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Anno II, n° 8 - Aprile 2008

verso la scoperta
dell'amara verità
di Natalia Bloise
Non solo dramma personale
ma di tutta una generazione:
un libro Iride dalle tinte noir
Giallo che si snoda lungo fila ingarbugliate, riportando alla memoria gli intricati vicoli dei piccoli paesi calabresi. In Ciao Vera (Iride Edizioni, pp. 202, € 15,00) l’autrice, Imma Divino, che oltre ad essere scrittrice di romanzi è anche giornalista per varie testate, trascrive il dramma umano e generazionale della Calabria tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, come si evince da particolari riferimenti storici. La vicenda si svolge al «paese», ci troviamo nella Locride, il cui paesaggio è delineato con scrupolosa attenzione ai particolari da rendere tali descrizioni, espressioni di un’emotività quai poetica: «La bellezza del paesaggio era stata un colpo al cuore. Sorpresa da quella reazione inaspettata, guardando quelle vecchie case accatastate una sull’altra e modellate dal vento, sentivo l’impazienza di scendere in fretta», e ancora: «Il sole, esaltando l’argento vivo delle foglie degli alberi, sembrava giocare gioiosamente con i rami che si torcevano in eleganti abbracci mentre un vento leggero, sfiorando le chiome, sembrava volesse quasi scovare le voci dei contadini che, all’ombra di quegli olivi secolari, avevano affidato al silenzio i loro sospiri e le loro parole».
Un giallo dalle varie sfaccettature
Rosa, dopo la morte del padre Ruben, anziano comunista, decide di ritornare al paese in cui è nata e da cui il padre è stato costretto a fuggire quando lei era ancora una bambina, a causa delle persecuzioni fasciste. Rimasta l’unica erede della casa dei De Vitis, i nonni morti qualche anno prima, decide di trattenersi in questo luogo per sapere qualcosa in più della sua famiglia e della madre, misteriosamente scomparsa poco prima della fuga di Ruben, e della quale, per il dolore che gli procurava il solo ricordo, suo padre non le aveva mai parlato. L’accoglienza degli abitanti del piccolo paese calabrese è piuttosto ambigua a causa dei diversi sentimenti provati nei confronti del loro concittadino Ruben; vi era, infatti, chi vedeva in lui un sovversivo, e chi ne faceva un modello da imitare. Al di là di questi sentimenti controversi, la vita per Rosa diventava sempre più pericolosa: introduzioni furtive nella sua casa, avvertimenti da parte di strani personaggi e minacce di morte. Tutto quest’odio nei suoi confronti non poteva essere provocato soltanto dal fatto che lei era la figlia di Ruben. Decisa allora a volerne sapere di più, con l’aiuto di Cecè, un ragazzo «sorprendentemente saggio e maturo per i suoi 21 anni», Rosa si troverà di fronte ad una verità sconvolgente.
Giallo, dunque, ben costruito. Avvince il lettore e lo tiene incollato al testo fino all’ultima pagina, fino all’ultima parola. Chi legge s’immedesima nella protagonista, è partecipe dei suoi tormenti e vuole scoprire la verità.
Accanto al dramma personale, si viene delineando nel testo il dramma di una generazione, che trova la sua figura in Cecè, figlio della signora Nicolina, primo personaggio femminile che incontriamo all’arrivo in paese, combattuto fra le sue idee di libertà: «Io? Ma non hai capito ancora che sono come i pesci del mare? Libero!», e la spiacevole condizione di vivere in un paese retrogrado come il suo, dove la libertà non sembra un diritto e l’unica via di fuga è scappare al nord per lavorare in qualche fabbrica. Sono, infatti, le sue idee rivoluzionarie e la sua reale sincerità, che lo renderanno il miglior amico di Rosa.
Le donne…
Viene affrontata nel testo, anche la questione femminile. La donna vive in una condizione di servitù. Cecè è turbato perché suo padre vuole vendemmiare all’indomani dalla festa, non preoccupandosi della moglie che si è svegliata all’alba e che probabilmente non andrà neanche a dormire per essere pronta al mattino presto. Le donne non escono mai: «Le che? Le ragazze? Sta parlando, forse, dei marziani o di una nuova ricetta? Beh, ragazze ce ne sono tante, ma se ne vuole vedere qualcuna deve aspettare la domenica mattina, quando vanno a messa», «Non solo le strade, ma anche le piazze non appartengono alle donne!». Loro unico passatempo è il pettegolezzo, non si occupano di politica e svolgono la loro vita condizionate da strane credenze popolari: «Sapevo che circolavano credenze catastrofiche in paese. Guai se una donna col ciclo mestruale avesse osato sfiorare la carne o avesse, anche per soli pochi secondi, toccato la salsa delle conserve di pomodori mentre veniva versata nelle bottiglie e nei barattoli di vetro!». Una ragazza che aveva passato i 28 anni era già considerata una vecchia zitella. A tutte queste donne di paese si contrappone Rosa, giovane archeologa laureata che ha vissuto a Firenze e lavora per l’università, veste alla moda: «La donna, dopo avere osservato attentamente i miei pantaloni a sigaretta e le scarpe col tacco basso» e non è ancora sposata: «“…Certo lei è giovane, signorina, no?” aveva continuato guardando la mia mano priva di anelli». Tipicamente calabrese è la signora Nicolina, «con i capelli