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Anno IV, n. 38, ottobre 2010
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Home Page (a cura di Cecilia Rutigliano) . Anno IV, n. 38, ottobre 2010

Zoom immagine Il volo (ed il volto) architettonico
di una città nel lungo Novecento

di Giusy Patera
La crescita urbanistica di un emblematico centro durante il Fascismo
in un articolato volume di Fulvio Terzi per Editoriale progetto 2000


Il verbo “costruire” è spesso usato e percepito in senso evolutivo. E forse non potrebbe essere altrimenti, specie quando lo sforzo in tal senso ha significato per città e società civile sviluppo in avanti.

L’architetto Fulvio Terzi, per molti anni ai vertici della Soprintendenza per i Beni ambientali, architettonici, artistici e storici della Calabria, ha analizzato lo sviluppo di una città in particolare e il “grande balzo in avanti” compiuto da essa nel lungo Novecento e lo fa nel suo ultimo libro, La città ripensata con sottotitolo Urbanistica e architettura a Cosenza tra le due guerre pubblicato da una casa editrice da 20 anni sulle barricate per la difesa dei segni culturali della più varia natura, Editoriale progetto 2000.

La pubblicazione, dal costo di 20,00 euro, si compone di tre parti, il libro vero e proprio di 224 pagine con più di 300 illustrazioni, immagini e foto d’epoca, e poi un fascicoletto dal titolo Piani urbanistici: 1906-1953 costituito da 8 cartine tipografiche e infine un altro dal titolo Cosenza: cartoline a colori che comprende 10 cartoline dei luoghi architettonici presentati dall’autore nel libro.

L’“operazione editoriale” indaga la città di Cosenza, una città del Mezzogiorno d’Italia che ha conosciuto, grazie all’interessamento di diversi politici, uno sviluppo che si potrebbe definire “inusuale”, come dire non d’uso in una regione difficile come la Calabria.

 

L’urbanistica “visionaria”

Cosenza, collocata sulla confluenza di due grandi fiumi, Crati e Busento, è nota ai più per essere stata luogo della morte del re dei Visigoti, Alarico, e per aver accolto la leggenda del suo tesoro. La città era per molti secoli rimasta arroccata sui 7 colli (sì proprio come Roma) e soffocata da palazzine aggettanti su vicoli strettissimi, perlopiù incolumi e ancora visibili agli occhi dei visitatori in giro per quello che oggi viene definito “centro storico”.

È infatti solo nel Novecento che la città abbandona il cuore arroccato e scende al piano, territorio che fino a poco tempo prima era ritenuto insalubre perché lambito dai fiumi. Proprio la pianura ha permesso la progettazione e costruzione di una città secondo i dettami dell’epoca, con isolati regolari e strade ampie.

Lo strumento che ha permesso tutto ciò è stato il Piano di ampliamento del 1910-12 redatto dall’Ufficio tecnico comunale diretto dall’ingegnere Francesco Camposano. In quegli anni Cosenza superava i 20.000 abitanti.

La città – come accade spesso – è cresciuta a un ritmo più veloce degli strumenti urbanistici, così il Piano successivo, del 1936-38 firmato dall’ingegnere Tommaso Gualano, capo dell’Ufficio tecnico del Comune, da un lato prendeva atto dello sviluppo spontaneo e lo organizzava con strade e fognature, dall’altro completava le ipotesi di sviluppo della città.

Viene la sensazione, anche dal racconto dell’autore e dai dati riportati, che nonostante i tempi non troppo facili della prima metà del Novecento, l’Ufficio tecnico del Comune fu all’altezza della situazione, grazie da una parte ad un’amministrazione decisa e risoluta e dall’altra a tecnici che è difficile ritrovare negli uffici comunali odierni. Uomini e tecnici in grado di seguire delle “visioni” che – nonostante qualche sbavatura – si sono rivelate corrette e hanno determinato evoluzioni positive per la città.

 

Opere edilizie fra antico e moderno

Lo sforzo costruttivo trovò una grande leva nel dotare la città di un buon numero di edifici pubblici.

Tra gli altri, prima del 1934, le Regie poste e telegrafi, il Palazzetto dell’Accademia cosentina, l’Acquedotto del Merone e la Casa littoria “Michele Bianchi”, tutte realizzazioni dal punto di vista estetico legate al passatismo.

Particolarissimo l’aspetto dell’Acquedotto, in stile neogotico con torri merlate da castello medievale e finestre ad ogiva… soprattutto considerando la funzione dell’edificio.

