Homepage - Accesskey: alt+h invio
Editore: Bottega editoriale Srl
Società di prodotti editoriali, comunicazione e giornalismo.
Iscrizione al Roc n. 21969.
Registrazione presso il Tribunale di Cosenza
n. 817 del 22/11/2007.
Issn 2035-7370.

Privacy Policy

Direttore responsabile: Fulvio Mazza
Direttore editoriale: Maria Ausilia Gulino
Anno IV, n. 29, gennaio 2010
Sei in: Articolo




Home Page (a cura di Anna Guglielmi) . Anno IV, n. 29, gennaio 2010

Zoom immagine Ecco Pavese
«uomo-poeta»

di Eliana Grande
Pellegrini propone
tre elementi-chiave
di approfondimento


Gli estimatori della poetica pavesiana e quanti, attratti da una sorta di risonanza esistenziale e intellettuale, desiderino accostarvisi e approfondirne la conoscenza troveranno in tal senso un valido supporto e interessanti spunti di riflessione in un breve saggio che, fin dal titolo, si presenta non privo di affascinanti suggestioni: Cesare Pavese. Il mare, le donne, il sentimento tragico (Pellegrini, pp. 96, € 10,00). L’autore, Pierfranco Bruni, che ha già pubblicato diversi libri di poesia, nonché racconti e romanzi, è personalità attiva nel promuovere cultura e letteratura, ed è presidente del Centro studi e ricerche “Francesco Grisi”. La sua penna sa, nelle pagine di questo lavoro, garantire al lettore quel tratto di musicale liricità che è elemento tipicamente narrativo – e ancor più poetico – pur mantenendo e rispettando il carattere di rigorosità e chiarezza espositiva che il genere saggistico necessariamente richiede.

 

Il mare

Uno degli elementi della poetica e dell’esperienza esistenziale di Cesare Pavese sui quali Bruni maggiormente insiste è quello della grecità, della mediterraneità.

Tale connotato si manifesta da una parte come luogo geografico realmente e sensorialmente vissuto nei mesi del confino calabro di Brancaleone (tra il 1935 e il 1936), dall’altra come luogo dell’anima e dimensione dell’essere intimamente esperiti e riversati nella parola scritta, com’era proprio del Pavese «uomo-poeta», secondo l’efficace espressione di Bruni, che bene trasmette al lettore, quasi visivamente, quel tratto di congiunzione che unisce la vita e l’opera dello scrittore piemontese.

Con altrettanta felicità espressiva l’autore scrive di una terra, Brancaleone appunto, nella quale la grecità continuava allora a vivere come trattenuta da «un ancestrale radicamento», «un luogo della memoria che veniva percepito come un tempo mitico».

Tutto ciò si ritrova, intatto e vivo, nelle pagine de Il carcere, romanzo che Pavese scrisse tra il 1938 e il 1939, nel quale «si legge uno scenario ricco di atmosfere elegiache, il cui punto di riferimento resta il mare. Un mare che lega e che unisce e che si confronta con quei viandanti del destino che sono arrivati sulle terre di Calabria in quella temperie che venne chiamata Magna Grecia».

Nella riflessione proposta da Bruni questo mare greco si fa metafora del viaggio e dell’esistenza, luogo d’incontro tra mito e tragedia, «sottosuolo dell’anima [...] Ecco perché il Mediterraneo è anche un archetipo nella ricerca letteraria di Cesare Pavese. Uno scavare tra i ricordi di una civiltà, di un popolo, di una nostalgia che attraversa il tempo».

 

Le donne

Lo abbiamo detto: in Pavese l’opera e la vita si intrecciano e si rimescolano fino alla delineazione di quella figura di «puro letterato», «uomo-scrittore», «uomo-poeta», la cui «vita stessa era scrivere». E c’è qualcosa in entrambe – parola scritta e vita vissuta – che in ultimo si mantiene inarrivabile, velato dal mistero, indefinibile: «L’indefinibile, in letteratura, è, appunto, il mistero che si racchiude nella parola e recita la vita nel sogno o il sogno nella vita».

Il simbolo, la metafora, l’archetipo sono elementi che connotano la poetica pavesiana. Il mare è archetipo. E lo è la donna, nelle sue tante immagini: la «donna terra, Langhe, collina, paese», la «donna fiume», «radici» e «madre». Ma al di là di tutto questo e, anzi, quasi in contrasto con esso, la donna in Pavese è Constance: «evanescente», «leggera come una nube», colei che «assomma tutte le donne amate o le donne che avrebbe voluto amare o le donne che avrebbe voluto che lo amassero».

