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Anno IV, n. 40, dicembre 2010
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Filosofia e religioni (a cura di Maria Grazia Franzè) . Anno IV, n. 40, dicembre 2010

Zoom immagine Le femmine
nella filosofia

di Antonietta Zaccaro
Il ruolo delle donne
svelato in un saggio
edito Rubbettino


Analizzando i grandi pensatori del passato attraverso le donne che gli gravitarono attorno e che, nel bene e nel male, ne condizionarono le opere, Miriam Rocca scrive un nuovo manuale di storia della filosofia. È un libro succoso, che alterna alle sezioni narrate i contributi storici e filosofici ripresi direttamente dalle opere e che mostra la filosofia da un altro punto di vista: quello femminile. «Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna», diceva un proverbio latino e, Miriam Rocca, indaga su mogli, madri, figlie e sorelle che contribuirono a rendere grandi i filosofi nel suo libro Il volto femminile della filosofia (Rubbettino, pp. 250, € 20,00).

 

Madri e mogli

Ogni uomo, e di conseguenza anche i filosofi, di tutti i tempi, attribuiscono alla figura materna un ruolo fondamentale e cruciale per la crescita interiore. Prendendo in esame i legami tra i grandi pensatori e le loro madri, notiamo che non sempre questi seppero rapportarsi positivamente. Ad esempio sappiamo che Schopenhauer non sia mai riuscito ad avere un rapporto tranquillo e sereno con sua madre, colpevole di averlo trascurato nell’infanzia e nella giovinezza, da questo sarebbe scaturito, quindi, il suo carattere incline al pessimismo. Al contrario, grande importanza nella vita e nonché per la sua ricerca filosofica, ebbe Fenarete, madre di Socrate, che di lavoro faceva la levatrice. Di lei ne parla lo stesso Socrate nel Teeteto, additandola come ispiratrice della sua maieutica, l’arte di far partorire le idee dalla mente, così come una levatrice fa nascere un bambino.

Altra donna molto presente fu Elvia, madre di Seneca, alla quale il filosofo indirizza una delle sue lettere più belle e commoventi dall’esilio in Corsica: «È una epistola questa di Seneca, che descrive una donna stoica, una donna che non lotta contro il volere del fato, ma anzi accetta tutto ciò che il destino le pone innanzi, anche le cose più tremende come seppellire marito e nipote».

La madre per eccellenza, che molto influenzò non solo il pensiero filosofico, ma anche la vita del figlio, fu Santa Monica: madre di Sant’Agostino, che lei stessa definisce come «il figlio delle lacrime»; l’amore materno e le preghiere favorirono la conversione e l’abbandono della vita dissoluta da parte del figlio. Tuttavia, non si può dire che tutte le madri furono come Santa Monica: ne è un esempio il rapporto tra Galileo e sua madre, Giulia degli Ammannati, infatti,è lo scienziato stesso, in una sua lettera indirizzata ai fratelli a renderci noto il suo rapporto ostico con la madre: «di nostra madre intendo con non poca meraviglia che sia ancora così terribile, ma poiché è così discaduta ce ne saranno per poco, sì che finiranno le liti».

Al contrario, molti filosofi, come Cartesio, Pascal e Spinoza, non conobbero mai la figura materna, morta di parto o di conseguenze relative ad esso.

In pieno Illuminismo si forma la figura filosofica di Immanuel Kant: sua madre Anna Regina Reuter, era una fervente pietista, affiliata ad una setta religiosa che insisteva su un assoluto rigore nelle pratiche religiose. Il filosofo vide nella madre l’ideale di bellezza spirituale, indicandola come una donna saggia, il cui unico scopo era quello di ingentilire l’umanità. Notevoli sono le lettere indirizzate alla madre Peppina, da Antonio Gramsci durante il soggiorno in carcere. Ultimo, ma non ultimo, è il rapporto che Sigmund Freud ebbe con sua madre, Amalie Nathanson. Lo stesso psicologo dice di avere avuto un legame morboso con la madre, ed è, proprio per questo suo legame non sano, che durante la sua autoanalisi, avrebbe formulato la teoria del cosiddetto Complesso di Edipo.

