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Anno III, n.25, Settembre 2009
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Filosofia e religioni (a cura di Angela Potente) . Anno III, n.25, Settembre 2009

Zoom immagine Il rapporto ritrovato
tra verità, relativismo
e studio della lingua

di Gaetanina Sicari Ruffo
Da Mondadori, nuovo testo di Canfora:
un excursus storico sulla Filologia


Spesso nel dibattito culturale contemporaneo il senso della parola “verità”, nell'uso oggettivo ed autentico del termine, sembra superato a vantaggio del relativismo tout court, cioè quella consapevolezza,  diffusamente accettata, che nulla sia determinato e sicuro e che ogni tappa della conoscenza raggiunta sia solo temporanea, in attesa di successive trasformazioni che sicuramente interverranno, dal momento che tutto cambia e si evolve, anche sul piano cognitivo. In un recente saggio, Filologia e Libertà, (Mondadori, pp. 200, € 13,00) Luciano Canfora, da appassionato studioso della materia (la insegna da tempo ,in qualità di docente ordinario dell’Università di Bari, e la discute in molteplici seminari nazionali ed esteri), prova ad esplorare questo campo identificando, in modo inusuale, ma fecondo di nuove prospettive, la ricerca della verità nell’indagine filologica che è da intendersi come disciplina rigorosa di studio delle fonti della trasmissione dei testi, così come oggi s’è venuta conformando, libera da qualsiasi categoria dell’utile strumentale, con l’unico fine di depurare da infiltrazioni arbitrarie e salvaguardare i messaggi originali degli autori che s’intendono validi. Egli ribadisce fermamente che la filologia può essere professata solo in piena libertà, al di là d’ogni censura politica e religiosa, accettando nel suo ambito solo ciò che è documentato o direttamente testimoniato o sicuramente convalidato.

Conosciuta come “critica testuale”,essa ha avuto, nel corso dei secoli, un iter molto tortuoso che spesso ha attirato diffidenze e condanne. Lo storico-filologo ricostruisce questo intreccio di contraddizioni, attraverso documenti probanti che riguardano sia il dibattito laico, che quello confessionale.

 

La Vulgata

Molto accanita è stata, per lungo tempo, la difesa sostenuta dalla chiesa cattolica della “Vulgata”, l’unico testo autorizzato del Vecchio e del Nuovo Testamento, elaborato in latino da S. Girolamo (IV sec.d.C.) dalle lingue originali, rispettivamente l’ebraico ed il greco e confermata dal Concilio tridentino (metà del XVI sec.) contro le altre traduzioni compilate da altre chiese o libere interpretazioni d’intellettuali, anche autorevoli ,come nel caso di Giordano Bruno, Erasmo da Rotterdam, Spinoza, Valla, Vico. Il divieto d'accostarsi alle fonti originali delle sacre scritture nasceva dalla paura di eresie e di devianti errori che potessero snaturare la sostanza dogmatica dei principi di fede saldamente dedotti dai dottori e padri della chiesa che se n’erano fatti per primi interpreti.

La filologia, come oggi è invalso chiamare la critica testuale, liberamente adoperata, fu molte volte attaccata, in varie encicliche papali,da Pio IX a Leone XIII a Pio X, proprio perché considerata arbitraria e controversa se applicata indistintamente ai testi sacri.

 

Il modernismo

La condanna più rilevante all'attività della critica testuale è contenuta nell’enciclica Pascendi dominici gregis di Pio X, dell’8 settembre del 1907, rivolta soprattutto a condannare l’attività d’un gruppo di studiosi cattolici che erano considerati seguaci del “modernismo”. Si trattava d'una corrente di pensiero diffusa tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, che voleva assimilare ai principi cristiani le conquiste del pensiero moderno, battere cioè strade diverse dal consueto, scoprendo in proprio anche verità non rivelate, ma frutto di indagini e di studi periferici in tutti i campi, dalla filosofia, alla scienza, alla critica storica, all’esegesi biblica. In quest’ultimo settore, molto noto tra gli iniziatori francesi della teoria, era divenuto A. Loisy i cui testi: Storia del canone dell’Antico Testamento, una traduzione direttamente dall’ebraico del Libro di Giobbe, Miti babilonesi e primi capitoli della Genesi, Il quarto vangelo, Sinottici, avevano incontrato grande successo. Il tono della Pascendi non concedeva nessuna licenza, ma definiva semplicemente “nemici della chiesa” quanti, appartenenti al laicato o religiosi essi stessi, osavano contraddire le disposizioni impartite in precedenza dai vescovi ed arguire liberamente su verità precostituite:

