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Anno III, n.25, Settembre 2009
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Home Page (a cura di Anna Guglielmi) . Anno III, n.25, Settembre 2009

Zoom immagine Storie di “reclusi”
e di cuori liberi
tra pace e silenzio

di Eliana Grande
La vita, i luoghi e il tempo dei monaci
in un libro pubblicato da Rubbettino


La vita monastica potrebbe sembrare quanto di più lontano possa esistere dal comune modo di pensare e gestire il nostro tempo quotidiano. Nella società del “fare” febbrile, del produrre ad ogni costo, del frastuono televisivo, della tecnologia e della comunicazione, chi si ferma potrebbe essere perduto; oppure ritrovarsi. I monaci di clausura (Rubbettino, pp. 156, € 8,00) di Tonino Ceravolo, studioso di Storia e Antropologia religiosa e già autore di diverse pubblicazioni, può costituire un interessante approfondimento di questa tematica.

Considerati i presupposti dai quali siamo partiti, potremmo giudicare inaspettata la notizia fornitaci dall’autore in apertura: «il film Die Groβe Stille di Philip Gröning, centosessantadue minuti di pressoché totale silenzio girati nel monastero della Grande Chartreuse, subito dopo il suo esordio in Germania ha conquistato, secondo le notizie di stampa, un numero di spettatori maggiore dell’ultima uscita di Harry Potter» e «ha guadagnato, in giro per il mondo, importanti riconoscimenti dalle giurie dei festival internazionali e ha ottenuto recensioni entusiastiche».

Sembra un paradosso, e magari lo è, ma potrebbe nascondere un’insospettata logica.

 

Le ragioni di un’incontestabile attrazione

La spiegazione razionale sottesa al crescente interesse oggi rintracciabile nei confronti della dimensione spirituale e, in particolare, dell’esperienza di vita monastica potrebbe affondare le sue radici proprio nei fenomeni più caratteristici del nostro attuale modus vivendi. Non è indispensabile poter fare affidamento su particolari doti psicologiche per sospettare che dietro l’odierna corsa spasmodica all’acquisto, al possesso, al consumo si nasconda la percezione di una mancanza, di una carenza di fondo, di un bisogno che continua a restare, pur sempre, insoddisfatto.

Non è richiesta una conoscenza spropositata della natura umana per fiutare una dolorosa schiavitù dietro l’affannosa rincorsa di quella che Ceravolo chiama «variopinta libertà dell’agire, spesso accompagnata alla rivendicazione di una radicale soggettività, irriducibile a regole codificate e condivise».

E non serve un’intuizione eccezionale per chiedersi se il rumore costante nel quale siamo immersi, il fracasso mediatico dal quale volontariamente ci lasciamo avvolgere, il vociare, ciarlare, spettegolare, che spesso scegliamo pur di riempire il silenzio, non siano altro che un modo per coprire la domanda sottile, discreta ma tenace, che risuona nell’intimo del cuore umano, la domanda sul senso, sul significato, lo scopo, il “perché” del tempo, delle azioni, delle scelte, della vita. Non c’è da spaventarsi: non si tratta di complicate questioni filosofiche, e nemmeno di illuminate rivelazioni new age, ma solo di pura, semplice, complicatissima “umanità”.

 

Marta e Maria, ovvero la vita attiva e la vita contemplativa

«All’inizio furono due sorelle, Marta e Maria». Soffermando l’attenzione su queste parole di Ceravolo, ci lasciamo introdurre nella ben nota diatriba sul rapporto tra vita attiva e vita contemplativa che tanto ha animato nel corso dei secoli le riflessioni di filosofi, teologi e fondatori di ordini religiosi. E proprio sul terreno di questa diatriba diverrà facile spiegare, ad esempio, il successo del film di Gröning nelle grandi metropoli occidentali, o la crescente domanda circa itinerari di turismo religioso che, come scrive Ceravolo, «pongono proprio i monasteri come uno dei “terminali” preferiti».

Tutto comincia, lo dicevamo, con Marta e Maria, le due sorelle del noto passo evangelico, divenute ormai simboli, personificazioni di due modi diversi di vivere la fede, quello dell’“attività” e quello della “contemplazione”. Mentre Marta è tutta «presa dagli affanni quotidiani», Maria siede ai piedi di Gesù e ascolta la sua parola, «in un bellissimo momento di “santa inattività”». E, di fronte alla lamentela di Marta, risentita del fatto di essere stata lasciata sola a servire, Gesù risponde: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta».

La densità di significato di queste parole, e dell’intero passo, è ovviamente tale da rendere velleitario qualunque tentativo di approfondimento nello spazio di poche righe. Basterà semplicemente ricordare, ancora una volta insieme a Ceravolo, come «questo celebre testo abbia costituito, per i monaci di tutte le epoche, una specie di elogio della vita contemplativa, una “giustificazione” della sua altissima e insostituibile funzione [...]. Nella figura quieta di Maria vengono delineati alcuni caratteri essenziali della condizione del contemplativo: l’umiltà e la semplicità [...], l’aprirsi silenzioso del cuore a Dio [...], il porre l’accento sul fine supremo della vita spirituale, l’unione con Dio, da cui non deve distrarre il tumulto del mondo».

 

Fuga da sé e fuga dal mondo

Lo dicevamo prima: quello contemporaneo è l’uomo che si getta in questo “tumulto del mondo”, che cerca il fracasso, l’iperattività, la sovrabbondanza. È l’uomo in fuga da sé. Il monaco, invece, «è il solitario, l’abitante del deserto, l’uomo della fuga mundi, l’innamorato del silenzio, per amore di Dio e di Dio solo».

Eppure, abbiamo constatato anche l’innegabile attrattiva, il fascino della vita monastica, il bisogno e insieme la paura di riscoprire una diversa dimensione del tempo, della quotidianità, del rapporto con se stessi, con gli altri, con ciò che ci trascende. E abbiamo definito tutto questo come pura, semplice, complicatissima “umanità”. Sì, perché volendo astrarre per un momento le considerazioni fatte fin qui, nell’intento di continuare la riflessione da un punto di vista più “generale” e, se vogliamo, meno legato alla contrapposizione (in ultima analisi riduttiva) monaco/uomo comune, ci si accorgerà che attività e contemplazione non sono che due espressioni, due facoltà e manifestazioni della natura umana.

La società della quale facciamo parte si è orientata in maniera nettamente maggiore nella direzione dell’attività, trascurando per secoli la sua componente contemplativa,

il suo bisogno di silenzio, di spiritualità, di quella particolare «stabilitas» di cui si legge in questo libro. Di quella «parte migliore, che non le sarà tolta».

 

Eliana Grande

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 25, settembre 2009)

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