raccolti dal solito fazzoletto annerito di fuliggine», curiosa di tutto ciò che accade in paese, ma molto premurosa nei confronti di Rosa. Figura antitetica alla signora Nicolina è donna Sofia, «anziana signora vestita di nero […] la donna, nonostante l’età, era ancora molto bella, con quel suo vestito scollato a barchetta e con gli orecchini di perle […] a differenza di quelle [le altre donne del paese, Ndr], aveva conservato la vita snella e tutto il fascino di qualche casato nobile». Ma dietro a questo aspetto affascinante si cela l’animo di una gnura, che ha bisogno di controllare tutto e tutti, dietro le premurose attenzioni nasconde squallide macchinazioni, ma anche lei, in quanto donna, è stata vittima di tale condizione, costretta a sposare un uomo per interesse. Una figura che non sembra appartenere a quei tempi e a quei luoghi è Vera, la madre di Rosa, il cui nome verrà pronunciato solo alla fine del romanzo quasi a voler sottolineare il gioco etimologico di Vera = verità. Nell’attimo stesso in cui Ciccio pronuncerà quel nome, il mistero sarà svelato. Nonostante l’infamia che si vuole gettare sul suo ricordo, lei rimane sempre quella ragazzina di 19 anni con «le gote rosse che […] la facevano apparire ancora più giovane», dei ricordi di don Pino, sacerdote del paese e di «una femmina assai bella», come appare, invece, dai ricordi di mastro Rocco, il vetraio. Vera è una figura misteriosa, evanescente, che appare a tratti dai ricordi dei paesani e completamente sconosciuta agli occhi della figlia, che per non rinnovare il dolore della perdita a Ruben, aveva preferito non fare domande su di lei. A renderla ancora più intangibile è il fatto che non vi è in paese nessun parente stretto della donna, nessuna amica che possa raccontare di lei, della sua adolescenza, come al contrario accade per Ruben.
…gli uomini.
Il mondo maschile appare, invece, diviso in due: da una parte vi sono i lavoratori, uomini con mani ruvide dal troppo lavoro, tra i personaggi principali abbiamo Ciccio, l’amico d’infanzia che condivide le idee del giovane comunista Ruben, ma che, dopo la fuga del suo compagno, non ha avuto altro che il lavoro in campagna e la compagnia del suo fedele cane Ciciornie; tra i personaggi secondari, ricordiamo mastro Rocco, anziano vetraio legato ai suoi ricordi, così come il vecchio don Pino, per il quale la voglia di raccontare è così tanta che non riesce a distinguere tra dicerie e confessioni di tanti anni prima: «Intendiamoci, Rosa, sono voci raccolte in paese, e forse anche nel confessionale, ma ormai è passato tanto tempo, non credo di violare un segreto se te ne parlo… ». Dall’altra parte stanno gli gnuri, come don Mimmo, marito di donna Sofia e padre di don Carlo, sia chiaro il titolo di “don” non sta per sacerdote: «Volete scherzare? Lui, prete? Don… è per riguardo», che insieme ad uomini senza scrupoli come il Corvo, il tecnico comunale, sono capaci di azioni violente. Al centro sta Pietro il Santo, chiamato così perché: «Quando è uscito dal carcere ha raccontato a tutti di avere avuto una conversione…». Figlio di muratori ma “figlioccio” di don Mimmo e vittima dello stesso. Lontano da questo ambiente di servi e padroni è Cecè, che ha piena coscienza della sua terra e di ciò che essa può diventare, ma odia i suoi concittadini e i suoi stessi amici, che decidono di emigrare, senza prima tentare di salvare il suolo natio.
A fare da sfondo a tutta la vicenda è la ’ndrangheta, con le sue violenze non denunciate, con le sue omissioni, con la paura che incute nei poveri “ignoranti”. Questo clima mafioso inghiotte i giovani che non hanno altra scelta che diventare violenti per ottenere rispetto.
Non solo giallo…
Dal punto di vista linguistico, il romanzo riesce a rendere, con l’uso anche di qualche dialettismo, la condizione dei diversi personaggi. La signora Nicolina e mastro Rocco, quando non utilizzano termini in dialetto, ostentano un italiano sgrammaticato. Al contrario donna Sofia e il sindaco, appartenendo ad un ceto più agiato, mostrano una buona proprietà di linguaggio. Anche attraverso i dialoghi, l’autrice è riuscita a dipingere perfettamente l’ambiente calabrese.
Il testo è scorrevole e non stanca la lettura, se non fosse per i numerosi errori di editing. Facendo riferimento alla punteggiatura, capita nel testo di incontrare i tre punti sospensivi staccati dall’ultima parola, inoltre spesso ve ne sono quattro o due, invece dei tre regolari. A pagina 114 manca la maiuscola dopo il punto: «Era di casa. don Mimmo [sic]», e ancora a pagina 121 non sono state chiuse le virgolette, a pagina 150 manca il punto: «…aveva domandato Cecè / Era, quello… [sic]», altri errori di editing si trovano ancora alle pagine 15, 17, 44, 47, 171, 179, 190, 191, ecc.
Il giallo è, comunque, ben riuscito. La trama è avvincente ed il finale agghiacciante. Il libro lascia molto di sé nel lettore e, refusi a parte, fa riflettere sulla questione calabrese, perché purtroppo, nonostante il romanzo ritragga
Ciao Vera è, dunque, thriller coinvolgente, ma anche libro denuncia dei mali del meridione.
Natalia Bloise
(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 8, aprile 2008)