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Anno III, n. 28, Dicembre 2009
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Comunicazione e Sociologia (a cura di Pierpaolo Buzza) . Anno III, n. 28, Dicembre 2009

Zoom immagine L’uomo, l’amico, il politico.
La vita di un ministro dedito
agli alti valori del socialismo
dalla voce di chi lo conobbe

di Andrea Vulpitta
Antonio Landolfi per Rubbettino narra
la vita e le lotte di Giacomo Mancini


La figura di un uomo politico, specie se ingombrante e importante, è spesso approfondita, rivalutata e studiata successivamente alla sua scomparsa, quasi per non dare la possibilità al protagonista di intervenire nel puntualizzare o chiarire alcune posizioni. Così, dopo aver recensito il testo di Matteo Cosenza (vedi bottegascriptamanent.it n. 21, maggio 2009), approfondiamo la figura di un protagonista del Partito socialista italiano con la lettura di Giacomo Mancini biografia politica, di Antonio Landolfi (Rubbettino editore, pp. 384, € 20,00). L’autore mostra, sin dalle prime pagine del testo, una straordinaria prossimità con il leader socialista e una dovizia di particolari nella ricostruzione delle vicende politiche che confermano la sua vicinanza non solo al Psi, ma alle strategie politiche del leader calabrese che, non a caso, attualmente presiede proprio la Fondazione “Giacomo Mancini”.

Rispetto a Mancini, Landolfi non fu un compagno di partito qualsiasi. Fu, difatti, uno dei pochi esponenti socialisti che non abbandonarono il leader politico nazionale per saltare sul carro del vincitore. Ci riferiamo ovviamente a Bettino Craxi che, alla fine degli anni Settanta, distrusse la corrente “manciniana” Presenza socialista e che, un decennio dopo, smantellò l’intero partito.

È forse anche in tal senso che annotiamo con piacere come il testo abbia uno “spessore” nazionale (e spesso anche internazionale) e non solo – come talvolta è accaduto in saggi analoghi – una caratura locale.

Il testo inizia con il racconto della figura di Pietro Mancini “senior”, padre di Giacomo, e della sua esperienza politica, di quando si trovarono insieme in Parlamento il papà senatore e il figlio giovane deputato.

 

Il ruolo nazionale come ministro della Sanità

Sin dalle sue prime esperienze politiche, Mancini mostrò un grande attaccamento e un profondo interesse per la sua regione. Tanto che Landolfi ricorda come il giovane sfuggisse agli incarichi e agli impegni della direzione nazionale del partito per dedicarsi alla crescita del partito in Calabria che infatti registrò, grazie anche alla sua opera, un ampliamento dei consensi.

Arrivò così l’incarico di ministro della Sanità, ruolo che Mancini svolse con abnegazione e coraggio in particolar modo quando, circondato da scetticismo, decise di lanciare il vaccino sperimentale del dottor Albert Sabin contro la poliomielite su larga scala. Ma per quanto ricordato riguardo la lotta alla terribile malattia, l’esperienza del leader socialista al Dicastero della Sanità durò poco e, ben presto, nel secondo governo Moro, gli venne conferito l’incarico di ministro dei Lavori pubblici.

 

Ministro dei lavori pubblici contro il sacco edilizio

Svolse il delicato incarico con forza e determinazione, deciso a rompere schemi e interessi intorno all’edilizia, cercando di colmare, specie al sud, l’immenso bisogno di strutture pubbliche. L’autore ci svela come Mancini venne considerato il “ministro dei sindaci”, per la sua vicinanza alle istanze e richieste di opere pubbliche da parte dei piccoli comuni.

È il periodo durante il quale vennero decise e iniziate le maggiori opere infrastrutturali in Calabria che oggi, a distanza di anni, mostrano i segni del tempo.

 

Segretario del Psi

Venne anche la stagione dell’elezione a segretario, figura alla quale si affiancarono tre vice tra cui un giovanissimo Bettino Craxi. Furono gli anni in cui da segretario del partito, da leader indiscusso, Mancini dovette affrontare anche la rivolta di Reggio scoppiata nel 1970 all’indomani della decisione di fissare a Catanzaro il capoluogo della Calabria. In quello stesso periodo iniziarono a circolare notizie e a piovere accuse che segnarono anche Giacomo Mancini, riguardanti il centro siderurgico che Mancini avrebbe voluto gestire clientelarmente (partite da un’accusa, poi archiviata, di sperpero di fondi Anas). Il segretario del Psi fu accusato non solo da settori della destra, ma anche da l’Unità, organo del Pci, che stigmatizzava l’interesse mostrato da Mancini per la realizzazione del V centro siderurgico, in quanto mosso da motivazioni esclusivamente clientelari.

Vengono ricordati anche due episodi salienti di quel periodo politico: l’avvicinamento insieme con Marco Pannella ai radicali e ai socialisti francesi di Francois Mitterrand, e la battaglia del Psi al vittorioso referendum sul divorzio del 1974. Nel successivo congresso di Genova, Mancini venne defenestrato e, inoltre, dovette subire il veto dei vertici della Guardia di Finanza, quando si propose il suo nome al Dicastero delle Finanze, a causa delle sue aspre critiche ad alcuni alti gradi delle Fiamme gialle coinvolti in scandali di corruzione.

Mancini tornò al governo nel 1974 con l’incarico di ministro del Mezzogiorno nel governo guidato da Mariano Rumor, periodo che si caratterizzò da una parte con il tramonto della realizzazione del centro siderurgico, ma dall’altra con la fase di realizzazione del porto di Gioia Tauro che vide la luce negli anni Novanta.