«Ed a rompere sempre più gli indugi Ci spinge anzitutto il fatto che i fautori dell’errore già non sono ormai da ricercarsi tra i nemici dichiarati; ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista». E successivamente l’esplicita loro condanna: «E poiché è artificio astutissimo dei modernisti (chè con siffatto nome sono chiamati costoro a ragione comunemente) presentare le loro dottrine non già coordinate e raccolte quasi in un tutto, ma sparse invece e disgiunte l’una dall’altra, […]gioverà innanzi tutto raccogliere qui le dottrine stesse in un sol quadro, per passar poi a ricercar le fonti di tanto traviamento ed a prescrivere le misure per impedirne i danni». Con la seguente, solenne conclusione, dopo un’ampia sintesi degli errori: «La prima cosa dunque, per ciò che spetta agli studi, vogliamo e decisamente ordiniamo che a fondamento degli studi sacri si ponga la filosofia scolastica. È parimenti officio dei Vescovi impedire che gli scritti infetti di modernismo o ad essi favorevoli si leggano se sono già pubblicati o, se non sono, proibire che si pubblichino». Con tali disposizioni naturalmente la condanna dei nuovi studi poteva considerarsi netta e definita contro ogni tentativo di conciliazione tra la fede e la modernità. Ma circa quarant’anni dopo Pio XII aprirà ai filologi. La Divino afflante spiritu, l’enciclica del 30 settembre del ’43 di Papa Pacelli, contiene infatti la riabilitazione della critica testuale. Essa «che nelle edizioni degli autori profani s’impiega con grande lode e pari frutto, a pieno diritto si applica ai sacri Libri proprio per la reverenza dovuta alla parola di Dio». Lo scopo di quest’arte, si chiarisce subito dopo, è di «restituire con tutta la precisione il sacro testo, purgandolo dalle deformazioni introdottevi dalle manchevolezze dei copisti e liberandolo dalle glosse e lacune, trasposizioni di parole, ripetizioni e simili difetti che negli scritti tramandati a mano per molti secoli sogliono infiltrarsi».

Bisogna dire che l’approvazione papale fu dovuta pure al consenso per l’opera dei docenti del Pontificio istituto biblico di Roma e per l’edizione critica di Augustin Merk (1869-1945), pronta nel 1914 e pubblicata nel 1933, che ha avuto larga diffusione; basti pensare che la XXVII edizione di questa edizione, del 2001, è a cura di Barbara Kunt Aland e di altri studiosi, tra cui il cardinale Carlo Maria Martini. Successivamente il pontefice riconosce, dimostrando grande sensibilità, che nelle Sacre Scritture non “tutto è parola di Dio”. Ci sono interpolazioni, glosse e lacune di cui bisogna liberare i testi per riportarli alla loro autentica veridicità.

Canfora s’interroga sul motivo che potrebbe avere spinto Pio XII ad esprimere un tale riconoscimento, in contrasto con i suoi predecessori, e si dimostra convinto che la filologia aveva fatto tali progressi anche nel campo dell’esegesi biblica che perdurare nell’immobilismo e nella condanna precedenti sarebbe stato sicuramente controproducente. Meritatamente un apprezzamento è rivolto anche ad Eduard Schwartz per l’edizione critica della Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea (1905-1909) e la nuova edizione degli Acta conciliorum Oecumenicorum, tuttora è in corso, secondo il metodo della filologia classica che accosta all’analisi del testo la storia dello stesso. Nel 1934, come conseguenza di questo dialettico incrociarsi del dibattito tra religiosi e laici, veniva data alle stampe la Storia della tradizione e critica del testo di Giorgio Pasquali che può ritenersi, a buon diritto, di fondamentale importanza per la determinazione e la diffusione della filologia classica.«Il progresso editoriale, dice Canfora, e la compenetrazione delle concrete esperienze di lavoro tra studiosi di entrambi gli schieramenti» hanno reso possibile questa via nuova d’intesa. Ma se da una parte era spianato l’iter in questo campo per successivi studi ed interessanti metodi, prima inesplorati, restava ribadito, nella continuità della tradizione religiosa, l’immutabile sostanza dogmatica così com’era stata decretata ed approvata dai concili. Il Concilio Vaticano II si pose pure su questa via introducendo ancora miglioramenti e innovativi principi.

 

L’esigenza d’una Filologia integrale

Quella che è stata finora tratteggiata è la storia contrastata d’una disciplina che s’è rivelata, e lo è tuttora, di grande utilità per scandagliare e verificare i messaggi del passato. Presuppone in chi l’adopera profonda cultura, capacità d’analisi storica, obiettività di giudizio, intuizione e precisione quasi scientifica nella comparazione delle varianti, costante riferimento ai modelli e classificazione dei testi emendati. Negli ultimi tempi essa ha fatto molti progressi, ha distinto, secondo una precisa scala di valutazioni, i criteri per distinguere i testi falsi da quelli autentici. È stata capace di risalire all’origine degli errori, avvalendosi di tutte le conoscenze :di storia, di geografia, di filosofia, di paleografia, di lingua e di stile, che servano a mettere in luce il più possibile l'autenticità delle opere esaminate.

Si auspica che, superate le divisioni del passato che l’hanno catalogata in “buona” o “cattiva”, a seconda se applicata a testi profani o sacri, possa non più essere condizionata, ma procedere liberamente ad esplorare i reperti del passato in piena autonomia ed alla luce di nuove scoperte.

Con questo nuovo saggio di Canfora il lettore entra nello spazio privilegiato dei libri e delle biblioteche per conoscere le varie tappe di un’autentica battaglia e condividere una difesa: nel primo caso contro le mistificazioni e gli immobilismi che vorrebbero riportare indietro la storia della cultura, nel secondo, invece, per promuovere maggiore consapevolezza e scoprire una verità che, per essere tale, deve rivelarsi dinamica ed ampia, sostanziata da continua ricerca ed analisi, senza paura ch'essa possa svanire o attenuarsi. Insomma lo studio dei testi diviene una palestra di libertà socio-culturale su cui fondare non solo l'orgoglio nazionale, ma riscuotere il consenso universale.

I libri sono le tracce che il processo storico ha disseminato lungo l'arco della civiltà, lasciando impronte ancor oggi percorribili. Un esempio valido per tutti è la Biblioteca del patriarca di Costantinopoli Fozio che, nel Medioevo, nonostante la condanna, rimase modello d’una cultura classica condivisa dall'Occidente e dall'Oriente.

 

Gaetanina Sicari Ruffo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 25, settembre 2009)

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