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Anno IV, n. 40, dicembre 2010
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Storia moderna (a cura di Giovanna Russo) . Anno IV, n. 40, dicembre 2010

Regno di Napoli (1753):
il ruolo sociale portante
della donna calabrese

di Giuseppe Ferraro
L’esito di uno studio su Longobucco
attraverso i dati del catasto onciario


Numerosi sono stati gli studi condotti durante il Novecento sui catasti onciari[1] e sulle circostanze che portarono re Carlo di Borbone (Re di Napoli e Sicilia 1734-1759) e la classe dirigente napoletana alla sua istituzione nella prima metà del Settecento[2]. Meno studiati sono invece i catasti onciari compilati nelle oltre duemila università del Regno di Napoli tra il 1741 e il 1753[3], ognuno dei quali rappresenta un vero unicum di dati economici e demografici, ma anche sociali e culturali[4].

Il catasto onciario della “Terra di Longobucco” venne compilato nel 1753 e censì una popolazione di 3.630 abitanti[5]. La maggior parte dei cittadini dichiaranti dell’università di Longobucco era impiegata nei settori dell’agricoltura e dell’allevamento. La ricchezza economica del centro silano era concentrata nelle mani dei nobili viventi[6], dei professionisti, delle maestranze e dei massari[7]. I professionisti, le maestranze e i massari dimostravano durante il Settecento un concreto dinamismo economico ed una rilevante ascesa sociale. Infatti i nobili viventi risultavano molto deboli nelle loro posizioni di dominio economico e di gestione amministrativa perché minacciati dall’ascesa sociale dei professionisti e delle maestranze, che avevano, già a metà Settecento, occupato un ruolo centrale nell’amministrazione e detenevano un rilevante ruolo economico[8] insieme al clero[9].

Insieme a questi gruppi sociali, le donne svolgevano un ruolo assai importante nell’università di Longobucco. Le donne, anche se subalterne all’autorità patriarcale e maschile, assunsero un particolare rilievo nella società e nell’economia locale come testimoniano i dati catastali.

Le donne dichiaranti e capi fuoco nel catasto onciario di Longobucco vennero registrate sotto la dicitura «vedove, vergini e bizoche»[10]. Anche se “maritate” le donne rimanevano inserite nei fuochi paterni oltre a quelli coniugali. In un’economia come quella di Longobucco, in cui gli uomini mancavano per diversi periodi dell’anno, poiché impegnati in lavori agricoli e di allevamento[11] nella montagna silana, rimanendo isolati per alcuni mesi a causa della neve, le donne svolgevano un ruolo determinante non solo nella gestione della famiglia[12], ma anche nella vita dell’università.

I dati catastali raccolti nel 1753 a Longobucco evidenziano una presenza femminile maggioritaria rispetto a quella maschile. L’età del matrimonio per le donne era di 26 anni (28 per gli uomini)[13]. Molti giovani prima di formare famiglia aspettavano infatti la morte del capo fuoco per ereditare i suoi beni e il reddito necessario per mandare avanti il nuovo nucleo familiare. In effetti, l’età da matrimonio nell’università di Longobucco diminuiva nei gruppi sociali più agiati come professionisti e nobili viventi anche a 15 anni per le donne. Numerose compaiono nelle rivele del catasto, le donne che sposavano vedovi[14] in età avanzata, anche più anziani di 20-25 anni[15]. Questi matrimoni davano a giovani donne, che provenivano da contesti sociali disagiati, la possibilità di raggiungere una stabilità economica e di consentire ai familiari più prossimi della sposa di poter succedere nel “mestiere” del marito ormai anziano o prossimo alla morte[16]. Parecchie erano le donne nubili, vergini in capillis, che partorivano incrementando in questo modo il fenomeno degli esposti[17]. Si trattava di nubilati in funzione della famiglia; infatti riversavano in essa le proprie energie morali e materiali[18].

