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Anno IV, n. 32, aprile 2010
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Biografie (a cura di Fulvia Scopelliti) . Anno IV, n. 32, aprile 2010

Zoom immagine Delitti di guerra:
dall’Egeo all’Italia
il naufragio Sinfra

di Paola Mazza
Un saggio autobiografico edito da Cle
ci fa rivivere il dramma del 1940-1945


L’assurdità della guerra che viene combattuta in larga parte da soldati ignari e incoscienti di quel che accade. L’assurdità di un giovane mandato allo sbaraglio a combattere in Grecia con “camerati” che diventano improvvisamente nemici. L’assurdità dei comandi militari italiani che si squagliano senza lasciare ordini.  L’assurdità della Raf britannica che, pur di affondare una nave tedesca carica di armi, non si esime dal far morire centinaia di soldati italiani antitedeschi e centinaia di partigiani greci. L’assurdità del mors tua vita mea: ovvero il come sopravvivere, da naufrago, per numerose ore, su una traballante tavoletta di legno difesa contro gli “assalti” degli altri disperati, fra i flutti dell’Egeo. L’assurdità della prepotenza tedesca che obbliga i disorientati soldati italiani all’adesione alla Rsi. L’assurdità di un piccolo ufficiale italiano che si trova schiacciato fra fascisti e partigiani e che – sbagliando fortemente – pensa di far la cosa corretta “rifugiandosi” nella scelta istituzionale del grigio-verde. L’assurdità dell’accorgersi di essere dalla “parte sbagliata” e la conseguente voglia di spostarsi nella “parte giusta”.

Il libro che andiamo a trattare è un po’ tutto questo.

Essere protagonisti di esperienze singolari, uniche; avere la volontà di raccontarle, di rendere noto agli altri ciò che è custodito unicamente nei ricordi, perché i propri racconti «possono essere utili all’umanità e alla storia», perché «non possono e non devono morire nella e con la memoria di chi li ha vissuti». Tale è il sentimento che accompagna la letteratura autobiografica e memorialistica.

Numerose sono le opere dei reduci della Seconda guerra mondiale, fra le quali troviamo L’affondamento della Sinfra. La guerra nell’Egeo e in Italia (Cle, pp. 148, € 6,20), ad opera di Paolo Mazza.

Anche volendo celare il conflitto di interessi soggiacente alla recensione del testo, esso apparirebbe ad un primo sguardo dei nomi dell’autore del libro e del presente articolo. Ebbene, non posso nasconderlo, il racconto è proprio di mio nonno!

Al di là, tuttavia, di tale vicinanza consanguinea e affettiva, nonché della condivisione o meno di scelte e considerazioni presenti nell’opera, lo scritto rappresenta un’esemplare e appassionante testimonianza di un uomo che ha vissuto singolari vicende di vita e di guerra, che ha voluto imprimere in un libro affinché possano essere ricordate. 

L’autore – morto nel 1998, un anno prima che la sua opera fosse pubblicata – racconta la sua esperienza di giovane ufficiale di complemento dell’esercito italiano.

Attraverso una chiarezza espressiva e uno stile coinvolgente, riporta le spesso drammatiche vicende vissute nel corso degli ultimi anni di guerra e nei primi momenti del dopoguerra.

Come afferma Fausto Cozzetto nella sua Prefazione, seppure la stesura del libro segue di molti anni gli avvenimenti narrati, e dunque non manca il rischio di un certo “inquinamento” che potrebbe nascere dallo scrivere di ricordi lontani, il valore del testo appare di notevole rilievo.

 

La spedizione sull’isola di Creta

Il racconto ha inizio quando il 20 dicembre 1942 Mazza, di origine cosentina, venne chiamato a ricoprire, per la sua prima volta, l’incarico di Ufficiale dell’esercito italiano con il grado di Sottotenente. Un forte senso del dovere verso lo stato apparteneva all’autore. E tale era il sentimento per il quale egli, pur non essendo di fede fascista (da giovane aveva anche partecipato ad alcuni movimenti antifascisti comunisti), mostrò un comportamento di rigorosa fedeltà allo stato di Mussolini.

