Homepage - Accesskey: alt+h invio
Editore: Bottega editoriale Srl
Società di prodotti editoriali, comunicazione e giornalismo.
Iscrizione al Roc n. 21969.
Registrazione presso il Tribunale di Cosenza
n. 817 del 22/11/2007.
Issn 2035-7370.

Privacy Policy

Direttore responsabile: Fulvio Mazza
Anno II, n° 12 - Agosto 2008
Sei in: Articolo




Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno II, n° 12 - Agosto 2008

Zoom immagine Il cuore agitato
e il timbro roco
di Mia Martini

di Annalice Furfari
Nel libro pubblicato da Laruffa
la «bagnarota della canzone»
raccontata da chi l’ha amata


La potenza di una voce indimenticabile e i chiaroscuri di un’anima tormentata e sensibile. È così che Domenico Gallo delinea il ritratto appassionato di una delle più grandi artiste che l’Italia abbia mai partorito, nel libro intitolato Mia Martini. “Io sono la Calabria(Laruffa editore, pp. 156, € 12,00). Ovviamente stiamo parlando della talentuosa cantante originaria di Bagnara Calabra, Domenica Bertè, in arte Mia Martini, tristemente scomparsa nel 1995. Una voce come la sua non ha certo bisogno di particolari presentazioni: si tratta dell’“Unica”, come amano definirla i suoi colleghi musicisti e poeti e così come la ricordano i suoi affezionati fans, consapevoli che la sua morte ha generato un vuoto difficilmente colmabile nel panorama della musica leggera italiana. Ecco, allora, che l’opera di Gallo, calabrese proprio come Mia, ha il merito di ripercorrere la lunga e sofferta carriera di questa cantautrice «dalla voce un po’ roca» e inconfondibile, in una biografia non convenzionale, nella quale vita privata e artistica si intrecciano inesorabilmente, avvalendosi anche delle preziose testimonianze di tutti coloro che hanno avuto il privilegio di conoscere e frequentare Mia Martini, sia per ragioni professionali (Adriano Celentano, Antonello Venditti, Caterina Caselli, Claudio Baglioni, Fabrizio De Andrè, Lucio Dalla, Marco Masini, Ornella Vanoni e Sergio Endrigo, per citarne alcuni), che per legami di sangue (il padre, la madre e le sorelle), amicizia (Alba Calia) e amore (Ivano Fossati).

In tal modo l’autore tratteggia un quadro ben preciso della figura di Mimì (così come la chiamavano affettuosamente i suoi familiari), che ci aiuta a comprendere meglio la personalità complessa e a tratti misteriosa di questa icona della canzone italiana, gettando una luce più chiara anche sulle discusse circostanze della sua morte. Ma ciò che emerge dalla lettura delle pagine scritte da Gallo è soprattutto il giusto tributo, spesso colorito ed enfatico, all’artista che ha saputo regalare il sogno e l’emozione a milioni di persone, così come la sentita gratitudine alla donna che si è spesa in nome delle battaglie civili nelle quali non ha mai smesso di credere e lottare, persino quando tutti coloro che la circondavano le si contrapponevano.

 

Una vita sofferta e complicata, ma costantemente votata alla missione musicale

La prima parte dell’opera di Gallo ripercorre le vicende salienti della vita e della carriera artistica di Mia Martini. Innanzi tutto la nascita a Bagnara Calabra, in provincia di Reggio Calabria, il 20 settembre 1947, da Giuseppe Radames Bertè (professore di Latino e Greco) e Maria Salvina Dato (abile suonatrice di pianoforte e insegnante di canto). Mimì appartiene a una famiglia numerosa: è, infatti, la seconda di quattro figlie (oltre a lei, Leda, Loredana e Olivia). Tuttavia i rapporti tra i genitori di Mia si deteriorano ben presto per svariate ragioni: la differenza di età, le crescenti difficoltà finanziarie e soprattutto una diversa concezione del ruolo genitoriale, determinata dalla rigidità vecchio stampo del padre, contrapposta alla vocazione libertaria della madre. Nel 1959 i due si separano per vie legali e le figlie risentiranno spesso di questa prevedibile rottura: in particolare Mimì ne rimarrà segnata a vita, riuscendo a recuperare solo molti anni dopo il rapporto burrascoso con quel padre che l’aveva “abbandonata”.

