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Anno III, n. 26, Ottobre 2009
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Home Page (a cura di Anna Guglielmi) . Anno III, n. 26, Ottobre 2009

Zoom immagine Lucio Battisti:
mito e musica

di Vilma Formigoni
Da Barbera editore
il profilo dell’artista
ribelle alle abitudini


Anche coloro che non seguono la musica leggera possono trovare nel libro di Umberto Piancatelli l’opportunità di conoscere un cantautore che ha rivoluzionato la musica italiana e che è diventato, indipendentemente dalla sua volontà e a distanza di anni dalla sua scomparsa, un mito assoluto.

Esistono tanti modi per raccontare la vita di un grande artista, che ha saputo imprimere una svolta al mondo musicale orientando i gusti sia della propria generazione sia di quelle successive. Umberto Piancatelli ha scelto uno stile decisamente nuovo ed inconsueto – come evidenziato già nel risvolto di copertina – per narrare La vera storia di Lucio Battisti (Barbera editore, pp. 298, € 15,00). L'autore, giornalista da più di vent’anni, si occupa di televisione, musica e spettacolo, e collabora con testate a diffusione nazionale.

Si tratta di un saggio che, accanto alle notizie biografiche scandite in sei capitoli, corrispondenti alle fasi più significative della vita del cantautore, propone come introduzione, peraltro inconsueta, la Lettera di Mina all’amico Lucio, pubblicata il 28 settembre 1998. Il sereno e malinconico congedo della cara collega è accompagnato dal racconto degli effetti sul web, in seguito alla notizia della morte dell’artista. Seguono, quindi, le interviste che scandiscono la carriera di Battisti e ne mettono in risalto i successi, le delusioni, le novità, gli amori.

Da Poggio Bustone, piccolo paese in provincia di Rieti, dove nasce il 5 marzo 1943, la vita di Lucio Battisti si snoda al seguito della famiglia, alla quale rimane sempre legato sia quando l’attività musicale lo porta in giro per l’Italia e all’estero sia quando incontra Grazia Letizia Veronese, la donna che diventerà sua moglie, condividendo i momenti lieti e quelli tristi della vita.

Il giornalista racconta il bambino, il ragazzo, il giovane Lucio, collocandolo in una dimensione di assoluta normalità, simile a quella di tanti altri giovani che inseguono un sogno. Il suo è quello di diventare un chitarrista e il padre, che lo vorrebbe ingegnere all’Ibm, lo contrasta inutilmente.

«Ho conosciuto Battisti nel 1965 [...] era un ragazzo dai capelli corti, suonava la chitarra in un complesso», ricorda Mogol, famoso paroliere, con emozione. È un incontro che segnerà profondamente la sua vita, sfociando in un lungo sodalizio che durerà fino al 1980, tempo in cui Battisti rompe i ponti con tutti, si ritira dal palcoscenico musicale, per dedicarsi alla ricerca di ritmi nuovi proponendosi al pubblico, che lo aspetta sempre, con produzioni che avranno alterne fortune. Risale proprio a quest’ultimo anno il momento che l’autore coglie per far diventare la storia di Lucio Battisti quella dell’uomo e dell’artista che, lontano dalle luci della ribalta, può essere marito, padre, figlio, amico, alla ricerca di nuove dimensioni espressive e nuovi linguaggi.

 

Fisionomia dell’opera

È molto interessante il fatto che Piancatelli abbia affiancato al racconto biografico la cronaca delle interviste rilasciate da Battisti ai nomi più importanti del giornalismo italiano a partire dal 16 giugno 1968 fino al 18 maggio 1979: non c’è contraddizione fra questi generi perché la penna dell’autore non sovrasta mai la voce del cantante e lascia spazio alla persona, al musicista. Sono modi narrativi diversi ma complementari che contribuiscono a raccontare l’uomo nella sua interezza. Infatti è il ragazzo innamorato di Grazia Letizia, la quale esorta i giornalisti a non «farlo parlare troppo». Egli è tuttavia consapevole del proprio valore: «Te lo dico perché non sono modesto, perché è la verità». Non esita ad esprimere giudizi, spesso impietosi, sui cantanti italiani; sa essere autoironico ma rispettoso di se stesso e del pubblico, soprattutto quando non può «sfornare canzoni» anche se «il cosiddetto mestieraccio ce l’ho».

A conferma del fatto che non si tratta di un ritratto celebrativo, Piancatelli non esita a far conoscere, attraverso le interviste, un Lucio graffiante che nel 1970 rifiuta di partecipare a Canzonissima, perché «quella è una trasmissione dove si va in “smoking” e fiocchino, e anche gli inservienti portano la cravatta… è troppo ufficiale e io odio le cose ufficiali». Le interviste, infatti, raccolte in modo cronologico, propongono nell’insieme una sorta di biografia alternativa e spesso offrono l’opportunità di conoscere Battisti attraverso il racconto che egli fa di se stesso e dei propri successi. Mentre riconosce a Mogol il merito di avere inventato un linguaggio nuovo, costruito sulla musica della inseparabile chitarra, è anche sicuro di essere il miglior compositore italiano. È il ritratto di una persona convinta che «la musica deve rivelare l’animo dell’autore, sempre, anche se al pubblico la cosa può non piacere troppo» e consapevole di essere «un uomo come tutti gli altri […] forse perché non mi sono mai piaciuti quei cantanti in cerca di successo con la lacrima e la vecchia mamma ammalata… lasciamo perdere, meglio non dire più niente […], altrimenti mi faccio dei nuovi nemici, oltre a quelli che già ho».

È quindi una biografia insolita, quella delineata da Piancatelli, proprio perché si apre con la notizia della morte di Battisti e si conclude con l’ultima intervista del 1979: quasi vent’anni corrono tra questi due momenti, intanto le pagine attraversano un’intera vita vissuta inseguendo il sogno della canzone sempre più bella e sempre più nuova e, contemporaneamente, all’insegna dell’autenticità nata a Poggio Bustone e spenta per sempre a Molteno.

 

Vilma Formigoni

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 26, ottobre 2009)

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