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Direttore editoriale: Graziana Pecora
Anno VII, n. 65, gennaio 2013

degli “irriducibili”
delle Brigate rosse
di Giuseppe Peluso
Laterza ci porta nel cuore di tenebra
del terrorismo rosso degli anni ’70
«Specularmente alla figura del pentito e del dissociato viene creata quella dell’irriducibile: il mostro irrecuperabile che non solo non abiura ma che sarebbe pronto a ricominciare appena uscito di prigione». La citazione appartiene ad un testo dai temi aspri, crudi ed a dir poco reali. Le dichiarazioni sono ferme e non si può che restare perplessi di fronte alla schiettezza e alla lucidità con cui gli intervistati narrano fatti che portano ad una riflessione complessa, che va oltre le pagine di storia ed i titoli di cronaca.
Nel testo di Pino Casamassima Gli irriducibili. Storie di brigatisti mai pentiti (Laterza, pp. 258, € 18,00), l’autore racconta punti di vista di ex brigatisti sulle loro idee e azioni di terrorismo: storie e dichiarazioni, alcune, che non hanno mai, prima d’ora, visto penna o giornale, le quali svelano verità, opinioni, stati d’animo e riflessioni, di coloro i quali hanno fatto scrivere una storia in rosso tra due parentesi, ahinoi, non ancora chiuse, anni italiani fatti di uomini, iniziative e tanto sangue versato in nome di un fanatismo inaccettabile.
Una storia in rosso
Ci si trova faccia a faccia con un testo molto ampio nel momento in cui si decide di addentrarsi nel mondo descritto da Casamassima. È una realtà che lo scrittore riporta alla luce affrontando un capitolo tutto italiano.
«Per capire meglio – spiega Pietro Bertolazzi, uno dei brigatisti intervistati dall’autore – è necessario fare un passo indietro, fino all’inizio delle Brigate rosse, che nascono con un’intuizione assolutamente originale, cioè quella di praticare la lotta armata come azione politica in una fase matura dell’imperialismo. Inoltre, abbiamo unito la teoria alla pratica, l’intellettuale all’operativo, segnando di fatto una storica rottura con la tradizione comunista, che voleva netta quella separazione».
Portando gli orologi indietro di qualche decennio riusciamo a ricordare (o a rammentare di averne almeno sentito parlare) un periodo italiano in cui la parola “rivoluzione” diventava non più una semplice parola. Una volta regolati gli orologi alle date ed alle ore che la memoria suggerisce, non potremo non ignorare il rosso sangue e sinistro di fondo che accompagna i ricordi che la memoria suggerisce; è infatti a questo punto che il lavoro dell’autore vuole arrivare con la sua carrellata di eventi e dichiarazioni: gli anni delle Brigate rosse, degli uomini che gli hanno dato i natali e di coloro i quali, in maniera scioccante, fredda e senza il minimo accenno di rimorso, a quegli anni non hanno sinora voltato le spalle.
Dal testo risalta una lettura complessiva dei fatti, una lettura d’autore a testimoniare una storia composta di persone, di uomini e donne fuori da realtà parallele o da passati straordinari: si tratta di gente qualsiasi, dal background umile (operai, agricoltori, manovali) che condivideva idee di violenza salvifica comuni, ideali di rivoluzione a cui dare voce con azioni grottescamente pratiche che hanno (purtroppo) avuto modo di essere realizzate.
L’essere brigatista – come raccontano le voci alla penna dell’autore – era una scelta, un’idea, un modo per osservare e partecipare attivamente ad un’azione che avrebbe potuto cambiare qualcosa, una voglia ed uno stile di vita non per tutti, ma solo per chi aveva fame e aveva voglia di un “riscatto”, non solo ideologico ma, purtroppo tragicamente sanguinolento. «“La terra è bassa e la fatica è tanta”: parole che ho sentito fin da bambino. Poi ho capito cosa significavano».
Irriducibili nel corpo e nello spirito
Come in ogni grande o piccola comunità che si forma, sono le persone che la compongono e che la vivono a dare vita alle idee che la governeranno e che la guideranno nei tempi di crisi e di instabilità. Nel caso delle Brigate rosse si ha a che fare con la “follia” di uomini pronti a rischiare la vita per un idea, con la motivazione di gente del popolo che diventa leader di un progetto assurdo, che guida una voce per uno scopo ben preciso, atto ad un movimento di fanatismo delle masse che deve avere modo di realizzarsi, anche con i mezzi ed i metodi più estremi. È così che la storia delle Br ha creato uomini e situazioni con cui confrontarsi, ha visto tanto sangue e morte – non solo sul fronte avversario ma anche al proprio interno – e una volta chiusa la fase di lotta e di ribalta, i protagonisti hanno avuto da fare i conti con loro stessi, hanno dovuto prendere decisioni e fare scelte tali da cambiare il corso della loro vita per sempre. L’idea brigatista non è di certo di semplice acchito, e non permette una classificazione semplicistica delle personalità che l’hanno composta: c’è chi collabora, chi patteggia, chi fa nomi e racconta storie in cambio di un briciolo di libertà in più da poter gustare. E poi – cosa più inquietante – c’è chi pretende di continuare a lottare, seguita a credere nell’arma che ha creato e non si lascia distruggere da anni di prigionia e di “sacrificio”, perché li reputa parte di un percorso che non è ancora terminato e che ha ancora molto da dare a quelle idee che lo hanno visto nascere e compiere esecrabili – ma non per lui – azioni di morte: questo è l’irriducibile.
«Perché era solo incidentale il fatto che lui non avesse mai ferito, mai ucciso nessuno. Semplicemente, non aveva fatto in tempo, finito com’era dietro le sbarre subito dopo l’inizio della loro lotta armata contro lo Stato».
È attorno a questa figura che si sviluppa il lavoro di Casamassima, e probabilmente sono queste le maggiori riflessioni che la lettura del suo scritto suscitano nel lettore: non si può non partire da un’analisi dei presupposti e delle condizioni per andare ad analizzare una personalità qual è quella dell’irriducibile. Essere e vivere irriducibile è una scelta che direziona la vita di un uomo unilateralmente, con la brutale lotta armata in una mano e la prigione in un’altra, che preferisce la morte alla rinuncia e che sa leggere la “speranza” lì dove altri hanno smesso di cercarla, utilizzando ogni mezzo disponibile per generare violenza incontrollata, paura e terrorismo idealista che, in maniera quasi folle e tetramente lucida, perseguita le idee di cui si fa carico.
«Lui rifiuta qualsiasi possibilità di confronto con uno Stato che riconosce sempre e solo come nemico. E col nemico non si dialoga, lo si combatte per abbatterlo. Tutti gli irriducibili dentro e fuori dal carcere si riconoscono in lui. La guerra non è finita».
Giuseppe Peluso
(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 65, gennaio 2013)
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