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Anno IV, n. 40, dicembre 2010
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Filosofia e religioni (a cura di Maria Grazia Franzè) . Anno IV, n. 40, dicembre 2010

Zoom immagine L’educazione come
base dell’evoluzione,
la civiltà e la cultura

di Federico Alessandrini
L’importanza dell’etica nell’istruzione,
in un saggio edito da Rubbettino


Costruire l’uomo su basi scientificamente etiche è sempre stata materia di studio per moltissimi filosofi, anche di diverso indirizzo, ma mai si era giunti a sostenere, sulle orme di Emmanuel Kant e Wilhelm Wundt un’etica fondata su basi psicofisiologiche e sociali, tanto da dare vita alla controversa teoria, detta “Metamorale”, ideata da Giovanni Vidari (Vigevano 1871-Torino 1934), filosofo neocritico dell’indirizzo costruttivo-sistematico, fra i più importanti divulgatori del pensiero kantiano in Italia.

Nel testo Giovanni Vidari. Dal criticismo neokantiano al progetto di civiltà (Rubbettino, pp.178, € 12,00), di Caterina Provenzano, si mette in luce il pensiero del filosofo lombardo, che ha ispirato gran parte dei pensatori e pedagogisti del Novecento e che ha collaborato con il Ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile.

 

L’educazione alla base della “costruzione” dell’uomo

Si tratta di un saggio organico e sistematico, condotto grazie ad una ricerca bibliografica battuta a livello internazionale, in cui si esaminano in forma critico-espositiva i tre aspetti salienti che hanno contraddistinto l’attività del Vidari: filosofico, pedagogico, storiografico.

In questo testo si afferma che non è facile costruire una civiltà basata su uno stato di equilibrio politico-economico se prima non si “costruisce” l’uomo. E infatti tutta l’attività del Vidari è mirata alla realizzazione di un unico progetto, educare l’uomo grazie alle tre istituzioni fondamentali: famiglia, scuola e Stato.

Il merito di Giovanni Vidari è davvero notevole. Messi da parte i condizionamenti, egli segue costantemente il suo progetto: parte dalla filosofia, dall’etica, consapevole che l’ideale morale condiziona le azioni civili perché umane e dal criticismo di Kant per creare ciò di cui solo l’uomo è capace di fare: ideare se stesso. Tuttavia l’opera vidariana, anche quando sembra avulsa dalla filosofia, ritorna, sul tramonto, a Kant e a quella “pace perpetua” già preventivata dal filosofo tedesco.

Nella Prefazione del filosofo H. Peter Lichtenberg si legge: «Caterina Provenzano ha visto in Vidari ciò che molti non hanno intuito: la distruzione dell’uomo per rimontarlo pezzo per pezzo verso un oggettivo progetto. L’autrice di questo testo ha compreso la modernità del pensiero vidariano perché, come lei stessa ha ribadito in altre sedi, siamo in presenza di “un corpus ideologico esplicabile nella pratica”. Oggettivamente è per tutte le civiltà e per tutti i gradi hegeliani».

 

La vita di Giovanni Vidari

Nella prima parte del testo, si fa una disamina della vita di Giovanni Vidari. Egli fu innanzitutto il diffusore della filosofia di Kant in Italia dal momento che ne tradusse le opere, docente di Filosofia morale all’Università di Pavia e successivamente rettore dell’Università di Torino, fu sindaco di Pavia per due legislature. Fondatore dell’Istituto superiore di Magistero per il Piemonte e dell’Istituto pedagogico Italiano, fu invitato da Gentile a collaborare alle Enciclopeia secondo quell’atteggiamento di liberale apertura culturale che costituisce una delle più note caratteristiche dell’opera che il regime avrebbe voluto fascista e che Gentile realizzò secondo prospettive più ampie. Vidari fu soprattutto un “tecnico” del Ministero della Pubblica Istruzione durante la riforma gentiliana, contribuendo ai programmi della riforma. Qualche anno prima della morte fu docente di Filosofia morale presso Berkeley in California. Le ragioni di un oblio sono da ricercarsi effettivamente nel fatto che Vidari era molto noto in Italia durante il governo fascista – nonostante alcune polemiche con lo stesso Gentile e l’adesione al manifesto crociano – e che proprio con la capitolazione del regime, anche l’autore è stato “spazzato via” dal vento della storia.