Nel catasto onciario di Longobucco furono registrate anche una serie di novità in rapporto al ruolo della donna nella società del Regno di Napoli a metà Settecento. La registrazione dei componenti del fuoco nel catasto onciario di Longobucco nella maggior parte dei casi non fu realizzata per sesso, prima gli uomini e poi le donne, come generalmente avveniva negli altri catasti del Regno di Napoli[19] per sottolineare il ruolo più rilevante degli uomini in seno alla famiglia, ma in base all’età dei vari membri. Altro elemento di differenzazione e di novità si riscontra nella registrazione delle vedove[20] che non furono censite sotto il cognome del marito defunto come avveniva negli altri catasti, ma con quello da nubili[21], sottolineando in questa maniera una maggiore libertà sociale e indipendenza familiare.

Sul piano economico non risultavano vedove, vergini o monache «bizoche» con una situazione debitoria[22], mentre in altri centri calabresi e del Regno di Napoli presentavano condizioni economiche assai precarie. Altro segno di stabilità economica da parte di vedove e monache «bizoche» era evidenziato dal fatto che la maggioranza di esse abitasse in case proprie o dotali[23] e molte pagavano annualmente al medico, al barbiere e per “staglieria”[24] una sorta di stipendio; elementi che sottolinevano un contesto di agiatezza. Vedove e monache «bizoche» nell’università di Longobucco ricoprivano un ruolo assai importante anche a livello finanziario: non solo possedevano numerosi beni, ma svolgevano anche il ruolo di banche creditizie prestando denaro. Le somme che le vedove e le monache prestavano raggiungevano cifre anche di 86 ducati[25]. I redditi di vedove e monache «bizoche» (20 once nette di guadagno annuo in media per ogni vedova o monaca), rapportati con i guadagni di maestranze e commercianti, ma anche con quelli di alcuni professionisti, non variavano di molto (le maestranze e i commercianti infatti avevano un reddito medio pro capite pari a 22 once come molti professionisti)[26]. Gli introiti di vedove e monache non erano frutto di lavoro[27], ma solo di rendite[28]. Questi dati evidenziano la stabilità economica soprattutto delle vedove nell’università di Longobucco, in netto contrasto con gli altri centri del Regno di Napoli dove si riscontrano situazioni molto precarie. Tutto ciò sottolinea come esistessero nel Mezzogiorno settecentesco situazioni sociali ed economiche assai variegate[29]. Questi dati venivano resi ancora più importanti dal fatto che solo tre delle 69 vedove di Longobucco appartenevano alla categoria dei “nobili viventi”.                        

L’altra faccia della medaglia era rappresentata da donne meno fortunate che svolgevano il ruolo di “serve” nelle famiglie economicamente più agiate. La maggior parte delle serve era in tenera età (anche bambine di sei anni) e non erano di Longobucco, ma venivano richieste nei centri limitrofi, così da costruire con la famiglia per cui lavoravano un rapporto di appartenenza più solido.

 

Giuseppe Ferraro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 40, dicembre 2010)




[1] Si rimanda in particolare alla raccolta di studi sui catasti onciari in Aa. Vv., Il Mezzogiorno settecentesco attraverso i catasti onciari, vol. I, a cura di A. Placanica, Aspetti e problemi della catastazione borbonica, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1983, vol. II, a cura di M. Mafrici, Territorio e società, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1986 anche P. Villani, Il catasto di Carlo di Borbone negli studi dell’ultimo ventennio, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli», II, 1952, pp. 427-451; Id., Mezzogiorno tra riforme e rivoluzioni, Laterza, Roma-Bari, 1973, pp. 105-153; R. Villari, Mezzogiorno e contadini nell’età moderna, Laterza, Roma-Bari, 1977, pp. 63-83; S. Gambino, Anche nel’700 si compilava il mod. 740. Sistema fiscale nel Settecento: il catasto onciario di Monterosso, in “Calabria Sconosciuta”, 12 (1989), n. 40, pp. 49-52; G. Valente, I catasti onciari della Calabria, in Deputazione di Storia Patria per la Calabria, La Calabria dalle Riforme alla Restaurazione, Atti del VI Congresso Storico Calabrese (Catanzaro 19 ottobre-1° novembre 1977), vol. II, Comunicazioni, Società Editrice Meridionale, Salerno-Catanzaro, 1981, pp. 727-745. In riferimento al catasto onciario di Longobucco, cfr. S. Muraca, Il catasto onciario di Longobucco prime osservazioni, in Aa. Vv., Longobucco dal mito alla storia. Testimonianze e studi in memoria di Mons. Giuseppe De Capua, Edizioni Librare, San Giovanni in Fiore, 2008, pp. 203-229.

