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Anno III, n. 26, Ottobre 2009
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Home Page (a cura di Anna Guglielmi) . Anno III, n. 26, Ottobre 2009

Zoom immagine Amore e Rabbia
in un noir al limite
tra realtà e fantasia

di Agata Garofalo
Vivere come un fantasma: una storia
di sospetti e sottintesi, edita Donzelli


È l’amore (o forse solo l’illusione, il bisogno disperato di amare) a fare da filo conduttore alla trama di questo romanzo, ed è la rabbia, altrettanto istintiva ed irrazionale, a scompigliare e perfino spezzare puntualmente quel filo. Una serie di delitti impuniti ruota intorno ad una villa stile liberty che nasconde un segreto. All’insaputa di tutti, infatti, José María ne ha fatto la sua prigione dorata, in cui condurre un’esistenza clandestina ma felice, perché gli permette di mantenere dei punti di contatto con la sua amata Rosa: osservarla, parlarle, controllare e condizionare la sua vita… uccidere per lei.

Rabbia (Donzelli, pp. 220, € 16,00, traduzione di Gabriella De Fina), sesta opera dell’argentino Sergio Bizzio regista, romanziere e sceneggiatore –, ha vinto il Premio “La Mar de Letras” e diventerà presto un film prodotto da Guillermo del Toro.

 

Una storia intrigante nella sua semplicità

Le primissime pagine di questo libro sono estremamente osé, tanto audacemente spinte da indurre a pensare che si tratti di un romanzo porno. Ma è solo per abituare da subito il lettore al clima aperto e smaliziato della narrazione, in cui torneranno a volte dei particolari erotici, affiancati spesso da elementi di puro romanticismo. Le schermaglie amorose fra i due protagonisti fungono da premessa per introdurre una storia originale, imprevedibile, claustrofobica, al limite tra reale e grottesco, commedia e dramma, bizzarro surrealismo e denuncia sociale.

A Buenos Aires, Rosa e José María si incontrano per caso, e basta un veloce scambio di banali cortesie per essere immediatamente, letteralmente “attratti” l’uno dall’altra. Inizia una storia d’amore fatta di passione travolgente e, insieme, di conversazioni semplici e sincere. Lei è l’ingenua e passionale domestica dei Blinder, una facoltosa coppia borghese che conduce la sua disillusa routine in un’enorme abitazione signorile. Lui, muratore, è un tipo strano, impulsivo ed aggressivo. Il suo è un carattere introverso e scontroso, risultato di un’infanzia priva di affetti, che lo porta a compiere un crimine efferato ed a rifugiarsi, per sfuggire alla polizia, proprio all’interno di casa Blinder.

Nella mansarda della villa, in una camera quasi dimenticata, María – così veniva chiamato da tutti, perché «c’era qualcosa nella magrezza fibrosa del suo corpo che, associata alla lunghezza delle ciglia, escludeva in modo quasi automatico che lo si potesse chiamare José» – vivrà d’ora in poi come un fantasma, sempre attento a non lasciare traccia di sé e, contemporaneamente, a spiare ed origliare dall’ombra la vita dell’ignara Rosa.

Dalla sua posizione “privilegiata”, egli rappresenta a sua volta, per il lettore, lo spiraglio dal quale osservare gli intrighi ed i misfatti di una famiglia, quella dei Blinder, che è metafora di un’Argentina corrotta, decadente e «distrattamente immersa nell’agiatezza borghese».

 

L’originalità del realismo “fantastico”

Con Rabbia, Bizzio espande il suo orizzonte narrativo, precedentemente incentrato sulla “pura azione” intervallata dall’innesto occasionale di elementi deliranti e divaganti, per aprirsi ad un’originale ed ibrida forma di realismo. Egli riesce a mantenere un fine ed inquietante equilibrio tra le tematiche sociali e le atmosfere surreali, quasi “fantastiche”, senza per questo opporre sogno e realtà: questi due elementi, anzi, sono saldamente incastrati l’uno nell’altro.

Il romanzo presenta infatti alcuni degli stereotipi del realismo puro (tra i quali la stabilità del punto di vista narrativo; il rispetto dell’ordine temporale; i riferimenti precisi ai luoghi; il linguaggio semplice e diretto, privo di meccanismi retorici), ma manca di altri: non si registra, ad esempio, alcun ostinato tentativo chiarificatore o moralizzatore.

