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Anno VII, n. 70, giugno 2013
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Storia (a cura di Fulvia Scopelliti) . Anno VII, n. 70, giugno 2013

Zoom immagine Una storia che rivive
nella tradizione orale
diffusa a viva voce
in tutto l’Aspromonte

di Giuseppe Peluso
Pancallo ci offre con rigore storico
una ricostruzione cruda e realistica
delle vicende del brigante Musolino


Esistono storie che passano di bocca in bocca, che vengono tramandate dal parlare della gente e dalla necessità di conoscenza. Esistono poi racconti che non solo sono storie ma che diventano lezioni di vita, in quanto racchiudono delle piccole morali di cui non è necessaria la divulgazione di massa per renderle note. Infatti queste nenie rivivono nella gente che le ha vissute e si tramandano nelle lezioni popolari, nel momento in cui la loro inevitabile diffusione non ha la pretesa di distinguere fra bene e male, ma di focalizzare la mera importanza del racconto. Ci sono storie che sono “fatti”, avvenimenti che rivivono oltre la realtà del racconto a caldo, forse per il loro forte impatto popolare, forse perché insegnano argomenti che non si possono imparare tra i banchi di scuola – o che spesso non si possono imparare e basta – ma che è bene conoscere per saper gestire un giorno, nel momento della vita più inaspettato, quell’avvenimento straordinario che quella lezione ha insegnato.

Argomentare sulla storia di Musolino. Il bandito d’Aspromonte di Giovanni De Nava (Pancallo editore, pp. 220, € 15,00) non significherà tanto ripresentare la lettura della vicenda del famigerato bandito, quanto rappresenterà invece una breve, riflessiva e aperta analisi sull’importanza del tramandare storie forti, sulla loro giusta interpretazione e sulla creazione di distorti miti, su personaggi non sempre del tutto positivi, spesso vittime dell’esaltazione popolare e del folklore culturale, appartenente a piccole lingue di terra che, non tramandando grandi conoscenze o universali moralità, conservano nella loro storia, minuti esempi di umana realtà neanche tanto distanti dalla quotidianità di ognuno di noi.

 

Peppi Musulinu, briganti e malandrinu

La vita autentica si impara vivendola e la vera realtà è quella che non si descrive attraverso una poetica prolissa nelle pagine dei libri: i libri insegnano quasi tutto, il resto lo insegna la vita. Le formalizzazioni, la conoscenza di un concetto, di un’esperienza, di un punto di vista sono stadi successivi che con l’istituzionalizzazione indiscriminata di tutta la conoscenza sono passati in primo piano escludendo passaggi dell’apprendimento fondamentali quali l’esperienza diretta, il culto per “fatto” tramandatoci dagli anziani, l’ascolto per la credenza popolare e la continuità di questa di generazione in generazione. Ci sono storie, come si accennava nella nostra introduzione, che non sono scritte, o che almeno non sono nate scritte: ci son storie di avvenimenti che giungono a delle conseguenze le quali, a loro volta, portano a delle conclusioni, e queste conclusioni racchiudono al loro interno piccole lezioni di vita e solo chi sa interpretarle riesce a recuperarne l’importanza della divulgazione.

La vita di Giuseppe Musolino è una di queste storie nate per caso, in un giorno di lavoro come un altro, tra la solita quotidianità e la solita gente. La Calabria, una festa di paese, una donna, i mafiosotti e i signorotti della zona, il bar della piazza, una rissa; alcuni degli elementi della messa in scena della storia popolare più classica, misti a caratteristiche quali il coraggio, la paura, l’amore, l’omertà, la vendetta, l’amicizia, l’onore. La storia popolare spesso gioca su queste caratteristiche salienti che fanno sì che i fili della trama restino ben tesi a motivare ogni movimento di scena. Ma la vicenda di Giuseppe Musolino non è una rappresentazione teatrale: racchiude del dramma, della realtà nuda e cruda che ha portato un normale lavoratore alla vendetta, all’omicidio e alla pazzia, plasmando la sua immagine ora con le sembianze di vittima, ora con quelle di carnefice, e lasciando a mezz’aria la verità di fondo.

«Costui per 500 lire voleva togliere la vita ad un giovane di 21 anni come me; per la taglia di 500 lire, mi fece la spia e mi sparò. Quale vi pare, signori giurati, il brigante fra me e quello?»

Poteva redimersi, arrendersi al sistema franoso della giustizia del piccolo borgo, scontare la pena e sperare nella vita normale, ma non lo ha fatto perché accusato ingiustamente, isolato da un mondo troppo adagiato, corrotto e impaurito, ha desiderato giustizia, e nel momento in cui giustizia e vendetta diventano un binomio la storia prende un’altra piega e il finale non sempre è lieto e sereno. La figura del brigante Musolino, da vittima di una società iniqua, diventa quindi un carnefice sanguinario, con una metamorfosi da onesto lavoratore di Santo Stefano in Aspromonte ad omicida guidato da una rabbiosa sete di vendetta senza più alcun nesso con il reale e con il “giusto”.

«Furono applicati nei suoi confronti gli stessi metodi vendicativi che egli mise in atto contro le sue vittime. Con la differenza che, come dimostrò il tempo, Musolino era un pazzo».

Alla luce di questi piccoli ingredienti si rivela una trama quanto mai odierna e conosciuta (purtroppo) che, in un’edizione straordinariamente preziosa nella sua realizzazione e distribuzione, con il contributo dell’Introduzione di Giuseppe Italiano, dà alla lettura la giusta intonazione e àncora fatti e dichiarazioni a saldi punti nel racconto. Così il testo acquista un valore altro e inaspettato legato ad una vicenda che non può non essere conosciuta.

È Musolino il brigante e il giustiziere, l’implacabile vendicatore, l’uomo che smarrisce la rettitudine tra le montagne d’Aspromonte e che riceve addirittura un’ode da Giovanni Pascoli quando viene arrestato, è la storia che tutti dobbiamo conoscere per approfondire, un minimo, anche il lato più nascosto e meno integro dell’animo umano, degli errori che si commettono per amore, per onore, per integrità, per vendetta; quegli errori che hanno portato Giuseppe Musolino alla pazzia e all’omicidio e che la voce degli anziani e la saggezza popolare di un tempo, con tanta perseveranza, insegnavano e tramandavano.

 

Giuseppe Peluso

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 70, giugno 2013)

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