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Anno IV, n. 33, maggio 2010
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Biografie (a cura di Fulvia Scopelliti) . Anno IV, n. 33, maggio 2010

Zoom immagine La trionfale ascesa
delle donne al voto
e all’onore sociale

di Paola Foderaro
L’evoluzione giuridica della donna
negli ultimi secoli, per Mond&editori


Per chiunque cerchi una bellissima panoramica e un gran numero di riferimenti bibliografici sul tema della conquista dei diritti da parte delle donne negli ultimi due secoli, il testo di Gaetanina Sicari Ruffo dal titolo Il voto alle donne (Mond&editori, pp. 159, € 16,00) offre un ottimo punto di partenza. Un tema attualissimo e un intento non banale, se si tiene conto dell’alto numero di studi già svolti sull’argomento da storici affermati.

Nel testo si approfondiscono moltissimi aspetti della lotta per la rivendicazione dell’autonomia, la dignità e l’affermazione sociale della donna, attraverso l’evidente e approfondita documentazione condotta dall’autrice, che ha sempre cura di citare le fonti dell’epoca. La Ruffo si dimostra sensibile indagatrice dei contesti in cui le idee di riforma al femminile nacquero e iniziarono a farsi sentire – principalmente in sede pedagogica, parlamentare, giornalistica – e appare “forte” nelle parti in cui tratta di protagonisti ed eventi del dibattito parlamentare di epoca giolittiana, e delle voci di donne nella carta stampata – preponderanti nel testo. Importante è inoltre il contributo della Ruffo a livello di individuazione di personaggi femminili italiani e stranieri poco conosciuti dal grande pubblico, che hanno permesso al dibattito sui diritti della donna di avanzare e ottenere condivisione politica.

 

Una materia multiforme, difficile da dominare

Se abbiamo definito questo volume come un buon punto di partenza, non possiamo tuttavia allo stesso tempo dire che sia anche un buon punto di arrivo: gli spunti su cui si basa non trovano forse, infatti, un’argomentazione adeguata. In molti, troppi aspetti, il testo non appare sufficientemente “definito” per potersi collocare sul piano della riuscita ricerca storica. Nel testo si incontra di continuo l’espressione “movimento di emancipazione femminile”, della quale però non viene mai data una definizione chiara: il fatto di riferirla a ogni spinta di rivendicazione di dignità da parte della donna pare annacquare il concetto chiave dell’opera, riducendolo a qualcosa di eccessivamente vago, che dunque non fornisce al lettore un guadagno concreto, da un punto di vista teorico, dalla lettura del libro. Questo va ad aggiungersi alla generale eccessiva vaghezza di categorie storiografiche e di giudizio: non si trova un ancoraggio fermo per queste ultime, che si legano a fatti citati in modo sparso, ma senza essere collegati a inizi, fasi, crolli di ideologie e modi di vedere il mondo.

 

Un’elaborazione che necessita ulteriore maturazione

Inoltre si percepisce chiaramente questa mancanza di “statuto” dell’opera già dal fatto che l’autrice tenda spesso ad allargare la trattazione a terreni che conosce in fondo troppo poco, finendo per dare giudizi di superficie e ricadendo sovente nel “fuori tema”. Ciò si riscontra in tutti i capitoli: disturba la lettura il fatto che i personaggi di cui si parla vengano riproposti di continuo senza i dovuti agganci alla loro precedente citazione, ripetendone ogni volta l’identità storica in brevi paragrafi avulsi dal resto dell’argomentazione, come se fossero capitati lì per errore, privi di alcunché di essenziale ai fini dell’argomentazione. L’impianto globale del testo è purtroppo compromesso da questa mancanza di un ordine chiaro, saggiamente articolato e ben sviluppato, e comporta un’impressione di mancanza di scorrevolezza.

 

Questioni di limitazione di campo

Ciò che nei capitoli centrali si manifesta in frammentarietà e poca organicità, nei momenti clou dell’esposizione diventa un problema macroscopico. Nell’avvio dell’opera, ad esempio, dove si cerca di parlare del ruolo della donna dalla Grecia arcaica ai giorni nostri. In proposito, abbiamo la presunzione di credere che il fatto che nel testo non esista un “capitolo II”, ma due “capitolo I”, dipenda da una sorta di lapsus calami che è indice di una forzatura che ha snaturato l’opera in un momento avanzato della sua redazione: il primissimo capitolo, che vorrebbe dare in poche pagine un giudizio sulla conquista dei diritti muliebri in tutta la storia che precede l’età moderna (un po’ improbabile come compito, e risultato è che l’argomento non viene trattato a dovere, risolvendo quindici secoli di storia in poche righe) sembra un’aggiunta inappropriata, dettata da una smania di completezza che appare inadatta al presente volume, oltre che difficilmente realizzabile.

 

Questioni di metodo

Nell’ultimo capitolo, poi, si cerca di trarre conclusioni sulla precedente trattazione da un punto di vista ideologico-filosofico: di nuovo un intento troppo vasto per lo sviluppo della dissertazione che viene effettivamente fatta. E nel farlo, nettamente in ritardo sulla tempistica di lettura, il metodo che l’autrice dichiara di aver usato – quello della Kulturgeschichte   a conti fatti non si può certo riscontrare nelle pagine lette, in quanto esso richiede proprio ciò che qui manca: la gestione accurata di una molteplicità di fonti su diversi versanti in modo tale che ci sia una loro continua e progressiva integrazione con riscontri teorici precedenti e riferimenti a dati ben precisi e decisivi. Il libro, per assurgere a storiografia riuscita, richiederebbe una rielaborazione maggiore dei dati e una concezione storica più salda.

 

I meriti dell’intento

C’è in ogni caso da ricordare che l’autrice dimostra di aver letto un grandissimo numero di testi sull’argomento, per lo più scritti dalle protagoniste stesse della lotta ottocentesca e del primo Novecento, il che ha un altissimo valore documentario e permette di valorizzare figure che meriterebbero di essere approfondite, come quella della Mozzoni: sarebbe bene che l’indagine si limitasse appunto a questo. Troviamo che sarebbe stato meglio, inoltre, dedicare più attenzione all’esposizione, dato che spesso i paragrafi e i capitoli non sono organizzati secondo l’uso di norme retoriche salde: spesso mancano totalmente le conclusioni, ci sono salti argomentativi e non si traggono le fila concettuali di ciò che si è elencato sotto forma di dati di fatto.

Sembra insomma che la grandezza d’intenti abbia portato a investire male un materiale abbondante e interessante, che avrebbe permesso un’elaborazione più proficua se si fosse limitato l’orizzonte dell’opera e se si fosse resa l’architettura del testo più essenziale, controllata, coerente e meno ridondante.

 

Paola Foderaro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 33, maggio 2010)

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