Le figlie dei Bertè continuano a vivere con la madre, ma subiscono un ulteriore contraccolpo, determinato dai molteplici e continui trasferimenti in svariate zone d’Italia: prima a San Ginesio, nelle Marche, poi a Porto Recanati e successivamente ad Ancona. Ma è a Milano che Mia vede sorgere i primi frutti di quella splendida voce singolare, melodiosa e squillante, messa alla prova durante le varie sagre di paese, le festicciole scolastiche e le serate a tema nei locali. Infatti nella metropoli lombarda, a soli sedici anni, Mimì viene scritturata dalla “Juke Box” del discografico e autore Carlo Alberto Rossi. Così, nel 1963, esce il suo primo disco, un 45 giri con due cover italiane di altrettanti successi stranieri, I miei baci non puoi scordare e Lontani dal resto del mondo. In questa fase iniziale della sua carriera Mimì si fa notare come “ragazzina yè-yè” (giovane cantante dall’atteggiamento sbarazzino, che propone melodie ritmate e scanzonate), seguendo la moda musicale del momento. Assieme ai primi lavori iniziano ad arrivare anche i premi ai vari concorsi musicali, come quello del Festival di Belluria.

Nel 1969 la giovane artista conosce una prima battuta d’arresto, quando in un night della Costa Smeralda viene colta in possesso di 35 mg di hashish e condotta in carcere con l’accusa di traffico di stupefacenti. Vi rimarrà quattro mesi, in preda alla disperazione più cupa, tanto da nutrire propositi di suicidio. Ma la dura esperienza le farà acquisire una nuova forza spirituale, soprattutto grazie all’incontro con un sacerdote, il quale l’aiuterà a costruire un autentico rapporto di fede con Dio, che si manterrà inalterato nel tempo, illustrandole il valore del dono della vita.

Dopo un’assenza di due anni dalle scene musicali, la «bagnarota della canzone» decide di ripresentarsi al pubblico con un nuovo nome d’arte, Mia Martini appunto, e di rilanciare il suo lavoro, iniziando a sviluppare quelli che saranno i caratteri distintivi di tutte le sue interpretazioni future: la valorizzazione estrema e concitata del testo, di cui Mia si appropria in maniera passionale, empatica e viscerale e che deve essere sempre profondo, deve riuscire a comunicare un messaggio attuale, al passo con i tempi e con le relative problematiche; la dizione poetica del testo, «scandita in modo che sia liricamente espressiva»; la voce corposa, profonda, intensa, “vissuta”, ma, al tempo stesso, capace di modulare i toni dolci e sussurrati «con grande calore e sinuosità»; le parole canore plasmate dalle «struggenti vibrazioni della sua anima, impastate d’infinita malinconia, imploranti, suadenti, per chi le ascolta un viaggio in quell’aldilà che attinge la beatitudine».

È a partire dagli anni Settanta che Mia conosce il successo nazionale e persino internazionale, grazie a dischi e canzoni (scritte da lei o da altri autori) di grande valore artistico e venduti in tutto il mondo. Ma è proprio in concomitanza con la fama che iniziano a diffondersi strane dicerie sulla sua persona, provocate, indubbiamente, dall’invidia nei confronti della sua popolarità crescente. Viene, infatti, ben presto messa in circolazione la voce secondo cui Mimì porti sfortuna, in seguito a un incidente automobilistico drammatico, che vede coinvolti i suoi tre musicisti dopo un concerto in Campania. Questa calunnia la conduce all’emarginazione e al dileggio da parte dei suoi stessi colleghi e le viene gradualmente impedito di realizzare dischi e calcare il palcoscenico per circa sette anni. Il dramma assurdo di cui è protagonista – suo malgrado – corroderà lentamente la sua anima già tormentata, sospingendola alla depressione, alla solitudine, alla sfiducia nei confronti delle sue possibilità e dello stesso genere umano, fino a portarla all’uso di sostanze stupefacenti. Ma la passione per la musica, sua autentica missione nel mondo, le farà superare ogni difficoltà: Mia torna a incantare ed emozionare i suoi ammiratori nel 1989, al Festival di Sanremo, con il suo più grande successo, la splendida Almeno tu nell’universo, intensa melodia d’amore, intrisa di note di malinconia e venature nostalgiche.

In seguito al nuovo trionfo di Gli uomini non cambiano, Premio “della critica” al Festival di Sanremo del 1992, vero e proprio «“canto del cigno”», Mia incide il suo ultimo album nel 1994, La musica che mi gira intorno, cover di grandi artisti e cantautori italiani del calibro di Bennato, Dalla, De Andrè, De Gregori, Fossati, Vasco Rossi e Zucchero. Tuttavia la nuova popolarità non riesce a lenire la sua profonda crisi esistenziale e i suoi malanni fisici, che logorano la sua tempra e la sua resistenza, sino a condurla a quel triste venerdì 12 maggio 1995, giorno in cui Mimì viene trovata morta nella sua abitazione, riversa sul suo letto con le cuffie in testa per ascoltare ancora l’immancabile musica. Le cause della morte non sono mai state del tutto chiarite anche se, certamente, le è stato fatale un arresto cardiaco. In ogni caso, negli ultimi tempi l’“Unica” aveva assunto dosi massicce di sedativi, oltre che cocaina, tanto da far prospettare la possibilità di un suicidio. La verità non la conosceremo mai, ma la sua morte ci lascia in eredità la certezza di un vuoto incolmabile nell’universo della musica pop nostrana.      