[2] Il catasto onciario fu disposto dal governo borbonico il 4 ottobre 1740 con «Regal dispaccio». Il dispaccio ordinava alla Regia Camera della Sommaria di dare istruzioni alle università del Regno di Napoli sulla costituzione del catasto carolino e nel 1741 ne venne avviata la compilazione, cfr. F. Barra, Pensiero riformatore e azioni di governo. Il dibattito sul catasto nel Mezzogiorno settecentesco, in Aa. Vv., Il Mezzogiorno settecentesco…, cit., vol. I, pp. 19-76; anche L. Barionovi, La formazione del catasto onciario, in Ivi, pp. 117-134; G. Galasso, Storia del Regno di Napoli, vol. IV, Il Mezzogiorno borbonico e napoleonico (1734-1815), Utet, Torino, 2007, p. 107.

[3] Da precisare che la prammatica del 28 settembre 1742 stabiliva un tempo massimo di compilazione dei catasti di quattro mesi. Solo dopo un ordine della Camera della Sommaria contenente la minaccia di pene severe nei confronti degli amministratori inadempienti spinse il sindaco e gli eletti di Longobucco a iniziare i lavori di compilazione nel 1752, cfr. Archivio di Stato di Napoli (da ora in poi Asn), Catasti onciari, Longobucco, vol. 6007, c. 4v. In particolare G. Valente, I catasti onciari…, pp. 728-731.

[4] Nei catasti sono registrate numerose notizie anche a livello linguistico, geografico e toponomastico, cfr. P. Cantalupo, Note di topo-antroponomastica nell’onciario, Aa. Vv., Il Mezzogiorno settecentesco…, cit., vol. II, pp. 205-218; V. Aversano, Toponimi e antropizzazione dello spazio: due aree a confronto (prove di procedimenti per una toponomastica geografica finalizzata), in Ivi, vol. I, pp. 317-352; Id., La toponomastica dell’onciario e il geografo: spunti e indicazioni di ricerca, in Ivi, vol. II, pp. 253-270.

[5] Cfr. Archivio storico comunale di Longobucco, Libro del Stato d’anime appartenenti alla Cura dell’infrascritti Parrochi nella Matrice e Parrochiale Chiesa di Longobucco fatto in quest’anno 1753, cfr. Asn, Catasti onciari, Longobucco, vol. 6007, cc. 25-61.

[6] L’indicazione di nobile vivente nella legislazione e nella tradizione meridionale non indicava il titolare di un privilegio di nobiltà, ma quelle famiglie che vivevano di rendita, senza esercitare alcuna attività lavorativa, cfr. R. Sicilia, Episodi e aspetti della storia delle città in Calabria (secc. XV-XIX), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2009, p. 168.  

[7] Il massaro era l’agricoltore possidente, cfr. V. Padula, Persone in Calabria, a cura di C. Muscetta, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1967, pp. 68-80, 93-95; R. Villari, Mezzogiorno e contadini…, cit., pp. 57-62, in maniera particolare p. 62.

[8] Il sindaco dell’università di Longobucco era uno speziale e gli eletti appartenevano alle maestranze.

