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Anno VII, n. 70, giugno 2013
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Letteratura contemporanea (a cura di Francesca Rinaldi) . Anno VII, n. 70, giugno 2013

Zoom immagine Una vita dura,
due sorelle,
un dubbio

di Federica Lento
In un romanzo Città del sole,
un destino amaro e crudele
nella Sicilia anni Cinquanta


Sotto il caldo sole di Sicilia, quello di un aprile votato ad annunciare frettolosamente l’estate, c’è un bambino che aspetta fuori dalla porta di casa che sua madre partorisca. Il piccolo Domenico ha saltato la scuola, suo fratello Rosario invece è a lavor , è lui che aiuta la famiglia ad andare avanti, è lui l’uomo di casa da quando, sei mesi prima, il papà è morto. Domenico e Rosario vivono con la famiglia nella Sicilia del 1950, una famiglia povera, con troppe bocche da sfamare e nessun uomo alla guida. Un nucleo familiare matriarcale, forte e combattivo come tanti, troppi, in un Dopoguerra che lascia spazio alla speranza di una ripresa per molti, ma non per tutti. Più avanti di qualche passo è il lavoro di Rosalia Messina (Città del sole, pp. 104, € 10,00), un percorso fatto a romanzo in cui, passo dopo passo, si svela una verità tanto semplice quanto spietata, una realtà che ci fa immergere completamente in una sicilianità marcata, dove la legge della famiglia lascia spazio a quella della fame.

La storia che l’autrice racconta si apre con una nascita o più precisamente una doppia nascita che è simbolo di vita: le due gemelle, Anita e Michela, sono insieme una benedizione e una preoccupazione nuova per Vincenzina, madre amorevole che nonostante la fatica del parto accarezza il capo del ribelle Domenico e si preoccupa che abbia mangiato. Sembra essere questa infatti l’ansia maggiore, soprattutto per nonna Assunta, il cibo, la sopravvivenza. E la nascita delle due nuove creature amplifica l’angoscia: come faranno a sfamarle?

La saggezza pratica della donna suggerisce di “dare via” una delle gemelle a Olimpia, cugina ricca, che non ha mai potuto avere dei figli. Anita, la saggia, e Michela, la vanitosa, sono identiche fisicamente e ci si domanda come le si possa riconoscere, come si possa evitare di scambiarle. Solo un occhio attento potrebbe identificare Anita per la voglia di caffè che ha sul polso e il destino che ha benedetto, apparentemente, la sua vita. Lei è la prescelta, quella “consegnata” a Olimpia, quella in teoria più fortunata che convivrà a lungo con il senso di abbandono, con la domanda vana del “perché io?”. Anita e Michela hanno costruito il loro mondo escludendo tutto il resto, sono “loro” da una parte e “gli altri” dall’altra; non c’è nulla che possa separarle, eppure si trovano a vivere due vite completamente diverse ma vicine. Anita vivrà nel lusso e nell’agiatezza, potrà studiare, scegliere chi diventare ma la accompagnerà per sempre il senso di non appartenenza; Michela, spensierata e libera, è quella che non è stata scelta. Entrambe continuano a vedersi e si ritrovano nel rito misterioso del guardarsi allo specchio per cercare cosa esattamente abbia portato le loro vite a essere tanto differenti. La penna dell’autrice si sofferma sul ruolo assegnato alle due donne dal destino, definito da uno sguardo doppio, come nel riflesso dello specchio, in un relativismo che scinde e ricompone. Lo specchio è un elemento che ritorna sempre, è il simbolo di un dualismo che si cerca di spiegare e ricondurre a un’unica verità, è l’oggetto magico al quale, come nella favola di Biancaneve, si chiede una risposta e ogni volta «Anita cerca nello specchio lo sguardo di Michela».

Quello di Rosalia Messina è un romanzo che scandisce i momenti di un’intera vita, in circa cinquant’anni. Dalla scena iniziale di una nascita doppiamente benedetta si arriva alla scena finale di morte rivelatrice, che svela, senza spiegare, i dubbi pensati e mai espressi in tutto il testo.

 

Il mistero, la forza e l’orgoglio della sicilianità

Rosalia Messina descrive delicatamente l’amore di una madre che non dovrebbe e non saprebbe scegliere, ma che è spinta dalla miseria dell’esistenza. Due donne, risultato in carne e vita di questa scelta, crescono segnate da un fato avverso e felice, accettato e rifiutato, a seconda di chi guarda. Le vicende si susseguono contrassegnate da date precise, in cui il sapore antico di terre aride fa emergere il contrasto tra ricchezza e povertà, e dove riecheggia l’asprezza di un certo verismo, quello del recentemente riscoperto Federico De Roberto, accogliendo il lettore in vicende appassionanti. La sicilianità è ancora richiamata dall’onnipresente elemento del “doppio” tipico di Pirandello e della “roba” di Verga. L’impressione è dunque quella di un’autrice consapevole della forza della tradizione letteraria della sua terra.

I dialoghi nel romanzo rimandano a suoni caldi dal respiro familiare, di quella sicilianità che emerge semplice nelle conversazioni e nelle descrizioni. Il testo delinea bene i caratteri dei personaggi che sembrano avanzare, scuri e provati dal lavoro e dal lutto di una vita che fatica a essere tale, di scena in scena verso un lettore sempre più coinvolto.

Un racconto che ci pone l’interrogativo del “se”, che lascia spazio alle ipotetiche mille o una sola vita da poter vivere, tra chi resta e chi prosegue, chi accetta e chi si ribella, chi rimane immobile e chi si spinge “più avanti di qualche passo”.

 

Federica Lento

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 70, giugno 2013)

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