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A. XIX, n. 211, mag. 2025
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Home Page (a cura di La Redazione) . A. XIX, n. 210, apr. 2025

Zoom immagine Quando la pace viene tradita
la guerra diventa necessaria

di Fulvio Mazza
Riflessioni sulla resistenza, sulla giustizia
e su quando la pace si trasforma in oppressione


Da vecchio Obiettore di Coscienza, continuo a dire – con il maggior numero di decibel possibile – che la guerra fa schifo, è inconfutabile: fa schifo per un milione di ragioni.
Ma diverse volte, paradossalmente, la guerra è meglio della pace. Le piazze gridano: «Pace subito in Ucraina» o «Pace subito in Palestina». Ma riflettiamoci. Veramente, riguardo alla prima occorrenza, vorremmo che quel delinquente di Putin fosse premiato per la violenza da lui generata, malcelata dietro una definizione arbitraria di “Operazione speciale”? Ucraina a parte, ove dovessimo accettare questa “Pax Russa”, come potremo poi dire «No!» ad analoghe “Operazioni Speciali” della stessa Russia a danno, per esempio, della Georgia e di tutte le repubbliche caucasiche e baltiche?
E chi mai, una volta affermato il principio putiniano del «chiunque è autorizzato a mangiare il più piccolo», potrebbe contestare agli Usa, per esempio, la progettata annessione della Groenlandia o l’occupazione militare del Canale di Panama? Chi potrebbe mai obiettare ai nazionalisti francesi di occupare e annettere il ricco Lussemburgo o il riprendersi il Magreb?
Nella nostra attualità contingente ci chiediamo dunque: perché parteggiare per gli Ucraini, che si sono opposti all’invasione russa?
No. Meglio emulare il “grande” Ponzio Pilato ed essere equidistanti e – oggettivamente – spianare la strada ai russi, con conseguente imposizione ai cittadini ucraini di una “schiavitù istituzionale”. Sarebbero cittadini di serie B umiliati un giorno e vilipesi il giorno dopo.
Ma il problema va visto anche dal punto di vista opposto. Mi rammarico di non aver dato fiato e bandiere a difesa degli abitanti del Donbass e delle altre zone russofone: popolazioni vessate che l’egoismo nazionalista ucraino aveva relegato, analogamente, in uno status di inferiorità.