Trascorse venti giorni nella Caserma del Quarto centro automobilistico di Verona, della quale critica aspramente la grave assenza di un efficace addestramento delle truppe, che venivano istruite più alle parate che agli strumenti tecnico-militari necessari nel contesto bellico. Nel centro veneto, infatti, «non si davano istruzioni alle reclute destinate al fronte o consigli su come guerreggiare, o come difendersi dalle mille trappole che la guerra tende, [...] non c’era tempo per istruire la “carne da macello”».

Fu poi inviato sull’isola di Creta. In Grecia la vita militare si svolgeva regolarmente e buoni erano i rapporti con la popolazione locale. Ma una strana assenza di informazioni sull’andamento generale della guerra faceva presagire che qualcosa non andava. Dalle fonti ufficiali non si riusciva a comprendere l’evoluzione del conflitto e “Radio Fante”– come venivano chiamate le notizie che arrivavano all’accampamento per via ufficiosa – non poteva essere considerata del tutto attendibile.

 

Da alleati a nemici

L’informazione alla fine arrivò: «Mussolini non c’è più. Nessun’altra notizia. La guerra però continua», solo che a comandarla adesso è Badoglio. Il 25 luglio non portò infatti grandi cambiamenti alle truppe italiane stanziate in Grecia. Soprattutto a chi, come Mazza, non apparteneva alla milizia fascista ma, indossando la divisa grigio-verde (e non la nera), era alle dipendenze non del partito di Mussolini ma dello stato italiano.

Fu l’armistizio dell’8 settembre, invece, a modificare notevolmente la situazione. Nuovamente le notizie arrivarono prima per via ufficiosa. Le informazioni, alle quali l’autore non poteva credere, parlavano di una resa dell’Italia. Non si poteva «ignorare chi dorme negli accampamenti coi fucili in mano», pensava. Non vi erano infatti nuovi ordini e non si sapeva più contro chi si doveva combattere e da chi invece ci si doveva difendere.

Ma a togliere ogni dubbio furono le truppe tedesche, fino ad allora alleate, che, anch’esse stanziate nell’isola di Creta, intimarono ai militari italiani la scelta fra quattro possibilità: combattere con l’esercito di Hitler, prestare servizio ausiliario armato, prestare servizio ausiliario disarmato, o dichiararsi prigionieri di guerra ed essere deportati nei campi di concentramento.

Fra le terribili e uniche possibilità Mazza scelse quella di ausiliario disarmato. Fino a quando i tedeschi non le ridussero a due: combattere nell’esercito tedesco o dichiarasi prigionieri. «Non avevo altra scelta che la prigionia».

 

Il naufragio

Dopo una breve detenzione i soldati furono condotti al porto di Iraklion e imbarcati sulla nave dal nome “Sinfra”. Insieme ai prigionieri italiani, erano imbarcati sulla nave anche altri deportati politici filoinglesi, nonché una grande quantità di armamenti.

La traversata appariva tranquilla. Ma nel pieno della notte accadde qualcosa di terribile. L’imbarcazione tedesca subì infatti il bombardamento dell’aviazione britannica che, pur consapevole del carico umano, anche di propri partigiani, era fortemente interessata alla distruzione delle armi trasportate dalla nave.

L’autore descrive i drammatici momenti che seguirono l’attacco, il terrore della gente, l’indecisione fra il gettarsi nelle buie acque marine o rimanere sulla nave incandescente. Mazza dopo lunghi momenti di incertezza decise di immergersi anch’egli, completamente nudo, in mare. Cercò qualcosa a cui aggrapparsi per rimanere a galla. Trovò prima un gommone, poi un’asse di legno. Vide i suoi compagni di sventura scomparire uno ad uno inghiottiti dalle acque marine, mentre questa crudele selezione concedeva maggiori speranze ai pochi rimasti, che potevano meglio adagiarsi sui pezzi galleggianti. L’autore si chiedeva quando sarebbe arrivato il suo turno. Privo di vestiti, il freddo lo tormentava e ripensava alle tante inutili marce effettuate durante i corsi di addestramento, mentre non aveva ricevuto alcuna indicazione su come ci si dovesse tuffare in mare in caso di naufragio.

