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Anno IV, n. 39, novembre 2010
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Letteratura contemporanea (a cura di Maria Franzè) . Anno IV, n. 39, novembre 2010

Zoom immagine Età storiche tra corti e papati,
ricercando melodie segrete
in un’orchestrazione a più voci

di Domenico Pontrandolfi
Da Barbera editore il mito di Orfeo
in un Rinascimento di cospirazioni


Questo libro ci offre un gigantesco affresco del Rinascimento, un affresco che potremmo definire polifonico nel senso che l’autore inquadra il racconto all’interno di una partitura a più voci, dove i personaggi sono sì separati dallo spazio e dal tempo, ma sovrapposti su righe parallele le cui tonalità si intrecciano, conferendo organicità ad una trama che si dipana dalla Firenze del Savonarola ai nostri giorni.

Il Rinascimento di Helmut Krausser non è solo quello delle corti sfarzose e delle grandi opere d’arte, ma anche quello del tanfo dei vicoli fiorentini e della desolazione dei campi di battaglia dove l’unico canto che si ode è quello dei corvi. Krausser con Melodien (Barbera editore, pp. 816, € 15,50) ci guida nei saloni dei Barberini e degli Este, tra i meschini cortigiani di Mirandola, tra le infedeltà e la violenza della corte dei Gesualdo, nella grandezza e nella grettezza dell’animo umano.

L’autore fa palpitare di fronte alla creazione di un’opera musicale tanto che ci sembra quasi di ascoltare la voce melodiosa di Andrea cantore e poi, con abile fuga, ci riporta tra gli angoli bui della mente dove l’arte non è più strumento di elevazione, ma mezzo di affermazione personale e di potere, per poi accompagnarci ancora più giù, nei pozzi più tenebrosi della ragione dove questa diventa nemesi di una vita infelice.

Ed è qui che Krausser ci conduce nel mito e nella mitologia, facendoci rivivere gli archetipi più profondi dell’essere umano.

 

La melodia demoniaca, tra miti e mitologie, che sconvolse la musica religiosa

Il romanzo è strutturato in due parti: nella prima, il professor Krantz, autodefinitosi un mitosofo, narra al fotografo tedesco Alban Täubner il mito di Castiglio tropator e di Andrea cantore.

L’alchimista Castiglio, giunto a Mirandola, alla corte di Gianfrancesco Pico, si fa ciarlatano in una corte di ciarlatani e, così avvilito, diviene egli stesso materia pronta per una vera trasformazione alchemica favorita dalla ricerca della musica originaria, la vox dei, i tropoi.

In questa ricerca è aiutato da Andrea, figlio illegittimo di Pico, la vera crisalide che si fa farfalla, la materia vile che si fa oro, imparando a leggere e a scrivere, a suonare il liuto e soprattutto imparando a cantare.

Costretto a rifugiarsi a Pomposa (dove, guarda caso, Guido d’Arezzo elaborò per primo la notazione sul rigo), Castiglio trova la forza creativa per dare vita alle melodie divine, ma subito dopo viene ucciso da un gruppo di frati minoriti sbandati mentre Andrea si salva cantando una delle melodie ai malfattori.

Giunto a Ravenna, come Orfeo, il suo canto commuove, ammalia e guarisce i malati.

Ma il bene suscita sempre scompiglio in questo mondo ed Andrea viene condotto davanti all’Inquisizione; che non può far altro che condannarlo al rogo dopo avergli amputato la lingua.

Così Andrea si avvia al rogo, tra due ali di folla commossa e tumultuosa, e dal suo personale Golgota invoca il suo padre spirituale Castiglio, chiedendo perdono per non aver saputo preservare le melodie.

Krausser termina qui la parte del racconto dedicata alla creazione e alla perdita delle melodie e – con abili stratagemmi come racconti, lettere, manoscritti – ci introduce nella fase della ricerca dei tropoi perduti.

Andrea riesce a trasmettere, in confessione, diciassette melodie all’abate di Pomposa Stefano Pallavicini ed in questa fase la vicenda dei tropoi si intreccia con la vita dei grandi musicisti dell’epoca; Krausser molto abilmente, passa a questo punto ad un altro rigo della partitura ed altre voci, altri suoni, pervadono il romanzo inondandolo di un’atmosfera diversa.