[9] La detentrice delle maggiori ricchezze nell’università di Longobucco era l’istituzione ecclesiastica che possedeva numerosi beni immobili e mobili dai quali riscuoteva censi in denaro e in natura, oltre alle decime e agli introiti frutto della pietà popolare. La ricchezza della Chiesa aveva inoltre una funzione sociale-finanziaria: i sacerdoti, le cappelle e i luoghi pii si comportavano da vere e proprie banche creditizie che prestavano denaro a tassi di interesse modesti rispetto a quelli richiesti da altri gruppi sociali più agiati come testimoniavano le dichiarazioni catastali. La Chiesa riscuoteva anche numerosi censi per affitti di abitazioni e terreni. Grazie a tassi di affitto modesti l’istituzione ecclesiastica a Longobucco dava la possibilità a un numero elevato di cittadini di prendere in affitto case, botteghe e coltivare terreni. Si trattava da parte della Chiesa locale di una chiara politica economica, mirata a raccogliere poco, ma da tutti i suoi beni, che dava la possibilità non solo di riscuotere censi sicuri perché competitivi, ma anche di mantenere terreni e abitazioni in buone condizioni. In determinate circostanze i fittuari che appartenevano a ceti sociali subalterni incameravano, dopo la morte di sacerdoti o la soppressione degli enti religiosi, beni a prezzi ridotti; questo permetteva a contesti socio-economici fragili di stabilizzarsi. Per il ruolo sociale della Chiesa a Longobucco durante il Settecento si veda G. De Capua, Longobucco dalle origini al tempo presente, Fasano Editore, Cosenza, 1982, pp. 142-146, pp. 152-166. In tutto il Regno di Napoli la Chiesa possedeva numerosi beni e privilegi che ostacolavano lo sviluppo dell’agricoltura, cfr. G. De Rosa, Vescovi popolo e magia nel Sud. Ricerche di storia socio religiosa dal XVII al XIX secolo, Guida Editori, Napoli, 1971, p. 99; R. Villari, Mezzogiorno e contadini…, cit., pp. 19-27.

Il clero di Longobucco nel Settecento era molto numeroso. Nel 1753 erano presenti nel paese 42 sacerdoti, 4 suddiaconi, 15 chierici, 15 monache bizzoche, cfr. , cfr. Asn, Catasti onciari, Longobucco, vol. 6007, cc. 397-407. 

[10] Le vedove registrate nel catasto onciario di Longobucco erano 69, le monache «bizzoche» 5 e le vergini 1.

[11] I longobucchesi erano richiesti in tutto il circondario limitrofo durante i mesi invernali per le potature e vari lavori agricoli come la raccolta delle olive, G.M. Galanti, Giornale di viaggio in Calabria (1792), a cura di A. Placanica, Società Editrice Napoletana, Napoli, 1981, p. 111.

[12] Nel catasto onciario di Longobucco 3 famiglie hanno 10 figli; quattro 9; nove 8; quattordici 7; 38 sei; 74 cinque, cfr. Asn, Catasti onciari, Longobucco, vol. 6007, cc. 172-397; S. Muraca, Il catasto onciario di Longobucco…, cit., pp. 209-210.

[13] Il Galanti sosteneva che nei centri calabresi «la gente bassa si marita nella pubertà», cfr. G.M. Galanti, Giornale di viaggio…, cit., p. 126. Ma nell’università di Longobucco durante il Settecento l’età per il matrimonio, in particolare nelle classi sociali subalterne, rimaneva elevata, cfr. Asn, Catasti onciari, Longobucco, vol. 6007; cfr. Archivio storico parrocchiale di Santa Maria Assunta di Longobucco, Liber defunctorum e coniugatorum 1701-1742; Registro Matrimoni 1779-1803; Status Animorum 1718, 1773, 1776, 1779, 1784, 1788-1792, 1779-1803.

[14] A. Placanica, La Calabria nell’età moderna. Uomini, strutture, economie, vol. I, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1985, p. 177.

[15] Alcune donne che non provenivano da contesti economici stabili venivano dotate dai luoghi pii o da persone facoltose per le quali svolgevano molte volte unattività lavorativa.

[16] M. Mafrici, La Calabria e le sue strutture socio-demografiche, in Aa. Vv., Il Mezzogiorno settecentesco…, cit., vol. II, pp. 141-143.

[17] Cfr. R. Ciaccio, Gli esposti a Cosenza nell’Ottocento, in “Miscellanea di studi storici”, Dipartimento di Storia dell’Università della Calabria, Rubbettino, Soveria Mannelli, XX, 1992-1994, pp. 209-240; G. De Rosa, L’emarginazione in Calabria nel XVIII secolo: il problema degli esposti, in Deputazione di Storia Patria per la Calabria, La Calabria, cit., vol. II, pp. 117-140.

[18] P. Cuoco, La famiglia: strutture, professioni, abitazioni. Il Principato Ultra, in Aa. Vv., Il Mezzogiorno settecentesco…, cit., vol. II, p. 91; M. Mafrici, La Calabria, cit., pp. 141-143; R. Sarti, Vita di casa. Abitare, mangiare, vestire nell’Europa moderna, Laterza, Roma-Bari, 2006, pp. 3-10; R. Ciaccio, Risorse femminili. Storie di donne nella società calabrese tra Settecento e Ottocento, Le Nuvole, Cosenza, 2002, pp. 11- 41; anche Ead., Famiglie e denaro. Mobilità sociale e attività creditizie a Cosenza tra Settecento e Ottocento, Le Nuvole, Cosenza, 2002.

