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Home Page (a cura di Anna Guglielmi) . Anno IV, n. 29, gennaio 2010

Zoom immagine L’importanza di Roberto Farinacci
per l’avvento del fascismo in Italia

di Andrea Vulpitta
Un giovane ricercatore ripropone le gesta politiche del ras di Cremona
nel periodo che va dal 1923 al 1926 in un libro edito dalla Rubbettino


Con il significativo apporto fornito dal Dipartimento di Istituzioni politiche dell’Università “Roma Tre”, che gli ha concesso dottorato di ricerca e borsa di studio,  il giovane studioso Lorenzo Santoro ha realizzato un interessante testo che approfondisce e riformula il ruolo di uno dei protagonisti dell’ascesa fascista in Italia: Roberto Farinacci e il Partito Nazionale Fascista 1923-1926 (Rubbettino, pp. 400, € 20,00). Nel corso della presentazione presso la libreria Ubik di Cosenza tenutasi nel mese di ottobre 2009, il professore Emilio Gentile ha sottolineato come la figura di Farinacci sia stata tracciata, nei testi già editi, sempre con taglio squisitamente biografico, senza approfondire il ruolo svolto quale personaggio principale del disegno totalitario del Pnf. Per meglio inquadrarne la figura l’autore, nel primo capitolo del libro, si sofferma sul periodo antecedente a quello studiato nel testo e illustra le fasi dell’ascesa del Farinacci all’interno del partito fascista.

 

Dal Psi al Fascio di Cremona e in Parlamento

Dalla ricca provincia lombarda, dal capoluogo Cremona, Farinacci, in occasione della guerra, si schierò apertamente per una posizione interventista, rompendo con il Psi e trovando modo di esprimersi attraverso le colonne de La Squilla, un settimanale di Cremona. Subì il fascino della figura di Benito Mussolini, aderì alla massoneria come strumento per entrare in contatto con diversi ambienti della città e successivamente fondò il circolo “Giordano Bruno” per avvicinare anche le giovani generazioni. Costituì poi il Fascio di Cremona allontanandosi sempre più dalle posizioni socialiste e il passo successivo fu quello di esprimere, con un sistematico ricorso alla violenza, la volontà di ampliare la propria forza anche contro gli ex compagni socialisti. Conquistò nelle elezioni del 1921 il seggio di deputato contro ogni previsione e continuò nella sua opera violenta di trasformazione in partito del movimento fascista e di costruzione del partito-milizia da contrapporre allo stato liberale. Nel contempo agì per erodere sempre più consensi e uomini al sindacalismo bianco e a quello rosso che erano maggioritari in particolare nella zona di Cremona dove egli svolgeva la sua funzione politica di propaganda. Occupazioni, intimidazioni, violenza: con queste armi Farinacci guidò la piega autoritaria del movimento che portò all’assalto alla Prefettura di Trento e al sequestro del prefetto.

 

La marcia su Roma e l’evoluzione totalitaria dello stato

Successivamente alla Marcia su Roma Mussolini, attraverso il partito, la milizia e i sindacati fascisti, si adoperò per favorire l’evoluzione totalitaria dello stato mentre Farinacci, come commissario relativo del Fascio di Parma prima, e come commissario straordinario del fascismo laziale dopo, costruiva consenso compiendo anche un’opera di epurazione e sostituzione di dirigenti poco propensi alla svolta totalitaria. Non mancarono le divergenze tra Farinacci e Mussolini come sull’opportunità o meno di allargare ai sindacati confederali l’ipotesi di stringere accordi che Mussolini cercava di perseguire per rafforzare il suo governo o come sulla scelta del ritorno al collegio uninominale caldeggiata da Farinacci, ma osteggiata da Mussolini. L’uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti, ad opera delle squadre fasciste, gettò nello scompiglio l’intero partito e portò, successivamente, ad incomprensioni, sempre tra i due, per l’intento dell’eliminazione dell’opposizione da parte dell’intransigente Farinacci, a differenza di un riconosciuto diritto ad esistere dell’opposizione politica in Italia da parte di Mussolini. Certo il Duce restò comunque prigioniero del doppio ruolo di condottiero dell’Italia e del partito.

 

Farinacci segretario del Pnf

Per rafforzare sempre più il ruolo del Pnf, alla segreteria del partito venne chiamato proprio Farinacci che tra le sue azioni ripose attenzione sul controllo della stampa, come suggerito anche dal Duce, per continuare nell’opera di proselitismo e rafforzamento del partito con l’obiettivo di trasformare il paese in uno stato fascista. Ma Farinacci divenne sempre più ingombrante arrivando anche a criticare le decisioni del governo troppo attendiste e moderate, premendo sul controllo dell’informazione con violenza e intimidazioni, tanto da dover far intervenire lo stesso Mussolini che chiese al prefetto di Cremona addirittura il sequestro del giornale Cremona nuova attraverso il quale Farinacci svolgeva la sua propaganda.

Mussolini avvertì che bisognava imprimere una svolta al regime, decise così di puntare sull’imperialismo, la politica razziale e sul ruolo prioritario svolto dal governo, di fatto emarginando Farinacci che puntava tutta la sua attività sulla centralità del partito.

 

Non più segretario, ma sempre determinante per il Pnf

Farinacci così si dimise e lasciò la segreteria, spinto anche dal disaccordo con il Duce per il suo atteggiamento di ricerca di un accordo verso le gerarchie vaticane. Il partito marcò anche la svolta con il nuovo statuto del 1926 che sancì l’abolizione degli organi di democrazia interna come il congresso nazionale e l’elettività delle cariche. Nelle conclusioni, Santoro tira le somme sul ruolo fondamentale svolto da Farinacci nella costruzione del Pnf e nell’inserimento dello stesso nei gangli vitali dello stato, diverso da quello, preferito dal Duce, incentrato sulla promozione dell’attività di governo. Infine sottolinea come conoscere il ruolo di Farinacci e la sua attività per la crescita del Pnf sia importante per meglio comprendere le fasi successive del Ventennio.

 

Andrea Vulpitta

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno IV, n. 29, gennaio 2010)

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