 

Nelle sue melodie l’attenzione ai temi sociali dell’attualità e la passione d’amore

Ciò che emerge dal racconto di Gallo, oltre alla dedizione totale e incondizionata di Mia Martini per la musica, è la sua missione sociale: sospingere, mediante le canzoni, il processo di liberazione della donna dalle antiche maglie del conformismo e del perbenismo borghese, intrise di quel maschilismo così pressante, in particolare nell’ambito della cultura meridionale, da cui l’artista proviene. Infatti le tematiche dei suoi testi sono: la relazione uomo-donna e il loro rapporto amoroso, «reso problematico dalla perdurante sperequazione dei ruoli» (viene in mente, a tal proposito, il testo di Minuetto, canzone con la quale Mia vince il Festivalbar nel 1973 e che affronta il tema dell’amore «“subìto” dalla donna ad opera di uomini tesi soltanto a soddisfare i propri istinti, senza riguardo per i sentimenti e la dignità femminile»; quello di Gli uomini non cambiano, analisi disillusa dell’universo maschile, incredibilmente disinvolto a parlare d’amore, così come a trattare le donne alla stregua di un oggetto; i conflitti familiari, che lacerano intere esistenze; il dramma giovanile della droga; le discriminazioni nei confronti degli omosessuali; le convinzioni religiose; il vuoto esistenziale scavato dalla solitudine e dalla depressione.

È facile individuare nei testi di Mia Martini accenni alle sue esperienze biografiche, persino in quelli scritti e composti da altri artisti (basti pensare a Padre davvero, 1971, storia violenta e provocatoria di una ragazza che si ribella a un padre che non è mai stato presente), oltre che un’attenzione costante alle questioni scottanti dell’attualità e ai cambiamenti sociali generati dai venti di rinnovamento e contestazione degli anni Settanta. Ma uno dei temi dominanti delle sue canzoni è, indubbiamente, l’amore, passione bruciante, smodata, l’unica che può dare un senso autentico all’esistenza, ma che è anche in grado di lacerare e consumare l’anima, spingendola a provare le sofferenze più atroci, sino allo spegnimento definitivo. Molteplici sono le dediche musicali di Mia all’unico uomo che abbia mai amato davvero nel corso della sua tormentata vita: Ivano Fossati, compagno della cantautrice per dieci anni, nonché autore di alcune delle sue più belle canzoni. I due vivono una storia di amore e passione totalizzanti e smisurati, ma si lasciano a causa della gelosia e della possessività del musicista, incapace di condividere Mia con il suo lavoro, il suo pubblico e la sua arte. Nonostante la decisione della donna di troncare la relazione, la sua ferita non si rimarginerà mai più, rendendola immune e distaccata dal provare nuovi sentimenti per un uomo diverso e in preda al rimpianto di non aver lasciato al mondo dei figli come frutto di quella passione.

Gallo (originario di Marina di Caulonia, in provincia di Reggio Calabria, laureato in Filosofia, studioso e collezionista dell’intera produzione artistica della Martini), alla sua prima prova d’autore, ci racconta tutto ciò con trasporto, devozione e semplicità, mettendo in evidenza anche un risvolto misconosciuto della vita della «bagnarota della canzone»: il suo legame profondo con le sue radici, con la sua terra calabrese accarezzata dal mare e baciata dal sole, fonte di quel carattere così testardo, grintoso, volitivo e, al tempo stesso, fragile, appassionato e sensibile. È, infatti, la stessa Mimì ad affermare, nel corso di un’intervista: «Le mie radici sono tutto per me, sono la mia sola sicurezza, l’unica cosa certa della mia vita».

In definitiva, il lavoro di questo autore esordiente rende certamente giustizia a un mito nazionale intramontabile, colto nelle sue molteplici sfaccettature, da quella della donna passionale del Sud, sino a quella dell’artista che soffre le canzoni interpretate, vivendole con il proprio corpo, e che canta «per comunicare col cielo».

 

Annalice Furfari

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 12, agosto 2008)
Progetto grafico a cura di: Fulvio Mazza ed Emanuela Catania. Realizzazione: FN2000 Soft per conto di DAMA IT