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Riflessi d'autore (a cura di Angela Galloro)

Zoom immagine La dura infanzia di Kaiki
in un racconto onirico:
sentimento ed esotismo
si mescolano nel tempo

di Guglielmo Colombero
Wlm propone una narrazione avvincente e dai misteriosi retroscena,
che riecheggia vite passate e luoghi lontani, incitando alla speranza


Arianna Amaducci è un’artista multiforme: pittrice, – sua infatti l’onirica e fascinosa immagine della copertina, tratta da un suo dipinto intitolato Galoppi – poetessa e romanziera (ha debuttato nel 2009 con il romanzo autobiografico Io non sono di qui, pubblicato sempre da Wlm). Con Kaiki (Wlm, pp. 140, € 14,00, disponibile anche in formato ebook) prosegue il suo percorso letterario attingendo nuovi spunti dalle proprie vicende personali, evocate con la consueta struggente intensità emotiva, ma si proietta anche in suggestive escursioni nel passato e in visioni inquietanti del futuro. Dopo la straziante catarsi emotiva scaturita dalle pagine di Io non sono di qui, Arianna Amaducci continua l’itinerario inaugurato un anno fa, incanalando il suo estro poetico e figurativo verso forme espressive più mature e compiute. Kaiki è un ardito ed eclettico esperimento narrativo, che si snoda attraverso gli intermundia di una dimensione metastorica e anche metatemporale: si passa dalla rievocazione di altre vite del passato (il tenente francese nell’Indocina degli anni Cinquanta e il comandante di un vascello inglese durante la guerra di successione spagnola del Settecento) nel capitolo iniziale Eros e Tanathos, a frammenti di ricordi dell’infanzia, dell’adolescenza e della giovinezza di Arianna (nei tre capitoli centrali, Ritratti di donne, Io, Arianna e L’assoluto naturale), fino alle cronache di un futuro immaginario e alle visioni di un’esistenza ultraterrena (L’infinito e oltre). Un mosaico decisamente intrigante, in cui riaffiora la capacità affabulatoria di Arianna nel tessere una trama di raffinate metonimie narrative e di simbolismi (quasi sempre junghiani) che scaturiscono dalla quotidianità: la sostituzione dei genitori naturali con altre figure capaci di donare più affetto di loro, nonostante l’estraneità biologica (il tenente francese che adotta Kaiki, la maestra Iris che dedica alla piccola Arianna maggiori attenzioni rispetto alla madre oberata dai doveri domestici); il sedimento acre e malinconico che lasciano gli amori sognati e mai pienamente vissuti (la simulazione della vita coniugale nei giochi innocenti con Viola, lo sfiorarsi senza mai toccarsi con la contessina); infine il rispecchiarsi, nel comportamento degli animali, dell’aggressività umana a cui si contrappone la mitezza delle creature indifese (i cani addestrati a uccidere – non a caso i più contigui all’uomo – che perseguitano le oche e le rondini, quasi a voler parodiare gli implacabili Vietminh, le belve umane che annientano l’oasi di pace delle donne in Kaiki). In questi passaggi la prosa scarna e incisiva dell’autrice affonda nelle pieghe dell’anima come un bisturi adamantino, e scava, scava, fino a intaccare i nervi e a scalfire le ossa.

 

Dalla giungla indocinese al mar dei Caraibi

Venate di lirismo romantico e di pathos espressionista, le due parabole d’amore e di morte che Arianna colloca nel passato storico fanno da contrappunto al realismo quasi naturalista dei suoi ricordi: Kaiki è il nome di una bambina vietnamita, simbolo incarnato dell’innocenza profanata dal furore bestiale della guerra, in un «cuore di tenebra» del Sud-Est asiatico in rivolta contro il colonialismo francese: «quando poi ci si incontrava – loro silenziosi come serpenti tra i rami frondosi, noi intruppati nel nostro marciare pieno di sussiego e di protervia – infuriavano carneficine spaventose: talvolta, svuotati i caricatori delle armi automatiche, si completava il lavoro all’arma bianca, con la baionetta o con il pugnale, tra grida soffocate e urla disumane che zittivano tutta l’infinita popolazione alata degli alberi generosi di nascondigli. Ci si scannava con diligenza, sia da una parte che dall’altra, fino a che la schiera rimasta più esigua di numero, a un gesto di mano silenzioso di un comandante vietminh dall’uniforme di stampo cinese, o al mio perentorio comando di ritirata, cedeva il campo ai vincitori del momento. Il massacro svaniva in un attimo, così come si era acceso, sfumando nel lieve movimento di fronde che inghiottiva l’ultimo superstite in fuga.» Densa di echi conradiani, questa favola cupa si illumina nel finale con un anelito di riscatto del tutto inaspettato.

Gerard è invece un giovane marinaio inglese vissuto tre secoli fa che, per certi versi simile al Billy Budd melvilliano, finisce per immolarsi sulla pietra sacrificale di un amore non corrisposto: «Io ricambiavo pienamente l’amore di Gerard, ma non lo ammisi a nessuno, né a me stesso, né a lui. L’amore è assoluto padrone di chi lo accoglie, e si palesa di propria incontrastabile volontà a onta di tutto e di tutti. Non ero abituato a quel fremere di pelle, a quel turbamento sia fisico che mentale, alla sensazione di cedimento delle ginocchia al suo apparire, mentre lui, fiero della breccia scavata dentro il mio animo, così profonda e inattesa, si intrecciava a me nella solitudine della prua, profumata di venti lontani, mentre sotto coperta aleggiava l’odore acre e salato proveniente dalla ciurma addormentata». La cornice marinaresca del racconto infonde la sensazione di una Natura matrigna – rappresentata dal flusso immutabile delle onde e dallo spirare incessante del vento – crudelmente impassibile di fronte all’umanità sofferente che si contorce sotto di lei.

 

Visioni e premonizioni oltre il tempo e lo spazio

Il messaggio ultimo che ci trasmette Arianna Amaducci, la summa filosofica di Kaiki, è racchiuso nei due apologhi conclusivi, Antron e La visione dell’aldilà, proiettati in un futuro nebuloso e quasi incorporeo, e pervasi da una profonda aspirazione alla pace interiore: «Fu allora che ai Maestri Antichi del mio Maestro venne rivelato il vero scopo della nostra esistenza: curare la memoria universale, tenere aperte, con la nostra energia mentale, le porte dei flussi mnemonici tra uno spazio siderale e l’altro, mandare le vertiginose onde mentali che attraversavano gli infiniti vuoti per giungere là, dove serviva il Ricordo. Sapevamo che la vita era composita e straordinariamente evoluta, che un’unica Legge governava il tempo senza tempo, e sapevamo che in luoghi dove ancora l’Oscurità aveva i suoi domini, solo il ricordare poteva trasmettere la forza dell’Illuminazione».

Arianna ci esorta a non chiudere mai la porta in faccia alla speranza.

 

Guglielmo Colombero

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n.43, marzo 2011)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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