Il problema visto dalla parte opposta
Lasciando Putin e andando dal suo “gemello” Netanyau, ci domandiamo invece: vorremmo veramente che in Palestina ci fosse la “Pace”? Che ogni arma si fermasse? Che le forze palestinesi cessassero la propria azione di Resistenza? Che quegli assassini patentati di Netanyau, ecc. annettano i territori occupati?
Più in generale quindi: cosa racconteremo ai nostri figli e nipoti quando avremo la ventura di parlare con loro di cosa fu la Guerra rivoluzionaria in Italia e nel Mondo? Da “pacifisti” diremo loro che è stato un errore, forse anche un crimine, e che meglio sarebbe stato revocare la Dichiarazione di Guerra di Francia e Regno Unito (a cui seguirono dopo quelle degli Usa e dell’Urss) e gridare «Pace, Pace», innalzando orgogliosi le bandiere bianche.
Conseguentemente dovremmo dunque dire che male ha fatto Lenin a lanciare la Guerra rivoluzionaria in Russia e che invece aveva ragione Kornilov che voleva reprimerla tornando alla pace di Nicola II? Male hanno fatto i Vietcong andando a resistere al neocolonialismo Usa, e potremmo citare tanti altri casi, sino ad arrivare a chiederci: ci saremmo schierati per la Pace di Pompeo o per la Guerra scatenata da Spartaco?
Quando la pace si basa su sopraffazione, dominazione e sfruttamento; quando uno Stato o un’entità politica esercita la violenza su un altro soggetto, quando opprime giustizia e libertà, la “pace” intesa come pura “assenza di guerra” non ci può e non ci deve saziare.
Bisogna quindi dire: «Sono per la pace», ma anche aggiungere: «Sono per la “guerra all’ingiustizia”» perché senza la giustizia esiste solo la “pace dei cimiteri”.
Una pace senza giustizia significa legittimare uno status quo di prevaricazione, consolidare una sorta di Pax romana ottenuta sul sangue degli altri.
E allora sì, sono – più convintamente di quanto lo fossi quando ho cominciato a scrivere questo pezzo – per la guerra.
Sono per Che Guevara che tentò di sollevare i popoli latinoamericani contro sfruttamenti e soprusi sistematici, sono contro il neo-colonialismo statunitense che promette giustizia ma spesso appoggia regimi dittatoriali sparsi in tutto il mondo.
Siamo nei giorni della Resistenza, vicini al 25 aprile: come potremmo negare che siamo stati – e siamo e saremo sempre – a favore della Guerra rivoluzionaria nazionale contro il nazifascismo?
E così, oggi, sostengo la guerra degli ucraini contro l’invasione russa, sostengo la lotta dei palestinesi per la loro autodeterminazione, quella dei guerriglieri del Myanmar contro il regime golpista e per la guerra dei curdi contro la repressione di Erdogan e i suoi oscuri accoliti.
Chi scrive non vuole certamente arrendersi all’alternativa tra sola “guerra” o sola “pace”. La soluzione migliore sarebbe sempre quella della discussione, del confronto, del compromesso. Ma se i despoti sono in grado di ascoltare solo la forza bruta, chiudendo e reprimendo ogni spazio di dialogo, la resistenza armata diventa non solo legittima, ma necessaria.
Concludiamo questo amaro “Bouquet” con un riferimento a un evento tragicamente colossale: la Seconda guerra mondiale. Ricordiamo a tal proposito come, negli anni Trenta, furono fatte a Hitler una serie di concessioni territoriali e normative in cambio del mantenimento della Pace. E lui, approfittando di questa passività, alzò sempre più la posta in gioco, sino a quando Francia e Inghilterra non furono costrette a entrare in guerra a difesa – non sembri un’esagerazione – dell’Umanità.
Si tratta, invece, di distinguere tra guerra o pace.

Meglio la lotta nonviolenta
Si tratta di distinguere tra guerra di oppressione e guerra di liberazione. E non bisogna privilegiare per forza la Resistenza armata. Anzi, quando le condizioni politiche lo permettono (ovvero quando l’avversario fa parte di una nazione con un’attiva opinione pubblica) si può – si deve – adottare la guerra nonviolenta alla Ghandi e alla Luter King. Come è noto, però, si tratta di battaglie più difficili. Necessitano maggior consapevolezza e determinazione, più compattezza e, soprattutto, più coraggio.
Inoltre queste pratiche di resistenza sono meno “attraenti”, lo si sarà intuito, perché manca la dimensione del “piacere” marziale, necessitano di una dose enorme di umanità e lasciano poco sangue a soddisfare i nostri istinti più atavici e bestiali.
Ma pensiamo a cosa sarebbe stato l’attacco di Hamas a Gaza di due anni fa se i militanti palestinesi si fossero limitati a fare prigionieri israeliani senza uccisioni, mutilazioni e stupri. Quanto efficace sarebbe stato l’impatto pro-Palestina e anti-Israele? L’opinione pubblica europea e americana si sarebbe vigliaccamente mostrata equidistante come ha fatto adesso? Non credo e, comunque, sarebbe stato un grande passo in avanti per il raggiungimento di una vera pace.

Fulvio Mazza

(www.bottegascriptamanent.it, anno XIX, n. 210, aprile 2025)

Collaboratori di redazione:
Ilenia Marrapodi
Progetto grafico a cura di: Fulvio Mazza ed Emanuela Catania. Realizzazione: FN2000 Soft per conto di DAMA IT