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Direttore editoriale: Graziana Pecora
Anno VII, n 73, settembre 2013

nell’immaginario
dei sudcoreani
di Guglielmo Colombero
Da O barra O un viaggio nell’ultimo
baluardo del socialismo reale in Asia
«
Storia di due popoli fratelli divisi da 67 anni
È indispensabile tracciare una sintetica cronistoria della Corea dal 1910, anno in cui fu annessa all’Impero del Sol Levante, fino ai giorni nostri. La colonizzazione della Corea costituì il primo passo dell’espansionismo imperialista del Giappone nel Sudest asiatico. Pochi anni dopo la sensazionale vittoria contro il colossale quanto imbelle impero zarista nella guerra in Manciuria, l’impero nipponico inaugura trentacinque anni di brutale dominazione schiavista sul popolo coreano: solo di recente il governo di Tokyo ha chiesto ufficialmente perdono alla comunità internazionale per le migliaia di lavoratori morti di stenti durante la costruzione di strade, ponti, ferrovie ed installazioni militari, e per altrettante migliaia di giovani donne rastrellate nei villaggi dell’entroterra e deportate come carne da bordello riservata all’esercito imperiale durante i due conflitti mondiali. Sorvolando sulla feroce repressione attuata contro il Movimento indipendentista coreano, fondato nel 1919: deportazioni di massa, torture, esecuzioni sommarie. La fatidica spartizione lungo la linea del 38° parallelo risale al 1945: la parte settentrionale del paese viene occupata dai sovietici, quella meridionale dagli americani.
Da allora le drammatiche vicende storiche delle due Coree si intrecciano in un susseguirsi di eventi spesso catastrofici. Nel Nord (120.000 km2, attualmente circa 24 milioni di abitanti), a Pyongyang assume il potere il Partito comunista fondato dal comandante della guerriglia antinipponica Kim Il Sung, un capitano dell’Armata rossa di trentatré anni addestrato a Mosca. Nel Sud (99.000 km2, oggigiorno circa 49 milioni di abitanti), a Seoul si insedia invece un governo filoccidentale con a capo il settantenne Syngman Rhee, di famiglia aristocratica, che aveva guidato il governo coreano esule negli Stati Uniti sin dal 1919. Due dispotismi di segno opposto. Domenica 25 giugno 1950, alle quattro di notte, un’armata nordcoreana di 120.000 soldati irrompe oltre confine. Seoul capitola il 28 giugno, centinaia di migliaia di profughi sudcoreani intasano le strade per sfuggire agli invasori. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu (in assenza del delegato sovietico) autorizza l’intervento militare degli Stati Uniti: affluiranno in Corea circa un milione e trecentomila uomini fra combattenti e ausiliari; Seoul è liberata il 17 settembre; dieci giorni dopo le truppe americane raggiungono il confine fra le due Coree. Dopo l’intervento della Cina maoista in soccorso del regime di Pyongyang (un milione di “volontari”, in realtà militari di leva), che trascina il mondo sull’orlo della Terza guerra mondiale, viene ristabilito il confine lungo il 38° parallelo con l’armistizio – tuttora formalmente in vigore – stipulato il 27 luglio 1953, pochi mesi dopo la morte di Stalin. Le perdite umane risultano ingenti:
Negli anni della Guerra fredda e anche dopo la caduta del Muro,
In Corea del Sud, invece, al vecchio despota Rhee, cacciato dalla sommossa studentesca del 28 aprile 1960, subentra una cricca di generali tramite il colpo di stato del 3 luglio 1961. Sostenuta in funzione anticomunista dagli americani, la dittatura di Seoul esprime tre presidenti provenienti dall’esercito: Park Chung Hee, assassinato il 26 ottobre 1979 a colpi di rivoltella dal capo dei servizi segreti (
Un non-paese visto in uno specchio deformante
In un cartone animato circolato a lungo nelle scuole di Seoul, i capi del regime comunista nordcoreano sono raffigurati «con le sembianze di un maiale, mentre i membri del Partito e i soldati prendono quelle di lupi e di pipistrelli». Dopo la svolta improntata al dialogo voluta dal presidente Kim Dae Jung nel 2000, la «politica del governo sudcoreano si trova al centro di una sorta di circolo vizioso: è, al tempo stesso, sia causa sia effetto di un generale cambiamento dell’opinione pubblica verso
Demonizzazioni, coreografie di massa e anatemi
Uno dei rari visitatori occidentali, il fumettista canadese Guy Delisle, in un reportage del 2003, paragona la propria stanza d’albergo a un «cubicolo solitario dove leggere Orwell e dove convivono la noia e l’occhiuta sorveglianza di cameriere che entrano senza bussare (quasi fossero blande imitazioni della “psicopolizia”)». In un soprassalto simile a quello che fa sussultare gli zombie degli horror americani, le «vaste geometrie urbane di Pyongyang si animano davvero solo in occasione dei “giochi di massa”, le immense coreografie allestite dal regime in occasione di poche feste comandate: il compleanno del presidente eterno Kim Il Sung, quello del caro leader Kim Jong Il, la nascita del partito […]. Nella loro innaturale naturalezza, i giochi di massa sono l’indizio di un regime che non distingue fra sé e la propria rappresentazione. Chiamati a disporsi in ordine sulle gradinate dello stadio Kim Il Sung, i cittadini alzano a comando tavole di diverso colore raccolte in una sorta di libro, e così facendo danno vita alle coreografie di cui ciascuno è un tassello colorato, un “pixel umano” come si legge nel fumetto di Delisle».
Guglielmo Colombero
(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 73, settembre 2013)
Francesca Buran, Pamela Quintieri, Francesco Rolli, Fulvia Scopelliti
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Denise Amato, Mariacristiana Guglielmelli, Francesca Ielpo, Aurora Logullo, Rosina Madotta, Manuela Mancuso, Ilenia Marrapodi, Emanuela Pugliese, Pamela Quintieri, Francesca Rinaldi, Francesco Rolli, Fulvia Scopelliti, Alba Terranova