Ecco perché, se è vero che proprio all’attrice americana Constance Dowling il poeta torinese si rivolge scrivendo: «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi», sarebbe forse riduttivo credere che Pavese si sia ucciso per lei. Senza dubbio, il drammatico epilogo della sua vita è segnato profondamente da questa perdita, dall’abbandono della «donna del disamore», «donna fuga, distanza, lontananza», «donna vita» ma anche, appunto, «donna morte». Ma è la penna del poeta stesso a testimoniare come tutto ciò non basti a penetrare fin nell’intimo del suo gesto, né nelle profondità di quel sentimento che lo aveva legato a Constance: «Certo in lei non c’è soltanto lei, ma tutta la mia vita passata, la inconsapevole preparazione – l’America, il ritegno ascetico, l’insofferenza delle piccole cose, il mio mestiere. Lei è la poesia, nel più letterale dei sensi. Possibile che non l’abbia sentito?».

 

Il sentimento tragico

Quello che Bruni ci presenta, dunque, è il Pavese «uomo-poeta», ma anche «uomo della tragedia» che «Ha cercato di sfuggire da questa tragedia attraverso i suoi libri ma quei suoi libri hanno, invece, maggiormente incentivato una difficile comprensione di un rapporto tra uomo e scrittura» e proprio «In questo intaglio (nella volontà o non volontà di vivere e nella capacità di scrivere o nella fine della scrittura) sta la sua tragedia. Una tragedia solenne. Raccontata e vissuta». Tutta l’esistenza di Cesare Pavese e l’intera sua produzione letteraria si presentano intrise d’inquietudine e nostalgia, di incomunicabilità e mistero, di sentimento tragico.

E tutto ciò è ben presente e opportunamente scandagliato nel saggio di Bruni. Eppure la chiave di lettura per entrare fino in fondo, o almeno fino all’estremo limite, nella testimonianza racchiusa nei suoi versi e nelle sue storie, giunge al lettore solo alla fine del viaggio tra le pagine di questo libro.

È nella Nota conclusiva, infatti, che l’autore mostra l’inaspettata chiave: la speranza.

E con le parole che riportiamo trasforma la pagina finale del suo scritto in proposito di nuovi approfondimenti, seguendo altri orizzonti: «Non ho smesso di studiare Cesare Pavese. Continuerò, da scrittore, a vivere con lui non l’orizzonte della ragione (in Pavese non c’è un tale orizzonte) ma a vivere il labirinto della speranza [...] Pavese ci ha lanciato una sfida. Proprio morendo. Ed è quella della speranza [...] Bisogna saper cogliere quegli sguardi speranza che, in Pavese, convivono con l’inquieto e disperante deserto».

 

Eliana Grande        

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 29, gennaio 2010)

Redazione:
Natalia Bloise, Agata Garofalo, Eliana Grande, Anna Guglielmi, Mariangela Monaco, Antonietta Zaccaro
Collaboratori di redazione:
Giulia Adamo, Maria Elisa Albanese, Lalla Alfano, Mirko Altimari, Valeria Andreozzi, Simona Antonelli, Sonia Apilongo, Yael Artom, Claudia Barbarino, Maddalena Beretta, Anna Borrelli, Valentina Burchianti, Giacomo Callari, Giovanna Caridei, Paola Cicardi, Guglielmo Colombero, Simona Corrente, Simone De Andreis, Gaia De Zambiasi, Marina Del Duca, Maria Rosaria Ferrara, Susanna Ferreli, Elisabetta Feruglio, Vilma Formigoni, Anna Foti, Manuela Gatta, Simona Gerace, Barbara Gimigliano, Patrizia Ieraci, Giuseppe Licandro, Rosella Marasco, Stefania Marchitelli, Valentina Miduri, Sara Moretti, Mariflo Multari, Graziana Pecora, Anna Picci, Serena Poppi, Mariastella Rango, Roberta Santoro, Valentina Stocchi, Sara Storione, Pasquina Tassone, Alba Terranova, Filomena Tosi, Laura Tullio, Veronica Vannelli, Monica Viganò, Andrea Vulpitta, Carmine Zaccaro, Paola Zagami
Curatori di rubrica:
Elisa Calabrò, Maria Franzè, Annalice Furfari, Angela Potente, Francesca Rinaldi, Marilena Rodi, Cecilia Rutigliano, Fulvia Scopelliti, Antonietta Zaccaro, Elisabetta Zicchinella
Progetto grafico a cura di: Fulvio Mazza ed Emanuela Catania. Realizzazione: FN2000 Soft per conto di DAMA IT