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Anno IV, n. 38, ottobre 2010
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Problemi e riflessioni (a cura di Francesca Rinaldi) . Anno IV, n. 38, ottobre 2010

Zoom immagine Il mar Mediterraneo:
barriere fisiche
e strategie politiche
sull’immigrazione

di Paola Mazza
Da Infinito edizioni storie e denunce
nell’intento di superare le distanze


I confini, le barriere, i valichi che separano le diverse parti del mondo. Che fanno di zone anche vicine luoghi estremamente lontani, così distanti da raggiungere. Confini fisici, naturali, ma soprattutto confini fittizi, artificiali, barriere invisibili e resistenti.

Valichi come il mare, quel mare che separa le coste del Sud della penisola italiana, da quelle del Nord del continente africano.  Valichi come le frontiere statali o comunitarie, come le leggi contro l’immigrazione clandestina o per il controllo delle frontiere.

Il mare, attraversato giornalmente da pescherecci che ci riforniscono del pregiato pesce del Mediterraneo e da precarie imbarcazioni stracolme di persone che rischiano la propria vita per attraversarlo. Quel mare ricco di sogni, speranze, aspettative, colmo di sofferenze e tragedie. Quel mare terreno di incontri e di scontri, accordi e controversie tra i diversi stati che vi costruiscono le proprie strategie politiche.

Il Mare di Mezzo (Infinito edizioni, pp. 224, € 15,00) raccontato da Gabriele Del Grande che lo ha percorso allo scopo di raccogliere, da una e dall’altra sponda, le testimonianze dei protagonisti dei suoi attraversamenti.

 

La battaglia politica

Il libro si inserisce in un ricco lavoro, portato avanti da alcuni anni dal suo autore, di racconto e denuncia in relazione al fenomeno migratorio in Italia.

All’opinione pubblica determinati avvenimenti, pur quotidiani, emergono solo in alcune gravi occasioni, a cui la stampa decide di dare temporaneo risalto, come la recente questione dei profughi eritrei prigionieri nel terribile centro di detenzione libico di Al Braq; o lo sbarco avvenuto nell’agosto 2009 che aveva visto arrivare stremati cinque ragazzi di origine eritrea, superstiti di un gruppo di ottantadue persone, dopo numerose giornate di naufragio nel Mediterraneo. Avvenimenti che fanno presto a cadere nell’oblio una volta passati l’urgenza e lo scandalo.

C’è però chi, come Del Grande appunto, lavora con costanza per denunciare le falle e le ingiustizie della nostra legislazione in tema di immigrazione; gli accordi tanto decantati tra lo stato italiano e la dittatura libica in barba al rispetto dei diritti umani; la chiusura delle frontiere, l’innalzamento delle barriere, l’inasprimento delle misure di contrasto dell’immigrazione clandestina e le sue drammatiche conseguenze; le violenze e gli abusi nelle carceri libiche, ma anche nei Centri dell’immigrazione italiani; i respingimenti collettivi; i rimpatri forzati; la difficoltà nel poter accedere alla richiesta di asilo politico…

Fondatore dell’osservatorio sulle vittime dell’immigrazione Fortress Europe (che abbiamo già recensito sulla nostra rivista, vedi il link www.bottegascriptamanent.it/?modulo=Articolo&id=691), autore del libro Mamadou va a morire (vedi il link www.bottegascriptamanent.it/?modulo=Articolo&id=159) e Roma senza fissa dimora (vedi il link www.bottegascriptamanent.it/?modulo=Articolo&id=810), collaboratore al testo Come un uomo sulla terra (vedi il link www.bottegascriptamanent.it/?modulo=Articolo&id=851), e realizzatore di reportage e inchieste, Del Grande porta avanti questa battaglia politica con passione e impegno. «A noi scrittori non restano che le parole per sovvertire la realtà. Io ho scelto le parole del mio amato Mediterraneo, il Mare di Mezzo».

 

L’inchiesta: dal territorio africano…

Il testo nasce da un lavoro di ricerca di tre anni in cui Del Grande ha raccolto osservazioni e testimonianze sui posti e sui protagonisti delle migrazioni che attraversano il mar Mediterraneo, e che l’autore riporta nel libro attraverso il racconto dei suoi viaggi, delle sue esperienze, delle persone incontrate, dei luoghi visitati, delle emozioni provate.

Del Grande fa partire il testo dal suo viaggio in Algeria, dalle storie di padri e fratelli a cui il mare ha rubato i cari con le loro speranze, le speranze di arrivare in Sardegna, lontana solo duecentocinquanta chilometri.

Racconta della chiusura dei paesi europei, del rifiuto di concedere un visto d’entrata. «La Francia che ha ucciso mio zio e mio cugino, la Francia che ha scopato mia nonna, oggi mi chiude la porta in faccia. La Francia che mi ha costretto a parlare la sua lingua e che ancora oggi mi parla di francofonia, mi impedisce di andare a vedere l’opera a Parigi», diceva un padre algerino.

La decisione di “bruciare la frontiera”. Kamel, Boubacar, Hamdi e i figli Mérouane, Faycel e Rédouane. Ragazzi partiti di nascosto o con la benedizione dei propri genitori e poi spariti nel nulla. La morte in seguito a un naufragio? O l’arresto da parte della polizia tunisina? La perseveranza delle famiglie che non si rassegnano ad accettare un destino così ingiusto. Ipotesi su ipotesi, speranze e illusioni, a cui la vita dei parenti rimane dolorosamente aggrappata senza poter farsi mai distrarre da altro.

