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Anno III, n. 26, Ottobre 2009
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Home Page (a cura di Anna Guglielmi) . Anno III, n. 26, Ottobre 2009

Zoom immagine Rime e poesia:
forza, impegno
e voce del Sud

di Simona Corrente
Un inedito da Città del sole
rivendica diritti umani violati
con versi di denuncia sociale


In occasione del decennale della morte del medico-poeta Emilio Argiroffi, il “Rhegium Julii” (circolo che da quaranta anni contribuisce in maniera importante alla promozione culturale della società reggina) ha dato inizio ad una serie di approfondite ricerche e studi sulla sua figura, determinante in ambito antrosociologico non solo per il contesto calabrese ma per tutta la società italiana degli anni ’60, offrendo un contributo, a dire il vero, visibile a tutt’oggi. Argiroffi, siciliano d’origine e calabrese d’adozione, ha amato e vissuto il suo lavoro come una vera e propria missione; nel 1968 viene eletto senatore del Partito comunista italiano e, promuovendo gli ideali di uguaglianza e il rispetto della dignità umana, si impegna attivamente nell’attuazione dei principi costituzionali per garantire a tutti gli uomini stessi diritti, partendo proprio dalle classi più umili e bisognose.

L’inedito Le pescatrici del Piano delle Fosse (Città del sole edizioni, pp. 96, € 15,00) – frutto di attività di ricerca e documentazione a cura del “Rhegium Julii” –, pubblicato postumo, è un’opera interessante e particolare sia per la struttura che per i contenuti, lo si potrebbe definire un ibrido, un volume a metà strada tra poesia e saggistica, che rende alla comunità una testimonianza forte della realtà calabrese, partendo da tempi ormai lontani di guerre e incursioni per giungere sino ai giorni nostri. Il libro, che contiene una ristampa anastatica del manoscritto originale, è corredato da un dvd con un’intervista esclusiva ed affascinante ad Argiroffi realizzata dal giornalista Paolo Bolano.

 

Tra le pagine delle pescatrici

Il libro si apre con una lirica, quasi un racconto in rima, in cui la penna del poeta ricrea e diffonde le immagini di leggende e tradizioni culturali assopite, denunciando il degrado e lo sfruttamento di cui restano vittime le classi più deboli del passato e del presente a lui contemporaneo. Il lettore si trova a leggere versi semplici, ma al tempo stesso armoniosi e terribili, che documentano una realtà di isterilimento e miseria, sono parole che si materializzano e sembrano quasi urlare nel tentativo di rivendicare una dignità umana ormai calpestata.

La Prefazione della professoressa Maria Corica introduce nel mondo argiroffiano partendo dalle radici etimologiche del luogo che dà il titolo al libro: il Piano delle Fosse – nome attribuito al borgo dell’antica Metauria (dal fiume Metauro, attuale Petrace), fondata dai Greci calcidesi nel VI secolo a.C. e in seguito divenuta Geolja o Gioja – fa riferimento alla Piana di Gioia Tauro. Secondo la leggenda, in questa zona le pescatrici venivano rapite dai pirati, e proprio ripercorrendo queste tragiche storie, l’autore apre la sua opera con cupi «ululati di licantropi» che si sentono «salire dalla città sepolta», con «tombe dimenticate» che sembrano presagire la sventura e il terrore delle continue scorrerie dei predoni del mare.

Nella lirica il poeta ripercorre quelle che furono le più violente incursioni e le guerre che colpirono il versante tirrenico meridionale: dall’812 con i pirati di Khan Kroum al 1535 con i “predatori di Satana” guidati da Khair ed-Din che sbarcano sulle coste calabresi «All’arrembaggio di geòlio / Alla cattura delle giovani donne / Dei ragazzi». Dinanzi a tanta ferocia, i pescatori tentano invano di difendere donne e bambini, e impotenti vengono presto ridotti in schiavitù. Delle donne rapite non resta nient’altro che un nome, di quelle donne col passare dei giorni verrà smarrito anche il ricordo. Dopo il terrore e la violenza arriva la quiete e la vita sembra riprendere il suo normale corso; una serenità, però, destinata a svanire poiché turbata dal pianto delle pescatrici del Piano delle Fosse che nelle notti di tempesta viene trascinato dal vento: «quando scirocco si scontra / col libeccio / i venti portano grida d’aiuto / e pianti / fin nelle case abbandonate / si vede il mare gonfiarsi / e le sirene emergere / in groppa ai tritoni / cantano le sirene / per placare il dolore / del quale nessuno ha più memoria / delle donne del piano delle fosse / dei figli rapiti / ma ogni cosa ha una fine / s’acqueta / si cancella».

