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Anno III, n. 27, Novembre 2009
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Home Page (a cura di Anna Guglielmi) . Anno III, n. 27, Novembre 2009

Zoom immagine La giustizia:
un labirinto?

di Luciana Rossi
Da Todaro editore,
un giallo attraente
spia tra le quinte


Se potessimo seguire un pubblico ministero in qualcuna delle sue giornate “normali”, ci inoltreremmo nei corridoi dei tribunali e nei meandri delle indagini, retroscena sconosciuti ai più, e si rivelerebbe ai nostri occhi un mondo che, lungi dall’essere lineare e consequenziale – come sarebbe lecito attendersi –, è formato da una rete intricata di eventi, relazioni, comportamenti, il più delle volte ambigui.

Il senso di questa fitta trama appare soltanto seguendone i fili nascosti, che legano tra loro punti distanti nello spazio e nel tempo, spesso costituiti da impressioni, ricordi,  desideri inconfessabili, ispirazioni subitanee: Sentieri invisibili (Todaro editore, pp. 208, € 15,50), appunto, che il romanzo giallo di Giuseppe Battarino ci invita a percorrere, facendoci guidare proprio da un pubblico ministero, il protagonista Sergio Petrelli. Il libro è pubblicato nella collana Impronte, dedicata specificamente ai gialli classici, ai noir e alle storie di spionaggio.

Battarino, magistrato e già autore di articoli e libri di diritto nonché di una raccolta di saggi, sceglie per il suo esordio nella narrativa un ambito a lui ben noto: quello giudiziario, inquadrato “dall’interno”. Il suo romanzo, grazie all’ambientazione “locale”, collocata sullo sfondo di una città di provincia del Nord Italia, offre nell’insieme anche una visione di costume.

La narrazione è arricchita da scene d’azione, trame poliziesche e un’acuta attenzione introspettiva; inoltre riesce a coniugare temi ostici, o perfino tragici, con le più sottili sfumature di un romanzo psicologico, attraverso uno stile narrativo intrigante basato sul pensiero indiretto. Non a caso comincia proprio con un sogno: «allo scricchiolio dei sassolini, si aggiunse un ronzio che non riusciva a spiegarsi, come un’ape vicina all’orecchio. Fece in tempo a sognare che stava cadendo, dopo un ultimo disperato colpo di pedale, prima di ricordarsi che era andato a dormire con la vaga sensazione di essere impegnato in qualcosa di importante e fastidioso.

Il cellulare stava ronzando sulla mensola sopra il letto».

 

L’apparato giudiziario: ingranaggio perfetto o bizzarro puzzle?

Cosa potrebbe esserci in comune tra un caso di spaccio di cocaina e l’omicidio-suicidio di un sessantenne che prima uccide l’amante e poi si dà la morte, per di più piangendo? Cosa potrebbe collegare una catena di furti nei supermercati al giro di scambisti e di prostituzione che torbidamente anima le notti della cittadina? Perché un uomo che conduce la sua vita in disparte viene trovato morto, massacrato a colpi di zappa? Fantasia narrativa, ma non solo. Casi, purtroppo, di cui si legge nelle cronache nere quasi tutti i giorni.

Quale filo invisibile farà emergere la ragnatela di interessi e di traffici che unisce questi casi in un disegno unitario? Da quale cilindro uscirà il coniglio? Magia.

Così a volte si rivelano le soluzioni nella mente del protagonista: «Le gocce di pioggia scivolavano sul vetro, alcune molto lente, alcune meno. Poi due o tre che fino a quel momento avevano seguito un loro percorso, sembravano attrarsi, scendevano sghembe, si trovavano e diventavano un rivolo più veloce, che percorreva un sentiero invisibile sul vetro e trascinava con sé le gocce rimaste isolate.

Così a volte accadeva nei suoi pensieri quando, come in quel momento, si fermava a riflettere, in un luogo qualsiasi. Immagini isolate, intuizioni, ricordi, parole ascoltate o lette, che prendevano senso, trovavano la loro strada. A volte. A volte no».

Viene da chiedersi se la “macchina” della giustizia, a cui affidiamo – da cittadini – la tutela dei nostri diritti, non sia invece un puzzle bizzarro e surreale, che riesce a funzionare grazie a una serie di coincidenze, a un incastro di tasselli il più delle volte fortuito, piuttosto che basandosi su un meccanismo regolato e infallibile.