Da questi esempi in poi, il sentimento di amministratori, progettisti e costruttori si rivolse verso le nuove tendenze architettoniche, che anche altrove vennero “imbrigliate” e “cavalcate” dal regime fascista.

Espressione della svolta sono, tra gli altri, la Casa della Gioventù italiana del littorio (Gil) oggi Cinema Italia, il Palazzo del Consiglio provinciale dell’economia corporativa o delle corporazioni oggi Camera di Commercio, frutto quest’ultimo di un concorso d’idee vinto da una triade particolare, i due architetti di grido Giorgio Calza Bini e Mario De Renzi e l’ingegnere autoctono Franco De Luca.

Entrambi gli esemplari citati hanno un prospetto convesso aggettante sullo spazio antistante.

Assai particolare anche il Monumento ai Caduti, se altrove ci si limitava alle solite immagini “strappalacrime”, a Cosenza il monumento progettato da un architetto, Nino Bagalà, di Palmi (in provincia di Reggio Calabria) è un inno alla purezza delle linee geometriche.

Particolare pure la storia progettuale e costruttiva del Palazzo degli Uffici finanziari, partito con uno stile neorinascimentale e poi riprogettato dall’architetto Camillo Autore per conto dell’impresa appaltatrice, impresa Vitale, quasi un colosso imprenditoriale dell’epoca.

Numerosi altri sono i progetti, prima, e gli edifici costruiti, poi, interessanti dal punto di vista della composizione architettonica: l’Istituto magistrale “Lucrezia della Valle”, il Sanatorio antitubercolare (oggi Ospedale “Mariano Santo”), l’Ospedale civile, caratterizzato dal complesso disegno distributivo basato su padiglioni, il Banco di Napoli, l’Istituto nazionale fascista della Previdenza sociale (oggi Inps), l’Istituto nazionale fascista per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (oggi Inail).

E non solo, interessanti sono anche le nuove soluzioni costruttive, i nuovi materiali impiegati e le nuove tecniche, prima fra tutte il cemento armato.

 

Dal Secondo dopoguerra ad oggi

A Cosenza giungono le firme prestigiose dell’architetto Mario Ridolfi, con il progetto del Carcere giudiziario e dell’architetto Vittorio Ballio Morpurgo con il progetto della Chiesa di San Nicola.

Altri progetti importanti sono quelli della Chiesa di Santa Teresa, dell’architetto Mario Ferrari e del Palazzo di città, a firma degli architetti Salvatore Giuliani e Luigi Molezzi e degli ingegneri Francesco Mari e Mario Granata.

Certamente una quantità più modesta che dimostra per contrasto l’attività fervida dei decenni precedenti e che dovrebbe far riflettere sugli episodi di “brutta architettura” che si consumano oggi nelle strade della città di Cosenza e non solo, sia quanto ad edilizia residenziale che quanto a quella di rappresentanza. Come se bastassero qualche torre vetrata, altezze inusitate e vele sospese –quando ci sono – a rendere architettura ammassi di cemento, vetro e piastrelle.

 

Tra il turistico e lo scientifico

Libro interessante dunque, con tante e belle illustrazioni che fanno gustare lo sfoglio del libro, soprattutto e non solo per i cittadini, ma anche per i visitatori (per questo target non avrebbe guastato una struttura del libro non solo cronologica ma pure a percorsi o a quartieri, per favorire anche una conoscenza turistica “meno canonica” della città).

Proseguendo in quest’ottica più turistica che accademica, una scrittura avulsa da un congruo uso di termini tecnici e scientifici avrebbe aiutato nella divulgazione di argomenti atti a stuzzicare la curiosità “paesana”, e quella che si muove al di là dei confini, per così dire, “strapaesana”. Appunti questi che nulla tolgono a un’opera che ha superato e bissato i tentativi editoriali precedenti sull’argomento.

Tornando invece alla chiave scientifica del libro, probabilmente un maggior inquadramento di tipo storico-politico della materia trattata sarebbe stato utile. Soprattutto nel tratteggio della figura, dell’opera e dell’eredità politica quanto costruttiva del quadrumviro Michele Bianchi che, ricordiamo, morì prematuramente all’inizio degli anni Trenta senza vedere le aberrazioni politiche successive del regime fascista. Una figura controversa, forse troppo potenziata nell’immaginario collettivo dei suoi conterranei calabresi e che per questo avrebbe bisogno di una rilettura obiettiva, lontana dai fanatismi che lo dipingono come il “Santo in Paradiso” dei calabresi.

 

Annalisa Pontieri

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 38, ottobre 2010)

Redazione:
Agata Garofalo, Francesca Rinaldi, Antonietta Zaccaro
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