[19] Le donne di ogni fuoco generalmente erano elencate nelle rivele dopo i componenti maschi, cfr. M.P. Divino, La donna nell’onciario di Motta Placanica, in Aa. Vv., Il Mezzogiorno settecentesco…, cit., vol. II, pp. 219-220.

[20] Nella cultura dell’epoca la vedova, nonostante fosse considerata dalla dottrina cristiana insieme agli orfani una categoria da aiutare e difendere, era vista con diffidenza. Ancora oggi a Longobucco e nei paesi limitrofi le vedove vengono apostrofate con il nome di “cattive”. Numerose erano le vedove registrate nel catasto onciario di Longobucco che avevano contratto dopo la morte del primo marito uno o due matrimoni. Stranamente nel catasto onciario i censi assegnati ai sacerdoti per messe in suffragio dei mariti defunti sono pochi. Infatti solo due vedove pagavano per messe in suffragio dei mariti dei legati. Mentre un’altra vedova «per il funerale del fu suo marito» si era indebitata per «docati dieci e sono da vendere li detti animali per detto debbito. Come pure sono da vendere altri detti animali per docati venti lasciati di messe da detto suo marito», cfr. Asn, Catasti onciari, Longobucco, vol. 6003, c. 176v.

[21] Cfr. M.P. Divino, La donna nell’onciario…,cit., pp. 219-220.

[22] Solo alcune vedove dichiararono nell’onciario di non «possedere nulla» oltre alla propria abitazione, anche se nelle rivele sono registrati altri beni. Questo succedeva, di solito, con le vedove che avevano dentro il nucleo familiare un sacerdote. Infatti dichiaravano di avere dato tutto in favore del patrimonio del figlio sacerdote e in virtù del concordato con lo Stato Pontificio evitavano la tassazione per i beni acquisiti prima del 1741, cfr. A.M. Rao, La Calabria nel Settecento, in Storia della Calabria moderna e contemporanea. Il lungo periodo, a cura di A. Placanica, Gangemi, Roma-Reggio Calabria, 1992, pp. 320-321.

[23] Nel Settecento in Europa la precarietà abitativa nelle classi sociali più deboli era molto diffusa, cfr. R. Sarti, Vita di casa…, cit., pp. 7-9.

[24] La “staglieria” era un compenso che di solito veniva pagato ai fabbri per i lavori che svolgevano in maniera periodica principalmente nelle case e nei possedimenti di nobili viventi o di quelle famiglie che avevano redditi stabili.

[25] Cfr. Asn, Catasti onciari, Longobucco, vol. 6006, c. 389v.

[26] Alcune vedove hanno anche un attivo di 98 once annue, cfr. Asn, Catasti onciari, Longobucco, vol. 6007, c. 390r-391v. Nel caso di vedove che appartenevano allo status di nobili viventi vennero registrati anche guadagni pari a 127 once, cfr. Asn, Catasti onciari, Longobucco, vol. 6007, c. 395r.

[27] Nessuna delle dichiaranti viveva di lavori legati al settore della tessitura nonostante fosse molto praticata a Longobucco come testimonia la presenza di numerose “gualchiere”. La tessitura, forse, forniva esigui guadagni ed era vista come una tradizione frutto del bagaglio culturale locale da tramandare e conservare alle future generazioni e praticata maggiormente per un consumo personale.

[28] Solo una donna venne registrata per l’industria, si trattava di una fornaia e possedeva una dote di nove ducati, cfr. Asn, Catasti onciari, Longobucco, vol. 6005, c. 283v.

[29] L. Palumbo - M. Spedicato, I rapporti sociali nella Calabria settecentesca, in Aa. Vv., Il Mezzogiorno settecentesco…, cit., vol. II, p. 461; A. Spagnoletti, Presentazione, in R. Sicilia, Episodi e aspetti… cit., p. 9.

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