Ed ecco l’abate Pallavicini andare a Roma per chiedere al celebre Pierluigi da Palestrina, maestro insuperato della musica polifonica vocale, di scrivere una messa in onore di papa Marcello mostrandogli le melodie di Andrea.

Il Palestrina sembra sdegnato ma poco dopo nasce il suo capolavoro, la Missa Papae Marcelli, le cui note echeggiano delle melodie divine.

 

Nella vita infelice di Marco Antonio Pasqualini la ricerca delle origini di una setta misogina.

Krausser passa ad un nuovo rigo della sua personale partitura, un rigo in cui prevalgono il buio e i toni cupi, che introducono la triste vicenda di Carlo Gesualdo, principe di Venosa, personaggio solitario ai limiti della follia, amico del Tasso e accusato dell’assassinio della prima moglie e del suo amante.

Autore di esasperati madrigali, durante un viaggio a Pomposa, anche Gesualdo prende probabilmente visione delle melodie di Andrea.

A questo punto Krausser pizzica il suo personale liuto facendo confluire le varie vicende dei tropoi in un’unica partitura orchestrale che va in scena nella Roma seicentesca, quella città dove le grandi famiglie dei Barberini, dei Borghese, dei Pamphili e dei Chigi si contendono il papato anche a colpi di sfrenato mecenatismo.

Ed è a Roma che si forma un circolo con lo scopo di ritrovare le melodie di Andrea e Castiglio; ne fanno parte, tra gli altri, Maffeo Barberini, (il futuro papa Urbano VIII) e i suoi fratelli Antonio e Francesco.

Maffeo Barberini, divenuto papa, affida a Gregorio Allegri l’incarico di recuperare le melodie di Andrea e, da questo recupero, nasce la composizione del famoso Miserere a 9 voci e a 2 cori che veniva cantato nella Cappella Sistina durante la Settimana Santa.

Sembrerebbe finita, ma come mille rivoli di un fiume doloroso la storia confluisce nella vita infelice di Marco Antonio Pasqualini (MAP).

Figlio di un ciabattino e notato per la purezza della sua voce, Pasqualini viene praticamente venduto dal padre alla chiesa di San Luigi de’ Francesi dove il giovane Marco Antonio, per poter conservare inalterata la bellezza del suo canto, subisce la castrazione.

MAP viene costretto dai Barberini ad una torbida relazione con Allegri con l’intento di carpirgli il segreto delle melodie.

Pasqualini riesce nel suo scopo, ma le melodie diventano il vaso di Pandora che sparge ovunque il male; MAP diventa dapprima alfiere della contesa che oppone, nel canto, i castrati alle donne (mulier taceat in ecclesia), per poi identificarsi sempre più nel principe Orfeo in lotta contro le Menadi. A questo punto, Pasqualini fonda una setta dedita a sacrifici umani (femminili) ma in un ultimo sussulto di lucidità, promette di riportare le melodie al cielo e questo ci riporta nella Roma moderna dove il professor Krantz è riuscito a convincere Täubner a fotografare di nascosto la cantina di MAP (dove si riuniva la setta) che sta per essere demolita per lavori di sistemazione urbanistica. Ma Pasqualini è riuscito a mantenere il giuramento di restituire al cielo le melodie rappresentandone le note in un mosaico stellato situato nella volta della sua cantina. E mentre Täubner ed il professor Krantz subiscono una vera e propria metamorfosi, identificandosi sempre più rispettivamente in Andrea e Castiglio, la partitura di Krausser trova la sua soluzione.

Täubner si accorge che le grandi stelle del mosaico stellato della cantina del Pasqualini simboleggiano le note intere e le piccole stelle rappresentano le mezze note: tracciando cinque linee, si ricava una successione di suoni sulla linea centrale, poi si procede a ritroso... ed ecco una melodia meravigliosa.

Tutti i tropoi sono caduti tranne quello al centro della volta: resta una sola melodia che Täubner può cantare alla sua amatissima, unica e sola.

Tutto ciò che resta della storia è cantare all’amatissima una serenata, nient’altro.

I fiati, gli archi, le percussioni, le voci del presente e del passato tacciano e Krausser può chiudere la sua storia con un filo di speranza, regalandoci un romanzo in cui parole e musica ci proiettano sapientemente in un passato, dove realtà e fantasia si armonizzano in un concerto dalle mille facce e dalle mille tonalità.

 

Domenico Pontrandolfi

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 39, novembre 2010)

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