Nell’ambiente giudiziario si lavora tra difficoltà oggettive e intrighi, trappole burocratiche e decisioni difficili e pesanti. Il modus operandi prevede a volte di seguire con pervicacia indizi apparentemente insignificanti, altre volte di glissare sulla rigida osservanza del protocollo, il tutto aggravato dalla continua e riflessiva gestione di casi marginali o addirittura pretestuosi, cui comunque occorre dare risposte. La svolta decisiva di un caso può arrivare da nomi o fatti messi in relazione da mere “voci di corridoio”, o magari da un agguato teso ad arte. Un avvincente intreccio si svela poco a poco nel corso della narrazione, marciando con i ritmi forzati delle indagini, fino a un insospettabile epilogo del caso, subito superato da nuovi eventi nell’incedere serrato del ritmo narrativo.

Tra le righe, resta sottesa l’eterna domanda (quanto mai attuale) sul sottile confine tra sfera privata e sfera pubblica, e in un dialogo continuo tra “fuori” e “dentro”, tra ruolo pubblico e vita interiore, tra dovere e sentimenti, nella trama trova posto anche una storia amorosa dai contorni inusuali, che coinvolge il protagonista.

 

Ironia e umanità

A questi scenari ci hanno abituato innumerevoli opere cinematografiche e telefilm. Quante volte, infatti, abbiamo visto i detective dei film americani seduti alle scrivanie, dietro porte «con il nome che si legge al contrario sul vetro smerigliato», tra sigarette, telefonate, incontri a fuoco e scoop…

Scene stereotipate e fissate in un “mitico” immaginario collettivo di cui lo stesso protagonista è consapevole, con sottile autoironia, quando si sorprende a invidiare «i magistrati degli sceneggiati televisivi (che adesso si chiamano fiction) che per due o tre puntate hanno davanti un solo fascicolo su scrivanie tirate a lucido e che nonostante questo sembrano distrutti dalla fatica e dal peso delle responsabilità, mentre, comunque, riescono a filosofeggiare ed amoreggiare variamente».

Una spiccata sensibilità lascia emergere il “lato umano” dei personaggi, siano essi soggetti indagati o avvocati, segretarie, agenti di polizia, chiamati spesso col solo cognome, come si usa a volte tra colleghi. Si intrecciano relazioni di complicità ma anche rancori, pettegolezzi e ostilità, come in un qualunque posto di lavoro, con il merito di avvicinare al lettore un ambiente spesso percepito come lontano e astruso.

 

Fare la differenza

È ancora il protagonista che riflette: «Due tizi non più giovani che hanno una relazione, vanno in giro a ballare. Poi lui ammazza lei e si spara. Gelosia, una lite improvvisa, un debito, chissà. L’omicida è morto, il reato è estinto. Dieci righe di richiesta di archiviazione e pronti per il prossimo giro. […]

Il maresciallo doveva fare un po’ di arresti facili e il magistrato chiudere un po’ di fascicoli, per garantirsi di fronte all’ossessione dei ‘numeri’ che divorava tutti quanti».

Perfino nel mondo dello “straordinario-ordinario” della giustizia può subentrare la stanchezza e l’abitudine, la sensazione del “già visto”, della routine. Anche fatti così gravi, che non dovrebbero mai diventare usuali, possono assumere l’impronta della “normalità”, quando la meraviglia per un comportamento umano qualsiasi, anche il più assurdo, si è esaurita da molti anni. Ecco un’intuizione su una situazione distorta, ma forse realistica, influenzata dai rapporti con la stampa e dalle pressioni dell’opinione pubblica − e non solo − che creano continue interferenze.

Dipanare questa matassa non è sempre facile. “Fare la cosa giusta” lo è ancor meno. Tuttavia è pur sempre l’individuo, la singola persona nel suo ruolo, con le sue decisioni, la sua coscienza e il suo senso di responsabilità, a poter fare la differenza. Testimone, Sergio Petrelli: «L’idea dell’imparzialità, dell’obiettività e del rispetto degli indagati gliela avevano inculcata sin da quando era uditore giudiziario.

A volte, ripensando a certe sue rigidità, si chiedeva se avessero senso oppure no. E si rispondeva che c’erano le regole, e il senso si ricostruiva a partire dal rispetto delle regole, non in un comodo altrove».

 

Luciana Rossi

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 27, novembre 2009)

 

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