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Anno IV, n. 29, gennaio 2010
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Home Page (a cura di Anna Guglielmi) . Anno IV, n. 29, gennaio 2010

Zoom immagine La storia torna a scorrere
sotto i tre ponti di Firenze

di Sandra Granata
Per Ibiskos editrice Risolo, il periodo postbellico
fiorentino: dall’armistizio all’esperienza centrista


Tredici anni di storia dimenticata, schiacciata tra due date di cruciale importanza, eppure non meno degna di essere raccontata. Quasi tre lustri a cui spettò il compito doloroso di ricostruire una città devastata dal secondo conflitto mondiale. Dichiarata unilateralmente città aperta, Firenze si illuse fino in fondo di venire risparmiata dalla distruzione. Non fu così: nel luglio del 1944 i tedeschi, in fuga di fronte all’avanzata degli Alleati, minarono i ponti sull’Arno lasciando in piedi il solo Ponte Vecchio che tanta ammirazione aveva destato in Adolf Hitler.

La Firenze della Ricostruzione (1944-1957). Dall’11 agosto all’anno dei tre ponti dello storico fiorentino Enrico Nistri (Ibiskos editrice Risolo, pp. 432, € 20,00) restituisce gli anni difficili del Dopoguerra fiorentino attraverso l’opera dei tre sindaci che si succedettero nell’amministrazione; tre personalità diverse sotto molti punti di vista, ma accomunate dal forte desiderio di risollevare il prima possibile le sorti della città.

Se la scelta non necessaria di liberare Firenze passando da Porta Romana fu dettata anche dal desiderio delle truppe britanniche di dare risalto alla loro impresa, quella dei tedeschi di far saltare i ponti di santa Trinita, Vespucci ed Alle Grazie fu probabilmente la più sensata. Ma la città del Giglio sarebbe guarita definitivamente dalle piaghe che la guerra le aveva inflitto soltanto quando anche i tre ponti sarebbero stati ricostruiti.

 

Pieraccini sindaco della Liberazione

La fine di uno stato di belligeranza non porta necessariamente con sé la pace; il più delle volte, piuttosto, gli eventi che ne conseguono sono altrettanto drammatici, mentre l’abitudine agli orrori della guerra sembra legittimare forme di crudeltà inaudita contro popolazioni messe in ginocchio da fame e povertà.

L’agosto del 1944 aveva generato un numero impressionante di vittime. I cadaveri dei franchi tiratori, giovanissimi fascisti che avevano tentato di fermare l’avanzata delle truppe alleate, fucilati con un atto di giustizia sommaria, erano stati gettati con disprezzo nella vasca dei cigni posta a breve distanza dalla chiesa di Santa Maria Novella, e le tante vittime della battaglia di Firenze resero necessaria la sepoltura in cimiteri improvvisati per scongiurare il rischio di epidemie. Una forte svalutazione monetaria costrinse molti a vivere di espedienti, mentre cominciò a serpeggiare un sentimento di astio nei confronti dei militari stranieri che, ricevendo paghe in valute più forti della lira, potevano permettersi il lusso di buttare via perfino la carne utilizzata per il brodo.

Se la Liberazione venne salutata festosamente dagli italiani, gli Alleati non si rivelarono di certo dei liberatori: davanti alla miseria, anche il decoro venne barattato per pochi soldi e non era raro che giovani lustrascarpe, i cosiddetti “sciuscià” (da una deformazione dell’inglese “shoe” – “shine”, ovvero “lustrascarpe” appunto), si mettessero al servizio di soldati alleati per procacciare loro ogni forma di divertimento illecito. Contrariamente ai desideri delle truppe alleate, in un momento così delicato per la città, venne eletto sindaco il medico socialista Gaetano Pieraccini. La scelta di quest’ultimo, nonostante giungesse alla guida di Firenze ottantenne, si rivelò giusta. Al suo fianco nell’amministrazione vennero elette personalità come Adone Zoli e Mario Fabiani, mentre tra gli assessori spiccava la figura del filologo Giacomo Devoto. Fu proprio grazie alla denuncia di Devoto che molti “sciuscià” vennero allontanati dai quartieri in cui si ristoravano i soldati americani. Non era facile, in un periodo in cui le giunte comunali dipendevano in tutto e per tutto dagli Alleati, denunciare atti simili: Firenze dimostrò in questo caso una dignità superiore a molte altre città italiane in cui il fenomeno non scomparve con altrettanta rapidità.