Dopo sedici ore di tormento, circa tremilacinquecento uomini avevano perso la vita in quelle drammatiche condizioni.

 

Il rientro in Italia

Per i pochi rimasti vivi la terribile esperienza si concluse con la salvezza quando alcune imbarcazioni tedesche raccolsero i naufraghi a bordo. In seguito ad una crudele prigionia e costretti a giurare fedeltà alla Germania, gli italiani furono condotti alla volta di Atene e, dopo aver aderito alla Repubblica sociale italiana (grande opportunità per tornare in patria che molti soldati accolsero), finalmente in Italia.

Ma, alla fine del 1943, il paese era diviso in due e la Calabria era irraggiungibile. Al Sud vi era il governo Badoglio, al Nord si stava invece organizzando la Rsi.

Mazza, ufficiale dell’esercito grigio-verde, non sentiva di appartenere né all’uno né all’altra: «noi non avevamo più territori da difendere; erano occupati al Nord e al Sud da due eserciti, ambedue nostri nemici». D’altra parte escludeva categoricamente l’idea di potersi unire alla lotta partigiana.

Così l’autore scelse quella che gli appariva come la via istituzionale e finì con l’indossare la divisa – sempre grigio-verde – dell’esercito della Rsi.

Nel frattempo le truppe angloamericane avanzavano e l’azione dei partigiani si faceva sempre più forte.

All’inizio del 1945 Mazza – che matura sempre più la sua posizione di lontananza dal fascismo – decise di prendere contatti con la formazione partigiana Giustizia e libertà e con il suo comandante Rino. L’accordo era che, al momento dell’insurrezione, Mazza avrebbe preso il comando della caserma e, mantenendola integra di tutti gli automezzi, l’avrebbe consegnata successivamente al medesimo Rino.

 

La Liberazione e il Dopoguerra

L’autore racconta in seguito della confusione e delle ingiustizie che si verificarono alla fine del conflitto, per cui chi era riconosciuto come antifascista poteva fare qualsiasi cosa a danno di coloro che erano individuati come fascisti. Denuncia inoltre la sommarietà dei processi che vennero effettuati dopo il 25 aprile, dei quali rischiò di essere anch’egli una vittima. Insomma: quando la guerra civile “ufficiale” sembrava essersi conclusa, racconta, se ne apriva un’altra sommersa ma non meno crudele dove gli ex torturati diventavano torturatori e gli ex aguzzini vittime.

Poi, ottenne finalmente un lasciapassare per Cosenza e, chiedendo passaggi agli automobilisti, giunse fino a Roma, dove prese il treno per la Calabria.

Fece ritorno alla sua città natale. Ma, benché fosse persona giovane e colta, mal comprendeva gli avvenimenti politici di allora e si mostrò ingenuo e impreparato. Dopo una prima iscrizione al Pci effettuò difatti un successivo passaggio alla Democrazia cristiana; nel frattempo aderiva ad associazioni di reduci e partigiani. E il racconto si chiude infine con una nota di amarezza nella maturazione di una certa sfiducia nell’azione politica.

 

Importanti contributi storici

Rilevante, dunque, il valore storico, oltre che personale, del testo. Come evidenzia infatti Fulvio Mazza nella Nota del curatore, dal libro emergono alcuni dati che fanno dell’opera un «piccolissimo ma concreto contributo alla storia della Seconda guerra mondiale». Fra i quali le già citate testimonianze della scarsissima preparazione tecnica che i militari italiani avevano ricevuto durante la loro formazione, più attenta alle marce che ad effettivi strumenti di sopravvivenza; la disinformazione che le truppe ebbero in occasione di eventi quali la caduta del Fascismo e l’armistizio del governo Badoglio con l’esercito angloamericano; la freddezza dell’aviazione britannica che – sebbene consapevole che imbarcasse migliaia di uomini italiani e greci, ma più interessata a distruggere gli armamenti in essa contenuti – bombardò la Sinfra; il “disincanto” che caratterizzava i militari italiani che erano spinti solo dalla motivazione alla sopravvivenza a scegliere l’adesione al movimento partigiano o allo stato repubblichino; la confusione che caratterizzò la vita politico-associativa del dopoguerra.

 

Paola Mazza

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 32, aprile 2010)

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