 

La politica internazionale a fianco dei socialisti

Mancini ebbe stretti contatti con i socialisti francesi nell’ottica della costruzione di un movimento socialista europeo rinsaldato dall’amicizia con Mitterrand, e mostrò anche interesse, tanto da venir accusato di “sionismo”, nei confronti di Israele e non disdegnò di aiutare i socialisti spagnoli in esilio.

Nel testo è ricordata la straordinaria solidarietà e vicinanza ai socialisti greci perseguitati dai “colonnelli”, e gli interventi in prima persona del leader socialista per favorire fughe dalle galere.

A testimonianza del legame viene riportato un emblematico telegramma inviato dallo storico Nikos Klitsikas in occasione della morte di Mancini:

«La Grecia è in lutto. A nome di tutti gli studenti greci in Italia durante gli anni della dittatura greca (1967-1974), porgo le condoglianze per la scomparsa di Giacomo Mancini, l’uomo, il compagno, l’amico, il protettore dei rifugiati politici, quello che senza avere mai paura è stato in prima linea per i diritti umani, democratici, socialisti. Per noi greci, Giacomo Mancini rimarrà nel nostro cuore per sempre! I greci piangono la scomparsa di un eroe».

 

Il socialista garantista e il denso rapporto con la cultura

Una fase difficile della storia italiana vide protagonista Giacomo Mancini. Questo periodo che coincise con l’elezione, da lui stesso caldeggiata, di Bettino Craxi alla segreteria del partito, è il periodo del terrorismo, dei reati cosiddetti politici, della legislazione d’emergenza. Questa vide contrapporsi da una parte il Psi con Giacomo Mancini fermo nelle posizioni di difesa del garantismo e della formula, tanto voluta dal padre Pietro nella riforma del codice penale, della presunzione dell’innocenza fino a condanna definitiva dell’imputato, e dall’altra il Pci. Tale partito, nella fase dell’emergenza, mutò il suo atteggiamento di difesa del garantismo accogliendo il pensiero dominante del tempo che vedeva nella fermezza e nell’inasprimento della condotta dello stato la via da percorrere.

Questa fase raggiunse uno dei momenti più difficili in occasione del rapimento Moro in cui il Psi mostrò, specie nelle fasi finali del sequestro, una certa disponibilità non già all’apertura di una trattativa con le Br, bensì al perseguimento della strada umanitaria (lo scambio tra un terrorista fortemente malato e detenuto in carcere con lo statista della Dc). Il Psi si trovò, tuttavia, in posizione nettamente minoritaria nei confronti dei due grandi partiti Dc e Pci inamovibili sulla linea della fermezza e dell’assoluto diniego di ogni forma di contatto con i terroristi.

In uno dei capitoli del libro, l’autore ricorda l’attivismo politico di Mancini alimentato in particolare dal suo ruolo di ministro dei Lavori pubblici; fu infatti in quel periodo che si fece promotore, insieme ad un gruppo di già noti urbanisti, di una rivista, Città Spazio, particolarmente curata dal punto di vista della grafica, che si occupò di temi di grande interesse quali il dissesto di Agrigento, la ricostruzione della Valle del Belice e l’alluvione di Firenze. La rivista era pubblicata dalla casa editrice Lerici il cui direttore editoriale era un giovane Piero Gamacchio, poliedrico intellettuale, e la cui proprietà venne rilevata, a metà degli anni Settanta, dallo stesso Mancini.

Non vanno dimenticati la promozione di periodici come Calabria Oggi ed il Giornale di Calabria guidato da Piero Ardenti, e l’istituzione del Premio “Sila” che ogni anno premiava narrativa, saggistica e giornalismo.

 

Dallo strappo con Craxi a sindaco di Cosenza

Gli episodi di contrasto con Craxi, da lui sostenuto all’inizio del percorso di segretario del Psi, sono tanti, ricordati nel testo e iniziano, secondo l’autore, con l’estromissione di Beniamino Finocchiaro dalla presidenza della Rai. Finocchiaro, già parlamentare del Psi, benché personaggio di cultura e dalla personalità forte, era considerato, come si usa dire in gergo, “in quota Mancini”. Tuttavia, viene ricordato come dal suo ruolo tentasse di osteggiare l’emulazione di quella Tv commerciale che, con Silvio Berlusconi e le entrature milanesi, si faceva spazio con una dispendiosa campagna acquisti di personaggi e conduttori Rai. Tra corsi e ricorsi storici ritorna il rapporto tra Craxi e Berlusconi. È comunque un periodo in cui, gradatamente e strategicamente, Mancini viene estromesso dalla guida del Psi nonostante il suo continuo carisma e la sua opera di mediazione in casi come l’elezione a Capo dello Stato del socialista Sandro Pertini.

Viene ricordata, infine, l’ultima esperienza politica di Mancini nelle vesti di sindaco della sua città, Cosenza. Governò dal 1993 fino al 2002 (venne infatti rieletto nel 1997), ma dovette subire la sospensione dalla carica perché imputato di associazione mafiosa, accusa dalla quale uscì completamente riabilitato. Landolfi ricorda, con l’affetto di chi gli è stato vicino, le tante opere realizzate dall’alto dell’esperienza maturata in tanti anni di attività politica in particolare come Ministro dei Lavori Pubblici: le ristrutturazioni di Piazza dei Bruzi che ospita il Palazzo comunale, la vecchia stazione, la Casa delle culture, e le tante iniziative concretizzate con i fondi del programma europeo “Urban” come la Città dei ragazzi.

Il libro termina con una breve intervista pubblicata sulle colonne del Corriere della Sera a Emanuele Macaluso, ex dirigente del Pci, grande amico di Giacomo Mancini e compagno di tante battaglie. 

 

Andrea Vulpitta

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 28, dicembre 2009)

 

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