In quegli anni difficili, in cui era naturale assistere ad atti di giustizia privata, fu determinante l’atteggiamento sereno con cui Pieraccini, da sempre avverso al regime, invitò la popolazione ad attendere fiduciosa che la giustizia punisse severamente tutti coloro che, avendo aderito al fascismo, si erano resi artefici di tante atrocità.

 

La ricostruzione: Fabiani e La Pira

Al referendum e alle elezioni del 1946, i fiorentini scelsero la Repubblica e il partito comunista di Mario Fabiani. Se l’esito del referendum era prevedibile in una città come Firenze che non aveva mai provato simpatia per i Savoia, la vittoria schiacciante del Pci fu per molti versi inaspettata. Nei cinque anni del suo mandato, Fabiani risollevò le sorti della città riuscendo a pareggiare il bilancio comunale e iniziando una lenta e faticosa opera di ricostruzione delle infrastrutture.

Tuttavia gran parte del volume di Enrico Nistri è dedicata alla figura ascetica di Giorgio La Pira, il “sindaco santo”. Al di là delle sue scelte politiche, spesso severamente osteggiate dalla sinistra, egli fu forse il sindaco più attento ai bisogni della povera gente: per scongiurare il pericolo della disoccupazione, si batté a lungo contro la chiusura del Pignone, la storica fabbrica di Firenze, mobilitandosi in prima persona per convincere il fondatore dell’Eni Enrico Mattei ad acquistarlo. La Pira fu anche fautore di iniziative di carattere umanitario, come quella di dare ogni giorno un bicchiere di latte con aggiunta di cacao agli alunni delle scuole elementari. Il decreto fu esteso anche ai bambini che provenivano da famiglie non indigenti perché non nascessero rivalità relative al censo tra i più piccoli e perché accadeva spesso che famiglie un tempo ricche fossero in realtà nel bisogno e provassero vergogna nel chiedere aiuto. Durante l’amministrazione La Pira vennero costruite numerose case popolari, si creò il quartiere satellite dell’Isolotto e di Sorgane. Non furono pochi i casi di abusi edilizi: gli storici concordano nel dire che il «piccone speculatore» negli anni Cinquanta fece molti più danni del «piccone risanatore» del Ventennio. Firenze ha risentito fino ai giorni nostri degli errori politici che furono compiuti, tuttavia l’impegno dei tre sindaci fu senza dubbio straordinario.

Nel 1957, per motivi relativi al bilancio e anche per un’accesa disputa sulla realizzazione del quartiere di Sorgane che secondo molti minacciava di imbruttire il paesaggio, la giunta La Pira cadde e l’allora presidente del Consiglio Adone Zoli nominò un commissario prefettizio: fu l’ultima esperienza centrista a Firenze prima del pentapartito. In quell’anno scomparivano molti protagonisti della politica e della cultura dell’epoca, come l’ex sindaco Gaetano Pieraccini e Gaetano Salvemini, ma iniziava anche un periodo di benessere: il tasso di mortalità infantile diminuì notevolmente e finalmente, a suggellare simbolicamente la fine della guerra, i ponti minati dai tedeschi vennero restituiti alla città. Il 4 agosto anche il ponte di Santa Trinita, il più amato dai fiorentini dopo il Ponte Vecchio, fu aperto al traffico: l’età della ricostruzione era finita.

Si potrebbero scrivere mille recensioni diverse su questo libro che scorre con la stessa velocità con cui i tre grandi sindaci si impegnarono a ricostruire Firenze. Dev’essere difficile non emettere un giudizio sulla storia, quando ci si appresta a raccontare come la propria città sia stata sfigurata e ricostruita maldestramente in seguito, ma Enrico Nistri mantiene fino in fondo il proposito di giudicare gli eventi soltanto attraverso un’analisi razionale delle fonti.

Per far comprendere a fondo al lettore il valore del volume, ci sembra opportuno affermare con lo storico Marc Bloch: «Quando uno studioso ha osservato e spiegato, ha finito il suo compito».

 

Sandra Granata

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 29, gennaio 2010)

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