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A. XVIII, n. 199, aprile 2024
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Dibattiti ed eventi (a cura di Giulia De Concilio)

Da Laura Boldrini
un drammatico racconto
delle discriminazioni
sugli immigrati in Italia

di Eva Catizone
Un’occasione per riflettere sulle condizioni degli immigrati e il razzismo
italiano. In un bel libro della portavoce Onu per i rifugiati. Edito da Rizzoli


Presentato a Catanzaro, nella cornice dell’Istituto industriale “E. Scalfaro”, Tutti indietro di Laura Boldrini (Rizzoli editore, pp. 220, € 18,00): una vita, con lo sguardo rivolto alla parte dei rifugiati, che diventa racconto in forma autobiografica sull’immigrazione nell’Italia di oggi, caratterizzata da pericolose, crescenti derive razziste e antisociali.

L’evento, voluto dall’associazione “Il luogo della politica” presieduta da Anna Maria Longo, ha visto alternarsi impressioni di lettura di donne da diverse angolazioni possibili: la scuola, il giornalismo, la politica. Ognuna di esse a modo proprio impatta con questa nuova forma d’esodo: l’immigrazione, che riguarda una moltitudine mutevole in costante movimento.

Tutti indietro, fresco di stampa per i tipi di Rizzoli, è un libro/testimonianza che si rivela un utile strumento per accostarsi a una problematica d’attuale urgenza e scritto da un punto di vista privilegiato: quello della portavoce per l’Italia dell’Alto commissariato Onu per i Rifugiati, in uno stile che spesso contamina, “meticciandoli”, ricordi privati (il padre, l’Adriatico…) e pubblici, che sono storie di clandestinità. Un affresco in cui scorrono immagini di luoghi che raccontano di uomini e donne in fuga, in specie per la via dell’acqua: il molo di Favarolo di Lampedusa, l’isola siciliana di Camilleri dove la presenza del centro d’accoglienza non ha scalfito la vocazione turistica dell’Isola dei Conigli, quasi a voler infrangere un pregiudizio troppo diffuso, l’isola/crocevia di sbarchi e naufragi, che è una presenza ricorrente nel libro; le coste d’Otranto pugliesi e gli approdi dei kosovari ad opera degli scafisti albanesi; gli uomini-tonno, i trentasette africani in balìa della sorte al largo nel Mediterraneo, stipati in una gabbia per tonni tra la Libia e Malta, che rappresentano il punto di maggior insensibilità da degrado umano, da “vergogna dell’Europa” come titolò The Independent.

 

Dal pregiudizio all’intolleranza, un rischio anche per l’Italia

Non è un caso se il libro è dedicato alle “donne in fuga dalla paura”, alle “donne invisibili, senza diritti e sole, quelle che pagano il prezzo più alto” e rappresentano l'ultima frontiera d'una condizione di estremo limite: donne immigrate, in una fuga che per loro sa di salvezza, troppo spesso vittime di violenze, abusi, soprusi... 

Protagonisti del libro sono i respingimenti in mare, resi ancor più odiosi da quel Trattato tra l’Italia e la Libia di Gheddafi, in un paese, il nostro, trasformato in una fortezza malgrado la vocazione all’accoglienza, in cui troppo spesso vengono assecondate equazioni semplicistiche: migrante=rifiuto, immigrazione=criminalità… Un’Italia, quella di oggi, in cui viene privilegiata la percezione negativa dell’immigrato che genera un senso d’insicurezza diffuso. Un paese segnato dalla latitanza della politica, d’una politica che predilige semmai le dinamiche da costruzione del consenso e alimenta la paura verso l’Altro: lo straniero, rispetto alla praticabilità di costruzione d’una convivenza pacifica tra popolazioni. Non a caso il libro suona anche come un j’accuse verso due mondi: la politica e la stampa, colpevoli entrambi d’aver oscurato la solidarietà, alimentando l’indifferenza se non il respingimento. Sicché la lettura di Tutti indietro si trasforma in una cronaca che restituisce, pagina dopo pagina, l’altra faccia degli sbarchi. Ne esce un quadro ambivalente: da un lato l’Italia dei pregiudizi, dalla strage di Erba e annessa criminalizzazione dell’immigrato che fa notizia, agli insulti da stadio a Balotelli, figli di un pregiudizio da colore della pelle, e la punta massima d’intolleranza rappresentata dall’avversione nei confronti degl’immigrati d’etnia rom. Insomma, un paese in cui manca un’educazione sentimentale sui diritti umani.

 

L’Italia solidale con l’Altro: l’esempio di Riace

Dall’altro lato, si trova l’Italia che “c’è ma non si vede. Che c’è ma non ha voce”. Che è anche quella di Riace, luogo della Calabria estrema dove grazie a virtuose politiche pubbliche l’immigrato è stato trasformato da problema in risorsa. Quella Riace della vicenda felice da melting pot, fatta di buone pratiche d’accoglienza e prossimità sociale. La Riace di Mimmo Lucano, per il quale «sono stati più importanti i rifugiati dei bronzi», che in Calabria fa da contraltare a quella triste vicenda di ostilità, alla lucida follia da Stagione all’Inferno della Rosarno 2010.

Non è un caso se, giusto in chiusura del suo intervento, la Boldrini abbia dedicato a Riace uno dei passaggi maggiormente significativi, come del resto è anche nel libro. In quell’appello conclusivo rivolto al neo presidente Scopelliti, affinché, su un tema che nel Consiglio regionale appena trascorso, che ha visto maggioranza e opposizione concordare sull’approvazione d’una legge (la sola in Italia) in materia d’accoglienza e di diritto d’asilo, si possa continuare magari rilanciando da destra – a partire da un’eredità lungimirante così significativa, lasciata dall’amministrazione regionale uscente, in quanto a pratiche da cantieri sociali e sviluppo locale.

Certo, però, ci vorrebbe una destra davvero illuminata!

 

Eva Catizone

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 34, giugno 2010)
Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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