Vicino alla figura materna si pone il rapporto dei grandi pensatori con le loro spose. Ricordiamo, primo fra tutti Socrate,che sposò Santippe, vivendo una relazione non certo felice, a causa del carattere non sicuramente dolce della donna. Lo stesso Socrate, infatti, dice che convolò a nozze con la scorbutica Santippe per mettere alla prova la sua pazienza e il suo carattere. Cicerone sposò Terenzia per convenienza, ma fu comunque un matrimonio felice ed armonioso che durò circa 30 anni, prima del ripudio della moglie per sposare la giovane Publilia. Ma è il Settecento il secolo più ricco di spunti per delineare il rapporto tra i filosofi e l’amore nei confronti delle donne, che siano esse spose o amanti. Jean-Jacques Rousseau nutrì grandi passioni per diverse donne, ma scelse comunque il matrimonio con Thérèse, giovane sarta analfabeta, alla quale non rimase pressoché mai fedele. Controverso e contrastato dalla famiglia Beccaria, fu l’amore tra Cesare e Teresa, i nonni del Manzoni. Beccaria, per amore, rinunciò ai privilegi e alla ricchezze, pur di vivere un vita gioiosa con la sua Teresa.

I filosofi dell’Ottocento, sulla scia dello spirito romantico di questo secolo, idealizzano la civetteria e le passioni femminili, rendendole un’accezione positiva delle donne. Un rapporto costellato di alti e bassi, ma sempre condito da un grande amore, ebbe il grande teorico del Comunismo, Karl Marx, con sua moglie Jenny, donna forte e determinata, che amò profondamente il marito, dandogli sei figli in dodici anni. Proprio per questo suo amore viscerale erano frequenti le sue isteriche scenate di gelosia e sempre per questo legame forte, non sopravvissero a lungo l’uno alla morte dell’altra (Jenny morì nel dicembre 1881, Karl quindici mesi dopo).

Matrimonio difficile, anche perché non vissuto interamente, fu quello tra Antonio Gramsci e sua moglie Giulia, da cui ebbe due figli: Giuliano e Delio, che praticamente non conobbero mai il padre, costretto a lunghi periodi di prigionia e di esilio. Ma è attraverso le lettere che il pensatore scrisse alla cognata Tania, che conosciamo i suoi diversi stati d’animo e l’amore e i problemi del suo matrimonio.

 

Figlie e sorelle

Questa volta i filosofi sono esaminati nella loro espressione più umana: quella di padri. È universalmente noto, nel mondo romano, l’amore immenso che Cicerone nutriva per sua figlia Tullia, morta ancora giovanissima di parto. Alla sua morte l’Arpinate rimase profondamente scosso, tanto che decise di abbandonare la vita politica e di ritirarsi nella sua villa di Astura, per elaborare il devastante lutto. I filosofi medioevali sono avari nel descrivere il rapporto con i figli, anche perché molti di loro non ebbero mai prole avendo intrapreso per scelta o per imposizione, la carriera monastica. Allo stesso modo troviamo scarse informazioni sulla vita familiare dei filosofi dell’inizio dell’epoca moderna: Pico della Mirandola, Telesio, Marsilio Ficino, Campanella e Bruno non ebbero figli.

