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Anno IV, n. 31, marzo 2010
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Letteratura contemporanea (a cura di Maria Franzè) . Anno IV, n. 31, marzo 2010

Zoom immagine I sogni di pace
ed il coraggio
di una giovane

di Agata Garofalo
Per Falzea una riflessione
sul degrado della società
e l’inutilità di tutte le guerre


Sono molte le disumanità generate dalla guerra. Agendo direttamente sul subconscio umano, essa porta ad una visione esasperata del reale. I risultati vanno dall’esaltazione più cieca e fanatica delle proprie ragioni fino alla perdita progressiva di stimoli e motivazioni alla vita. In entrambi i casi, «la guerra fa sì che la vita [sia la propria che quella  degli altri, Nda] perda definitivamente il suo valore », ed allora vivere o morire diventa la stessa cosa. Si giunge ad una visione tanto distorta della realtà da pensare che per ottenere la pace sia necessario agire con la forza, passando attraverso la guerra. Per fortuna c’è ancora chi crede fermamente che la strada verso la pace non possa passare attraverso la reazione violenta o la rassegnazione passiva. C’è ancora chi professa la diplomazia e la resistenza pacifica, ed è pronto a “lottare” e morire per i suoi ideali. Queste e molte altre attualissime riflessioni ispira il libro di Antonio Cracas, Raìshja (Falzea editore, pp. 196, € 15,00). È un romanzo sul rapporto tra guerra e pace, ma anche, tra l’altro, sui rapporti umani in generale (familiari, d’amicizia, d’amore e di lavoro), sulla bellezza, sulla malattia e sulla condizione femminile. Antonio Ferrero – Cracas è il cognome materno – è nato a Torino nel 1958. È musicista jazz, attore di teatro, occasionalmente giornalista ed autore di un blog molto visitato, ospitato dal sito de La Stampa. Raìshja è il suo primo libro, seguito da altri due di carattere biografico.

 

L’intreccio narrativo

Ambientato in un futuro vicino e verosimile, il romanzo è tremendamente attuale.

La narrazione trasporta direttamente il lettore in piena Terza guerra mondiale, dichiarata,

ormai da più di tre anni, dalla “Lega d’Oriente” a tutto l’Occidente.

Lo scenario socio-politico presentato è quello di un futuro prossimo (il 2015), abilmente costruito in equilibrio perfetto sul filo del possibile, tra realtà e fantasia: «il vecchio rapporto umano stava definitivamente scomparendo. Le comunità stavano diventando sempre più virtuali. I media diffondevano tanta pubblicità e molta volgarità. I valori veri erano stati abbandonati, l’informazione commerciale era diventata cultura, la stupidità una norma».

Raìshja Ishnar è una guida turistica mediorientale, saggia ed equilibrata, dolce e bellissima, che viene coinvolta, suo malgrado, nel conflitto in atto. La vediamo costretta ad allontanarsi dal suo paese per raggiungere l’Italia, dove entrerà a stretto contatto con alcuni terroristi attivisti ma anche con tante persone “normali” eppure peculiari, e dove vivrà il sogno di un amore apparentemente puro e profondo con un italiano. Questi incontri, insieme ad altre dolorose vicende, cambieranno irreversibilmente la sua vita, segnando la sua personalità ed il suo fisico.

Parallelamente alla storia di Raìshja seguiamo quella di Giorgio Gherardi, un giornalista italiano inviato speciale in Medio Oriente, ed il suo incontro ravvicinato con uno dei “pezzi grossi” dell’esercito orientale.

Seppur da lontano, le vite dei due personaggi sono destinate ad intrecciarsi, ed entrambi diventeranno, meritatamente ma in un certo senso anche involontariamente, “eroi di guerra”, simboli viventi del fatto che per ottenere la pace non è necessario reagire con la forza né far del male al prossimo. In un inaspettato e struggente finale, la narrazione si concentra su Raìshja, è affidato a lei il compito di risolvere l’intreccio narrativo.

Il racconto però non si limita a ruotare intorno alla figura della giovane. Offre piuttosto un ritratto dettagliato ed approfondito di ogni personaggio (di cui possiamo distinguere i vari aspetti caratteriali) e delle relazioni che tra essi si vengono a creare. Più che altro si tratta di amicizie stroncate ed amori incompiuti, ma comunque, anzi forse proprio per questo, esperienze profonde e significative.

