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A. IX, n. 95, luglio 2015
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Editoria varia (a cura di Manuela Mancuso) . A. IX, n. 95, luglio 2015

Zoom immagine Donne vittime
di maltrattamenti.
Un carnefice pentito
ne narra la tragedia

di Gaetanina Sicari Ruffo
Una singolare testimonianza di colpa
e rinascita. Da Ferrari editore


Il femminicidio: parola scomoda, neologismo molto diffuso negli ultimi anni coniato per definire la differenza di genere e mettere in evidenza la violenza perpetrata da parte dell’uomo nei confronti della donna, specie in seno alla famiglia, portando dunque al coinvolgimento perfino dei figli. È un segnale preciso della crisi che interessa le coppie, ma non solo, si potrebbe dire ogni legame d’amore, quando non ben radicato, che tocca in senso trasversale tutte le classi sociali. Da qui il titolo del libro di Alberto Micelotta: Il veleno e la medicina. Dialoghi contro il femminicidio e la violenza domestica (Ferrari editore, pp. 128, € 12,00): il “veleno”, cioè l’impulso che spinge alla violenza, premeditata o no, e la “medicina”, cioè il riscatto che in certi casi subentra, il voler sanare quel vulnus, prima acquisendo consapevolezza, poi, nel caso dell’autore, divenendo conferenziere ed attore con un progetto teatrale di tutto rispetto. L’originalità di questo testo, infatti, consiste nell’essere scritto da un uomo accusato di tentato femminicidio, per cui, reo confesso, ha scontato la sua pena di otto anni e sei mesi di carcere e lentamente, dopo matura riflessione, si è pentito e ha iniziato un nuovo percorso di autoconfessione, divenendo saggista e infine attore del suo drammatico caso, mirando a diffondere in circoli ristretti e nelle scuole la sua esperienza per prevenire e scongiurare fatti analoghi.

L’importanza della rieducazione
Micelotta racconta i particolari di questa sua dolorosa esperienza: la moglie si salvò perché soccorsa in tempo, ma egli ha davanti agli occhi sempre il momento in cui tentò di ucciderla a martellate, non sa neppure dire perché. Cerca di spiegarlo ricorrendo a un esempio: come fa il bambino che distrugge il proprio giocattolo. Non c’erano infatti problemi gravi nella loro vita, ma solo screzi e discussioni. Dopo la cura psicoanalitica in carcere, ha capito che la sua era un’insicurezza di cui non era consapevole. E la più grande raccomandazione che si sente di fare a chi ha un disagio di questo genere che va sempre più crescendo è proprio di ricorrere a un aiuto psicologico. Micelotta ritiene necessario spiegare che l’impulso di dare morte e vendicarsi non è, come sostiene qualche sociologo, un virus che stravolge il pensiero né una malattia mentale, perché può succedere a tutti di cadere in questa trappola della contraddizione che diviene un’ossessione.
Nel caso dell’autore del testo, dopo la pena è intervenuto il riscatto, ossia la fatica quotidiana di divenire testimone e di aiutare altri a capire come si possa evitare di mutarsi in “femminicida”. Strano a dirsi, la sua vita si è trasformata: non gli pesa più l’ombra di quella pena che riconosce di aver meritato. Ora guarda con rispetto e stima alla sua donna e a tutte le altre. Ma la cosa evidentemente più positiva che ne è seguita è stato il riavvicinamento alla moglie, che ha voluto infine accettarlo come un uomo nuovo, riprendendo con lui il rapporto. Dopodiché è stato più facile riappacificarsi anche con i genitori, che l’avevano, a suo tempo, condannato. L’unico suo rimpianto attuale è l’impossibilità di rivedere sua figlia, nata da un precedente matrimonio, della quale ha perso la patria potestà. Sono passati molti anni e di lei non ha più notizie, e immagina, una volta o l’altra, di ritrovarsela davanti insieme ai giovani che vengono per ascoltarlo. Uno dei motivi che lo hanno spinto a intraprendere questo suo nuovo impegno di informazione e recitazione, infatti, è quello di farsi perdonare da lei. Sente di essere divenuto attore per una volontà di riscatto. Non si compiace, peraltro, delle sviluppate doti di improvvisazione con cui ama condurre il suo lavoro di conferenziere; crede così di poter essere utile alla società facendo capire come debellare il problema attuale.
Conclude con questo giudizio: «La violenza nasce dalla frustrazione. Non è che armando le donne può finire questo conflitto, ma solo disarmando gli uomini e convincendoli ad un disarmo volontario e consapevole questo dramma potrà essere sconfitto». Il supporto psicologico è la strada. Il presente lavoro è dunque scritto per gli uomini, per disarmarli. Aspettiamo di vedere se questa medicina sarà veramente salutare e se l’esempio dell’autore sarà seguito.

Gaetanina Sicari Ruffo

(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 95, luglio 2015)

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