Bisogna arrivare al Seicento per trovare il primo esempio di rapporto padre-figlia esplicato dalla relazione tra Galilei e sua figlia, Virginia. Ella fu costretta dal padre, insieme ai fratelli, a vita monastica, ma di questo non rimproverò mai il genitore, intrattenendo con lui una fitta corrispondenza nella quale i due discorrono delle scoperte scientifiche di Galilei e dei problemi che questi ebbe con la Chiesa. Nel Settecento è la vita dissoluta di Diderot a fornire gli spunti per la ricerca: egli ebbe una figlia, Marie-Angelique, divenuta poi Madame de Vandel, che nutrì sempre una grande ammirazione per il padre, tanto da scrivere alla sua morte i Memoires, «In cui rievoca un ritratto paterno di un uomo coraggioso in lotta contro il potere conformista di ogni epoca e regime». Nell’Ottocento a colpire è il ritratto della paternità sofferta di Darwin. Egli ebbe dieci figli, tre dei quali non raggiunsero mai l’età adulta. Nel 1851 muore Annie, la figlia prediletta, e secondo alcuni studiosi fu proprio questo evento luttuoso a portare Darwin verso l’ateismo. «L’interpretazione radicalmente naturalistica del male, del bene, della sofferenza e del posto per nulla privilegiato dell’uomo nella natura, sono sì il frutto del suo lavoro teorico e sperimentale, ma soprattutto lo sono della sua vita privata».

Stesso secolo, altro pensatore, diametralmente opposto: Karl Marx. Egli ebbe tre figlie, Laura, Jenny ed Eleanor, che crebbero all’ombra del pensiero paterno, abbracciando in età adulta le teorie comuniste. Ma la figlia prediletta fu la terzogenita, Eleanor, che visse una esistenza contrastata, divisa tra la volontà paterna di elevare la figlia a grande pensatrice e le sue aspirazioni di attrice. Il Novecento si apre con il rapporto tra Freud e sua figlia Anna, «che ha ricalcato le orme paterne cercando di essere come lui e meglio di lui nel lavoro come nella vita, vivendo in maniera produttiva il complesso di Edipo elaborato dal padre». Anna resterà accanto al padre fino alla sua morte nel 1939. Altre figlie illustri furono le sorelle Croce, figlie del filosofo Benedetto, Elena, Alda, Lidia e Silvia «cresciute in un ambiente austero, ma stimolante, erano impastate della farina del padre».

Accanto all’amore filiale si aggiunge quello fraterno, «è innegabile come l’influenza della figura familiare di un fratello o, come di colei che vogliamo prendere ora in esame, la sorella, possa determinare anche il modo di pensare e concepire le cose da parte di un soggetto». La filosofia antica non ci tramanda nulla riguardo alle sorelle dei grandi pensatori. Per quanto riguarda i filosofi moderni, abbiamo notizia della numerosa famiglia di Galileo, che ebbe quattro sorelle, due delle quali, Virginia e Livia, furono molto importanti per il filosofo; di Giovanna Cartesio, sorella del filosofo del cogito, non si sa nulla. Dobbiamo arrivare fino al Seicento, a Blaise Pascal e al rapporto di grande complicità che aveva con la sorella Jacqueline, che ne influenzò la dottrina e il suo pensiero. Poco si sa sulla sorella di Spinoza, Rebecca, tranne che entrò in conflitto con il fratello per questioni di eredità. Neanche Kant fu fortunato nel rapporto con le sorelle dipendenti da lui, unico figlio della famiglia Kant ad aver continuato gli studi, per ogni piccolo problema quotidiano e di denaro. Affine al pensiero del fratello fu Adele Schopenhauer, geniale e brutta, che abbracciò senza remore il pensiero pessimista del fratello. Figura ambigua è quella di Elisabeth, sorella del filosofo del superuomo, Friedrich Nietzsche, egli non ebbe un buon rapporto con lei, definendola molto spesso «una canaglia». Ella si adoperò a propagandare il pensiero del fratello, dopo il suo tracollo psicologico, ma distorse alcuni aspetti della sua filosofia, specie con la pubblicazione postuma di alcuni frammenti sotto il titolo de La volontà di potenza.