Argiroffi riprende poi un’altra leggenda, raccontandola proprio come fosse una fiaba: quella di «una fata del mare / di nome Morgana / che aveva rubata / la voce a un usignolo / per donarla a una piccola / regina della piana». Con la sua voce ella incanta un bel principe bruno d’Arabia che è giunto su un cavallo nero solo per ascoltarla. Alla fine del canto però succede qualcosa di inaspettato: l’usignolo muto si lancia su una siepe di spine e muore, così come la regina che un cavallo imbizzarrito scaglia sulla stessa spina. Nessuno degli invitati si accorge dell’accaduto: né dell’usignolo morto, né della regina trafitta e nemmeno delle urla di dolore del povero principe che per la disperazione si lancia dalla rupe del Piano delle Fosse e muore annegato nel mare di Geolja. Sopraffatta dal dispiacere, fata Morgana invoca l’aiuto di Nettuno, dio del mare, che fa riemergere il principe il quale, in groppa al destriero, prende la sua regina e parte alla volta di un mondo governato non più dalla guerra ma solo dall’amore. Così come nessuno si rammenta dell’usignolo e della regina, allo stesso modo si perde il ricordo delle giovani pescatrici rapite; solo il piccolo uccellino ne serba la memoria e «la sera / al calar del sole» canta le favole e i miti del passato per non dimenticare la storia che ci appartiene.

 

Il parere dei critici

La seconda parte del libro è dedicata alla critica, si susseguono infatti interventi di diversi studiosi che affrontano in primo luogo le origini del pensiero di Argiroffi per poi giungere ad esaminare ogni sua opera alla luce dell’idea e dello spirito dello scrittore.

Il primo intervento, dal titolo Sentimento etico-civile nella cultura e nella poesia di Emilio Argiroffi, dello studioso Antonio Piromalli, analizza e svela l’innovazione del pensiero del senatore siciliano, individuando nella sua persona il precursore del sentimento di liberazione e di unità. La forza delle sue opere, secondo lo studioso, è racchiusa in primo luogo nel linguaggio che il poeta utilizza, pieno di richiami antropologici, di miti e ideologie tanto da rendere le parole vere e proprie immagini oltre che pensieri poiché, come Argiroffi afferma, «la parola è il momento più alto della verità». Il fulcro centrale del suo credo sta nel rispetto della dignità umana e a tal fine si impegna attivamente nella denuncia «della carenza alimentare di donne e bambini, la mancanza di assistenza» che non può e non deve essere risolta con un atteggiamento caritativo. Sottolinea ancora Piromalli come l’autore abbia individuato lo «stretto rapporto fra patologia da lavoro e maturazione psicologica verificato in Calabria su donne e infanzia stigmatizzata», elemento fondamentale per comprendere quanto le problematiche esistenziali siano generate dalla povertà economica che a sua volta favorisce lo sviluppo di concetti contrari alla morale sociale, quali omertà, vendetta o «magismo ritenuto idoneo per la soluzione sovrannaturale dei problemi interiori e della morte».

Gli interventi critici si susseguono: da L’ingiustizia della morte nella ballata omerica di Argiroffi di Dario Bellezza a Lo scrigno critico di Argiroffi di Walter Mauro; da Nota in epilogo a 7 avventure di donne sull’ancipite valenza tra pedagogia morale e incanto estetico di Roberto Pazzi a Postilla ai margini di Nantas Salvalaggio, per concludere con Una raccolta anomala di Maria Luisa Spaziani. In tutti gli interventi resta un punto fermo: il servaggio economico determina analfabetismo e depauperamento, priva gli uomini di dignità riducendoli in schiavitù, li rende vulnerabili dinanzi alle malattie – affezioni che sarebbero facilmente debellabili grazie alla ricerca scientifica ma che continuano a proliferare poiché la loro cura non risulta economicamente vantaggiosa per le industrie farmaceutiche. Il riscatto da una simile condizione umana può essere realizzato solo attraverso un processo di liberazione che garantisca innanzitutto il diritto alla salute, ad un’esistenza decorosa ed allo sviluppo dell’essere umano in tutta la sua interezza.

Argiroffi si batte contro la povertà e l’ignoranza, promuove una sanità accessibile a tutti, si batte a «difesa della salute come dato primario ed inalienabile della libertà», una libertà che genera indipendenza, che è al di sopra di qualsiasi visione utilitaristica e che rigetta un approccio consumistico, il quale si rafforza attraverso la sopraffazione dei bisogni comuni favorendo il benessere di pochi. A testimonianza del suo grande impegno su questi punti restano le numerose interrogazioni parlamentari con un imperativo: lottare affinché la dignità umana non venga calpestata.

 

Simona Corrente

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 26, ottobre 2009)

Redazione:
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Collaboratori di redazione:
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