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Civiltà letteraria (a cura di Angela Galloro)

Zoom immagine Al di là del gossip
da Grande Fratello
le confessioni più intime
di un amore struggente

di Guglielmo Colombero
Lea Veggetti: dal reality show al debutto letterario. Uno spazio
per raccontare con sincerità le proprie emozioni, da Wlm edizioni


Lea Veggetti, bruna e avvenente rodigina di 37 anni, dallo sguardo carico di magnetismo sensuale, decide di rivelare tutti i retroscena della sua tormentata love story con Marco Mazzanti, finalista nel 2009 del reality show Grande Fratello. E qui emerge la sorpresa: Lea dimostra non solo di possedere un fisico invidiabile (che le ha permesso di comparire in trasmissioni televisive popolari come Pomeriggio Cinque e sulle copertine di riviste come Visto, nonché di posare senza veli per un calendario a scopo di beneficenza allegato al settimanale Di Tutto), ma anche innegabili doti di narratrice. In Tu io assieme mai odiandoci (Wlm edizioni, pp. 176, € 15,00) l’autrice sfodera cultura, intelligenza e, a tratti, anche ironia: racconta la sua storia d’amore con un uomo molto più giovane di lei (15 anni di differenza) che le fa perdere la testa e, in alcuni momenti, anche la dignità. Quello che colpisce è che Lea non si nasconde mai dietro un dito: ammette di lasciarsi soggiogare dal machismo, talvolta stupido e infantile di Marco (che la tradisce in privato e in pubblico, la umilia in diretta tv, la trascina quasi alla pazzia), ma nello stesso tempo, con spietata lucidità, tenta di mettere a nudo gli ingranaggi più segreti di questa infatuazione.

 

Una scrittrice debuttante che sa emozionare e coinvolgere chi legge

La prosa di Lea è scarna ed essenziale, ma ravvivata a tratti da vampate di intenso furore: «Lo sai che cosa penso di te, Marco? Che fondamentalmente tu sei incapace di amare: ami troppo te stesso per amare una qualsiasi altra persona. Forse è questo il punto. Sei da sempre innamorato solo di te stesso». Osserva Guglielmo Colombero, lo scrittore torinese (autore di Himilce la sposa di Annibale, Tomyris la signora delle tigri, pubblicati da Falzea) che ha curato l’editing del romanzo, che Lea «ci racconta una fiaba moderna spesso amara ma anche intrisa di struggente tenerezza». Nel bel mezzo di tradimenti, litigi e abbandoni seguiti da grottesche quanto effimere riconciliazioni, Lea riesce a interrogarsi, a creare momenti di vera e propria sospensione temporale (ricorda il cinema di Alain Resnais, di Hiroshima mon amour): «Quanti rumori racchiude il silenzio… Me ne sono accorta quella volta. Sentivo i battiti del mio cuore e, adagiata sul suo petto levigato, sentivo anche il cuore di Marco, che batteva come un tamburo. E poi i clamori lontani della città, il mormorio indistinto delle vite degli altri. Persino il ticchettio dell’orologio. Un silenzio infranto continuamente da un’invisibile sinfonia, che solo di rado era possibile ascoltare». Il fluire inesorabile del tempo la spinge a meditare sul senso più profondo del suo esistere: «Quando rifletto da sola, contemplando il soffitto sul sofà di casa mia, si rafforza in me la convinzione che sia davvero importante incontrare una persona che ci aiuti ad affrontare le mille e più tempeste quotidiane, le piccole amarezze di ogni giorno – oltre che le grandi delusioni della vita, spesso dietro l’angolo – e che ci sostenga nel sopportare il logorio subdolo ma costante della routine, che lentamente può ucciderci e diluire la nostra agonia in un tempo apparentemente infinito. Un tempo che poi improvvisamente viene a mancare quando ti rendi conto che stai invecchiando. Che sei invecchiata, soprattutto dentro».

 

Un «conte philosopique» che mette a nudo la fragilità dei sentimenti

In certi passaggi, Lea Veggetti scandaglia le sfumature dell’eros con echi assai profondi e, per un’autrice esordiente, è sicuramente un pregevole biglietto da visita: «Certo, occorre distinguere: l’amore è anche contemplazione e conoscenza, quella che i poeti antichi esaltavano come una specie di ebbrezza divina. Ma quanti possono dire (ammesso che lo sappiano…) di aver vissuto quello che io ho provato con Marco? Persino la distanza, invece di allontanarci, ci avvicinava, e ogni distacco ci univa sempre di più. Ecco perché io detesto i colpi di spugna sul passato, anche se doloroso. E non accetto le rimozioni forzate: il ricordo di chi hai amato non è come un’auto in sosta vietata che puoi far trascinare via dalla tua mente chiamando un carro attrezzi». Con un’eclettica modernità di linguaggio che attinge comunque a suggestive reminiscenze classiche, Lea Veggetti riesce a costruire arabeschi di raffinata eleganza letteraria: «Ero incatenata come una schiava a questo amour braque, amore balordo, stupida e malsana passione che divorava la mia autostima, spargeva diossina su quel poco che restava della mia dignità di donna…», e si addentra in una mappa emozionale che tutto è fuor che prevedibile. Si può perdere la testa per un ragazzo ventenne, ma ci si può anche domandare il perché, dibattendosi nel gorgo di una faustiana lucida follia. È meglio non rivelare gli snodi cruciali di questo romanzo solo apparentemente frivolo, che invece affonda il bisturi, senza falsi pudori, anche dentro aspetti dolorosi e problematici che spesso affiorano in una coppia male assortita (ma può valere anche per le scene da un matrimonio in apparenza perfetto: Strindberg e Bergman insegnano…): ogni capitolo del romanzo si affaccia su nuovi enigmi, su nuove biforcazioni, e la conclusione della vicenda si tinge di amarissime disillusioni che però contengono anche preziosi insegnamenti. Il momento più traumatico della storia di Lea e Marco – e lo lasciamo giudicare soprattutto alle lettrici – sarà, infatti, anche il più illuminante.

 

Guglielmo Colombero

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n.42, febbraio 2011)

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