 

Le tematiche: “nonsologuerra”

L’intero romanzo è un inno alla pace, contro tutte le guerre. Ciò trapela sia attraverso discorsi diretti e mirati ma anche da segnali più impliciti, come la suggestiva immagine di una donna che ha appena perso tutto in seguito ad un’esplosione: «Diede la sensazione di muoversi senza una meta. Credo che da quel momento lo scopo principale della sua vita fosse camminare in cerca di un equilibrio, per non crollare come le macerie che la stavano circondando». Le intenzioni pacifiste diventano evidenti nel bellissimo monologo di Raìshja, che in un momento di sfogo parla dell’«inutilità del sangue versato da tutte le vittime innocenti», perché in fondo tutti, sia orientali che occidentali, perseguono gli stessi ideali di giustizia e libertà, «ma bisogna ottenere ciò con il confronto pacifico, […] in modo democratico: è l’unica speranza». E solo chi perde la speranza perde i valori in cui crede e con loro anche il senso della vita.

Raccontando le contraddizioni e le tensioni che dividono il mondo, ma anche le emozioni ed i tormenti dell’animo umano, l’autore restituisce una visione completa e particolareggiata dell’umanità: dai conflitti mondiali ai disagi individuali, dal collasso dei riferimenti culturali ai drammi esistenziali. La sua è una constatazione dissacrante e disincantata di quanto l’uomo sia dominato da una sete implacabile di avere. Protagonisti o vittime di quest’assurdo bisogno di possedere, tutti siamo in fondo coinvolti in questo enorme equivoco, in questa spaventosa degenerazione del senso stesso della vita.

Tra le tragedie del nostro tempo trattate all’interno dell’opera c’è anche quella dell’anoressia, problema che – proprio come quello del terrorismo attivo – Raìshja si trova inizialmente a valutare e giudicare dall’esterno, ma nel quale viene poi coinvolta in prima persona. Strettamente collegato a quello dell’anoressia è il tema della bellezza, analizzato nei suoi aspetti positivi e negativi. Perché, se mal-vissuta o mal-interpretata, essa può diventare malattia, ossessione, insoddisfazione, vanità o insicurezza.

Da segnalare inoltre le varie digressioni ironiche sulla tv del futuro, ottenute grazie all’esasperazione, fino al grottesco, della triste realtà della televisione di oggi. Sono chiari i riferimenti alla sua subdola inutilità, al fatto che essa non è altro che una fiera delle apparenze con scopi unicamente lucrativi.

È il narratore stesso, palesandosi alla fine del romanzo, a rivelare che «in questo racconto ho voluto narrare il costume del mio tempo, sottolineando il vuoto di alcuni valori e l’esasperazione di altri. Il dramma del terrorismo e della guerra. […] I vizi e le virtù degli umani del nostro secolo».

 

Lo stile e le intenzioni

Evidenziare i vizi e le virtù che accomunano l’umanità, sminuendo quelle differenze che, seppur fonte di ricchezza, contribuiscono a dividerla. È proprio questo l’intento che si legge tra le righe del romanzo, e soprattutto nelle parole disperate di Abdul Qadesh: «Tutti giochiamo: tu giochi con il mitra, c’è chi gioca a fare il pacifista, magari lanciando molotov, chi gioca con i soldi […]. Io gioco con il mio corpo e i miei sensi […] Tu insegui la gloria e il potere, caro Mohammed, come quelli che combatti, che vogliono solo accumulare, accumulare, accumulare […]. Io invece ho capito che siamo di passaggio su questa maledettissima terra. Cerco di divertirmi e di far divertire, di provare emozioni e di farle provare».

Semplice e dirompente, appassionato e diretto come i discorsi dei protagonisti, lo stile dell’intera opera è asciutto, chiaro ed essenziale, senza enfasi né fronzoli. Ne risulta un racconto lineare ed incisivo, che non scade mai nella banalità o nella stucchevole ipocrisia, ma evoca l’importanza dell’amore e dell’amicizia ed il peso della loro mancanza. Con un drammatico finale, Cracas non lascia spazio a false illusioni, piuttosto apre la porta a prospettive reali e sostenibili di pace.

 

Agata Garofalo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 31, marzo 2010)

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