 

Filosofi e amanti

Certamente il gruppo più numeroso di donne vicine ai filosofi fu quello delle amanti. Nell’antica Grecia la donna più famosa fu Aspasia, amante di Pericle, del quale fu anche consigliere e guida spirituale. In Grecia la pratica del concubinato era molto diffusa, troviamo concubine accanto ad Epicuro, a Socrate, a Platone e ad Aristotele. Con l’avvento del Cristianesimo il concubinato divenne illegale e nei primi decenni del Medioevo le donne vennero viste o come Eva o come Maria, quindi o come peccatrici o come spose devote e fedeli. A prevalere fu comunque la figura della peccatrice causa dei mali dell’umanità, in associazione con il pensiero del tempo. All’inizio dell’epoca moderna questi veti sono ormai decaduti e vediamo filosofi intrattenersi accanto a bellissime donne e farne delle amanti, senza mai convolare a nozze. Primo tra questi fu Galileo che mai sposò la sua amata Maria Gamba, che lo lasciò per un altro uomo. Nei suoi ultimi anni, egli ebbe accanto Alessandra Bocchineri che lo accompagnò fino alla morte. Nel XVII secolo i rapporti tra i filosofi e le loro amanti non si limitava all’ambiente circoscritto dell’ars amatoria, ma queste donne furono delle vere e proprie guide, con le quali i filosofi instauravano un intenso rapporto di stima reciproca, basato sulle affinità intellettuali e culturali: sarà così per Cartesio ed Elisabetta di Boemia, per Henry More e Lady Conway. Ben diverso è il rapporto tra Spinoza e la sua allieva Clara-Marìa, la figlia di Van den Enden, che ospitava il filosofo ebreo ad Amsterdam. Spinoza e Clara-Marìa probabilmente iniziarono una relazione che influenzò il filosofo nella scrittura della sua opera l’Ethica. Le passioni ritornarono prorompenti con i filosofi illuministi. Primo tra questi Rousseau che visse una vita dissoluta, circondato da tantissime donne e proprio «le sue esperienze amorose impregnarono non poco il suo sistema filosofico». Voltaire intraprese una relazione amorosa con Emilie de Breteuil, scienziata ed intellettuale nobildonna francese. Amore travagliato fu anche quello di Kierkegaard per la fidanzata Regina Olsen: destinati a sposarsi, il filosofo ruppe il fidanzamento, forse perché perseguiva una vocazione religiosa, o perché temeva che la colpa del padre potesse intaccare la nuova famiglia che egli andava a formare. Rapporto complicato con le donne ebbero due filosofi, Schopenhauer e Nietzsche, entrambi definiti misogini. Il primo intrattenne una relazione complicata, ma platonica, con Caroline Jagemann, e dalla delusione per l’impossibilità di questa storia, il filosofo passò da una donna all’altra, senza riuscire a trovare pace; il secondo, intrattenne una relazione con Lou Salomè, l’unica donna che il filosofo amò veramente, «Lou fu una donna intelligente, tenace, uno spirito sensuale e al contempo ribelle, in lei Nietzsche enfatizza la sensualità, la passione, ma anche la freddezza del volere». Stesso secolo, altro tipo di relazione, quella tra Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir che condivisero studi e passioni: «Condivisione della loro stessa vita. È stata una convivenza a tutti i livelli: privata, sociale, politica e intellettuale». Altra relazione complicata fu quella tra Heidegger e la sua giovane allieva Hannah Arendt: «Con un paradosso, si potrebbe dire che la loro relazione nasce e muore allo stesso tempo, rimanendo per tutta una vita soltanto un accenno, un sogno che non si realizzerà mai». 

Le donne, quindi, sono viste come muse ispiratrici; «Le eroine di ieri e di oggi, a cui questo libro si ispira, sono dunque le donne semplici che vivono la loro battaglia nel quotidiano, le cui gesta impavide sono quelle di condurre una vita ordinaria accanto a un uomo straordinario», da questo amore i filosofi di ogni tempo hanno saputo trarre «germi fecondi di sapere» e sono riusciti a veder il mondo attraverso gli occhi della femminilità «una diversa concezione del mondo e della realtà».

 

Antonietta Zaccaro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 40, dicembre 2010)

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