Inoltre, la narrazione segue sì un filo temporale, ma ci sono spesso dei “vuoti narrativi”, colmati solo successivamente, dopo aver lasciato al lettore il tempo ed il gusto di cercare di indovinare cos’è accaduto. In alcuni casi ciò appare subito evidente, in altri ci si accorge solo da piccoli particolari che qualcosa non va, che ci siamo persi un “pezzo” di storia, che Bizzio ci farà subito recuperare con sapienti allusioni. È come se l’impulso realista del narratore si perdesse ogni tanto attraverso degli “spifferi” presenti nella trama, per scivolare nell’incertezza e nell’ambiguità, sfiorando a volte il parodico a volte il noir melodrammatico.

Si tratta, in definitiva, di un realismo “fantastico” che, paradossalmente, per raggiungere un punto di vista più realista sacrifica il verosimile, poiché il racconto più realista che si possa immaginare, parafrasando un pensiero di Roland Barthes, si sviluppa su sentieri irreali. È il disperato sforzo dell’autore di inseguire la realtà, la continua tensione verso di essa a farne un romanzo realista, ma per trovarla davvero si passa inevitabilmente per il surreale.

 

Strategie narrative e scelte editoriali che fanno la differenza

Nel microcosmo rappresentato da casa Blinder filtrano (con l’insinuarsi di un elemento esterno) e si riflettono (attraverso gli stessi componenti della famiglia) le problematiche dell’Argentina contemporanea, quali: la disoccupazione, la delinquenza, la decadenza dei costumi e la disgregazione sociale.

Tuttavia, come spesso accade, non importa il “cosa” ma il “come”!

Di denunce sociali ed intrighi amorosi sono piene le librerie, la differenza la fanno il ritmo ed il respiro della narrazione, i silenzi, i bisbigli e le ombre fugaci che ci sembra di avvertire durante la lettura. Tra colpi di scena ed imprevisti, l’autore fa scorrere velocemente davanti ai nostri occhi le immagini chiare, forti e significative di un romanzo che sembra la sceneggiatura di un film, come quando racconta di quella volta in cui «se Rosa avesse avuto il minimo sospetto che María fosse nascosto in casa, in quel momento l’avrebbe scoperto. Ma non ce l’aveva. Così, afferrò l’aspirapolvere e lo portò nella stanza, senza registrare quel che aveva visto per una frazione di secondo: una mano che afferrava la maniglia della porta della soffitta e un volto di profilo con un occhio inchiodato su di lei».

Capitoli brevi e dialoghi rapidi, spontanei e quasi ingenui – che pur nascondono e fanno intravedere bugie pietose, doppi sensi ed omissioni calcolate – formano una storia quasi incredibile, da leggere tutta d’un fiato, tenuta in piedi con gusto, ironia e senso del dramma. Dialoghi immaginari ed allusivi, mezze verità ed aspettative inattese creano una scrittura “a sottintesi”: «María era certo che la signora Blinder fosse al corrente […] e che, ovviamente, l’avesse raccontato a Rosa (torcendosi le mani, mentre Rosa superava l’impatto della notizia con un enorme sorriso, sia pure appena percettibile); così come avrebbe giurato che Rosa sapesse (in modo troppo sottile per coglierlo) [che era stato lui, Nda]. Avevano raggiunto il culmine del sottinteso».

Vale ancora la pena menzionare due importanti particolari della versione italiana di questo romanzo: uno è il dettaglio della copertina con gli angoli superiori esterni arrotondati, che danno al libro un aspetto “ingentilito” e quasi “invitante”, poiché richiamano la forma di una mela, e quindi il nome e la finalità della collana cui il libro appartiene (Meledonzelli), che propone al suo pubblico una letteratura “da mordere con tutta la buccia”. L’altro aspetto da rilevare è la traduzione particolarmente riuscita, che scorre senza fare mai una piega né “destare sospetti”: come è giusto che sia – ma spesso purtroppo non è –, il lettore non ha indizi che gli permettano di ricordare che ciò che sta leggendo è stato tradotto.

 

Agata Garofalo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 26, ottobre 2009)

Redazione:
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