Poi la Tunisia e l’incontro con sindacalisti e oppositori, la grande insurrezione del 2008 delle miniere di Redeyef, di cui Del Grande ricompone gli avvenimenti e i soprusi perpetrati dallo stato e denuncia la conclusione che si determinò criminalizzando, spaventando e indebolendo il movimento di protesta.

Per alcuni dei condannati e ricercati dal governo tunisino non vi era altra strada che quella dell’emigrazione. Sbarcati in Sicilia persone come Nizar, Laid, Mohamed, furono tra i primi immigrati di nazionalità tunisina a fare domanda di asilo politico in Italia. Asilo che però fu negato perché le storie raccontate apparivano eccessivamente verosimili e cariche di dettagli, determinando il sospetto che fossero state inventate e imparate a memoria.

La Libia, e le carceri di Gatrun, di Ganfuda, di Kufrah, di Misratah, di Zlitan. Le rivolte dei reclusi, le repressioni degli agenti libici. L’autore riporta i tristi racconti rilasciati di nascosto, per telefono, direttamente dal terribile centro di detenzione, dal quale i detenuti gli hanno affidato – perché potessero uscire da quelle mura ed essere pubblicamente gridate, diffuse e conosciute – le proprie storie di migrazione attraverso il mare.

Le detenzioni sommarie nelle carceri dello stato nord-africano, senza essere sottoposti a un processo e senza aver ricevuto una condanna, senza sapere quando e come sarebbe arrivata la fine dell’incubo; le corruzioni di intermediari e poliziotti; le condizioni di reclusione deplorevoli; le violenze e gli abusi. Detenzioni durate anni. «Due anni erano lunghi […] E per una ragazza incinta quanto potevano essere lunghi due anni? E per un bambino appena nato? E per un marito? E per un padre? Quanto tempo duravano due anni?».

Del Grande denuncia inoltre l’intensificazione degli accordi di cooperazione sul tema della difesa delle frontiere stipulati con la Libia; le operazioni di contrasto dell’immigrazione clandestina per opera dello stato libico – dittatura militare e che non ha firmato la Convenzione di Ginevra sull’asilo politico – finanziate con fondi italiani ed europei, pur essendo Italia ed Europa ben consapevoli, come emerge da più documenti ufficiali, di quali siano le reali violazioni dei diritti umani perpetrate dal paese del colonnello Gheddafi.

L’Egitto, la rotta di una parte dell’emigrazione eritrea verso una nuova meta, Israele, affrontando il rischio dell’incontro violento con la polizia di frontiera. Le carceri egiziane, non migliori di quelle libiche. «Anche se avremo la fortuna di sopravvivere a questo calvario fisico, rimarremo disturbati mentalmente per il resto della nostra vita» diceva un detenuto, esprimendo una sensazione condivisa da molti dei protagonisti di questi “viaggi”.

 

… a quello italiano

Ma spesso una volta raggiunto il territorio italiano o europeo l’incubo dei migranti non è in realtà terminato e le aberrazioni continuano nei Cie, i Centri di identificazione ed espulsione. In tali centri – la cui pesante “detenzione” è stata allungata da due a sei mesi – i migranti vedono la privazione della propria libertà per il solo fatto di essere senza permesso di soggiorno, senza aver commesso alcun reato.

Centri come quello di Lampedusa, Milano, Gorizia, Torino, Roma, Modena… contraddistinti per il sovraffollamento, le violenze, i pestaggi, gli autolesionismi dei reclusi per il terrore di essere rimpatriati, le fughe, le rivolte, le repressioni.

E i Cie raccolgono anche le storie degli «italiani tra virgolette», coloro che vivono in Italia ormai da anni e anni, che vi hanno costruito la propria vita, che non saprebbero cosa fare in caso di un rimpatrio nella “propria” terra e che, per le assurdità delle leggi italiane sull’immigrazione, si trovano senza quei documenti che permetterebbero loro una presenza regolare in Italia.

Ancora l’autore racconta dei pescatori di Mazara del Vallo, la “legge del mare”, la loro grande umanità, i valorosi e strazianti salvataggi su quella rotta verso Lampedusa condivisa con i migranti salpati dalla costa libica, a costo di perdere giornate di lavoro e importanti carichi di pesce, correndo anche il rischio di essere accusati di «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina».

Rievoca poi la citata tragedia dell’agosto 2009, quando approdò in territorio italiano l’imbarcazione sulla quale erano ridotti in fin di vita cinque ragazzi eritrei, piccola parte di un gruppo che comprendeva altre settantatré persone che viaggiavano insieme a loro e che avevano perso la vita nel corso della drammatica traversata durata ventitré lunghi giorni. La tragedia vissuta dai naufraghi che avevano dovuto abbandonare uno dopo l’altro i corpi dei loro compagni che non ce l’avevano fatta.

Ma Del Grande scrive anche delle soddisfazioni per le vittorie ottenute. Come quella della campagna Io non respingo, lanciata per manifestare il proprio dissenso in occasione della visita in Italia del dittatore Gheddafi dal 10 al 12 giugno 2009, che ha visto un’ampia partecipazione in tutta Italia. «Eravamo in tanti […] Eravamo una rete i cui nodi ancora non si conoscevano».

E a questa rete va il ringraziamento finale dell’autore: «A questa Italia, giovane e dinamica. […] Senza quell’attenzione, tutta questa fatica non avrebbe senso. E le storie raccontate in questo libro cadrebbero nel vuoto anziché contribuire alla costruzione di un nuovo immaginario. Che liberi dalle frontiere prima le nostre menti e poi le nostre terre».

 

Paola Mazza

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 38, ottobre 2010)

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