 

L’etica

Nella seconda parte del testo viene esaminata l’etica. Secondo Vidari l’etica è una scienza normativa che riguarda esclusivamente l’uomo. Quindi il suo fine non è quello di studiare la condotta umana, ma di regolarla con delle norme, che sono in rapporto con un termine che egli chiama “ideale”: quello della rettitudine. Tale ideale ha come caratteristica l’imperatività universale e assoluta, il “dover essere”, ed ha valore per tutti in quanto da tutti deve essere attuato. Per Vidari, quindi, oggetto dell’etica è l’azione umana, la condotta, con i sentimenti e giudizi di approvazione e disapprovazione. Il metodo è quello induttivo, cioè indurre dall’osservazione, dall’esperienza dei fatti, quegli stessi elementi che servono per formare i concetti più generali. Il fine è il bene dell’umano.

La scienza dell’etica deve però fondarsi su basi storico-sociologiche (costume, religione, famiglia e Stato, che concorrono alla creazione della cosiddetta “coscienza popolare spontanea”) e psicosociologiche (coscienza, sentimento e volontà danno vita alla condotta morale); ma solo la libertà e la solidarietà sono concetti del bene comune e non individuale.

 

Il pensiero pedagogico

Nella terza parte si esamina il pensiero pedagogico di Giovanni Vidari. L’educazione è per Vidari un dato di fatto che avviene fra due elementi: l’educando e l’educatore. L’educando è l’uomo quale soggetto autocosciente; l’educatore è la società. Ma la società non è rappresentata dall’uomo? Quindi ad educare è lo stesso uomo, laddove per uomo si intende “spirito che comunica con lo spirito”. Solo l’uomo si educa ed educa. Per Vidari la pedagogia – che è la scienza dell’educazione – si basa su quella scienza filosofica che più d’ogni altra è atta a porgere il concetto vero dell’uomo come attività spirituale: l’etica. Non esisterà allora un’educazione perversa, cattiva, fuorviante. Tale dipendenza è però solo “regolativa” non costitutiva: cioè l’etica informa di sé la pedagogia, ma non ne determina il contenuto. Così Vidari supera Johann Herbart, il quale affermava che il fine dell’educazione è l’etica. Nel saggio l’autrice afferma che Vidari è il padre della pedagogia perché la svincola dalla filosofia, definendone un oggetto di studio, un metodo e un fine: oggetto della pedagogia è l’educazione dell’uomo, nella sua totalità spirituale e che abbracci tutta la vita. Il metodo è quello dell’etica, l’induttivo, dal particolare al generale, mentre il fine è quello di auspicare una società retta da spiriti alti. In questo modo Vidari precede John Dewey.

La dottrina pedagogia vidariana si presenta, per molti aspetti, innovativa e peculiare, innanzitutto, per l’aver evidenziato il processo pedagogico dell’età vitale di un uomo, dalla nascita alla morte, non solo da un punto di vista teorico, ma anche pratico, suggerendo un metodo comportamentale sia all’educando che all’educatore, per ogni fascia di età e per ogni situazione familiare, scolastica, sociale, religiosa. Altra sostanziale peculiarità riguarda lo sviluppo della coscienza per quattro gradi che si riconnettono alle varie età della vita stessa, anticipando Jean Piaget. Per cui avremo un primo momento detto “estetico”, esclusivo dell’infanzia; “scientifico” (fanciullezza); “morale”, tipico della adolescenza; e infine un quarto detto “religioso” (giovinezza). L’attenzione che Vidari rivolge alla didattica è un altro aspetto importante della sua teoria. Vi è un testo monumentale dove affronta l’argomento (La didattica, 1920), dando importanza sia alla pratica che alla teoria e dove consiglia come e quando studiare le materie d’insegnamento.

Il filosofo di Vigevano si interessò di etica, pedagogia, storiografia e religione, tanto da appellarsi “l’eclettico”, convinto che la spiritualità umana debba essere sempre alla ricerca della verità suprema.

 

 

Federico Alessandrini

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 40, dicembre 2010)

 

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