene tutte (erano state dimenticate in un magazzino), e mentre le scorre commosso, l’uomo incontra un venditore ambulante senegalese, al quale regala un “gratta e vinci” che, contenente una vincita, consentirà all’immigrato di pagarsi il viaggio per rivedere la propria famiglia. In chiusura madre e figlio si lamentano perché hanno ordinato una pizza che non è mai stata recapitata…

 

Le ombre nere della periferia attorno ai gesti e alle parole

Scrive il cineasta e regista teatrale Alessandro Benvenuti nella Postfazione al libro: «La prima cosa che mi balzò agli occhi guardando la prima tavola fu quel non so che di indefinibile nel tratto che sa tanto di Argentina. Di una umanità che sembra, e non poco, piuttosto in sofferenza a causa delle regole. Umanità che si ritrova appiccicato addosso un destino che monta come panna fra i confini smangiucchiati di mondi periferici e che, per questo, ha i tratti del viso e delle membra distanti da quelle tirate a festa dei vincitori epocali, perché segnata dal presente quotidiano. Umanità che fa da tappezzeria. Che nasce in fondo a qualcosa e resta per tutta la vita a fare da sfondo a qualcun altro». L’elegante simbolismo, di matrice espressionista, che pervade la grafica di Storai, crea un substrato di segni esteriori, somatizza il disagio nei volti dei personaggi e li rende emblematici di un brulichio sommerso, di una marginalità che si avvita su se stessa. Le donne sono scarne, con occhi grandi e pensosi oppure piccoli e socchiusi; i vecchi hanno rughe profonde, simili a solchi tracciati da una vita spesa più per sopravvivere che per vivere; il marito violento ha il viso immerso in una specie di macchia d’inchiostro (il lato oscuro) quando inveisce e picchia, rischiarato da un alone sofferente quando si placa e riflette sui suoi fallimenti (l’umanità che riaffiora). I dialoghi di Laprovitera si amalgamano alle immagini: rotti, discontinui, talvolta surreali e, proprio per questa ragione più veri, “affabulano” il disagio che emana la parte visuale, riecheggiano nella mente come le battute dei teatranti in un palcoscenico, dove la scenografia è essenziale, ma resterebbe priva di senso senza le parole.

 

Raccontare le emozioni attraverso dettagli che vibrano

Il vestitino di una triste e sensuale ragazza bionda che taglia in obliquo le sue gambe ben tornite e le ombre dei suoi piedi nudi sul pavimento. Foglie secche che volano nell’aria inquinata dalle ciminiere: «le persone sembrano fatte apposta per deluderti». Un tavolo di legno, un vecchio tostapane, un frigo modello “boom” con la sagoma arrotondata, la pentola scura sul fuoco in cui bolle la pasta: «perché mi hai lasciato solo?». La timbratrice dei cartellini in fabbrica. Lo sguardo ansioso e le labbra contratte della giovane impiegata davanti alla mano sanguinante del grezzo operaio che ha subito un infortunio perché si è distratto a guardarla: «vedi, sono riuscito ad attirare la sua attenzione». Alla fermata dell’autobus, un immigrato con la testa incassata fra le spalle, una vecchia signora con i capelli cotonati e le calze a rete, uno studente dal testone enorme con le mani in tasca e lo sguardo perso nel vuoto: «inizia da qui, poi parliamo del contratto. Ti faccio uno di quelli dove pago poco, tanto per te è lo stesso, vero?».

Due linee oblique che s’intersecano sul corpo sinuoso di una donna stanca e triste. Una lacrima che le scivola furtiva lungo la guancia. I frammenti di uno specchio infranto che disintegrano il volto riflesso: «ecco, io mi sento come quello specchio».

Uno zaino abbandonato a terra. Una faccia ostile di maschio ferito per metà immersa nell’ombra. Il rimbombo secco di uno schiaffo: «maledetta! Sei sempre uguale!». La maglietta con la scritta Red Carpet. Scalinate che sembrano non finire mai. Un cestino pieno di vecchi giornali su cui incombe la mano inerte di un vecchio, morto da giorni, senza che nessuno se ne accorgesse: «ultimamente non esce mai». Insegne consunte. Caseggiati obliqui pieni di ruggine e di inferriate. Crepe. Macchie di muffa. Edera rampicante. Gli occhialini scuri di un vecchio al quale nessuno scrive più: «le lettere di mio figlio». Una telefonata in Senegal da una cabina sgangherata: «torno a casa». Mentre un corpo celeste incandescente sfreccia nel cielo notturno e precipita verso un palazzone grigio, qualcuno mormora: «non si accorgerebbero di niente nemmeno se gli cadesse sulla testa un meteorite».

 

Guglielmo Colombero

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 46, giugno 2011)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
Progetto grafico a cura di: Fulvio Mazza ed Emanuela Catania. Realizzazione: FN2000 Soft per conto di DAMA IT