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Anno III, n. 24, Agosto 2009
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Letteratura contemporanea (a cura di Maria Franzè) . Anno III, n. 24, Agosto 2009

Zoom immagine In un romanzo tra realtà e sogno,
carico di ossessione e tormenti,
si recitano i vari ruoli dell’amore

di Valentina Burchianti
Abramo narra una grande passione
sullo sfondo di una teatrale Atene


«Viola è una puttana, si dà per soldi». Inizia così, con questa dichiarazione lapidaria eppur struggente, il secondo romanzo di Gianfranco Angelucci, Tra un anno al Caffè della Plaka pubblicato dalla casa editrice Abramo (pp. 256, € 18,00). Affermazione ardente se si considera che a pronunciarla è l’io narrante, nonché coprotagonista della narrazione insieme alla stessa Viola, alla quale è legato da una travolgente, quanto stravolgente, storia d’amore.

Nel libro si racconta la messa in scena di uno spettacolo teatrale che il protagonista si trova a dirigere ad Atene, città di miti trascinanti e di dei capricciosi in cui, esattamente un anno prima, si è innamorato di Viola e dove i due si sono promessi di rincontrarsi dopo un lungo periodo di silenzi e abbandono.

Il pretesto narrativo della rappresentazione teatrale, che muove e spinge gli ingranaggi del romanzo, offre all’autore la possibilità di addentrarsi in un terreno a lui quanto mai noto e frequentato – dato che Angelucci è, oltre che scrittore, anche giornalista e regista cinematografico e teatrale, e che può tra l’altro vantare collaborazioni importanti con Federico Fellini – e al lettore offre l’occasione e lo spunto per comprendere come in realtà ogni evento della umana esistenza, e soprattutto le passioni, i tormenti e le gioie, non siano in fondo nient’altro che maschere, interpretazioni di ruoli e ombre, di cui non resta poi che polvere su un palcoscenico vuoto.

La storia d’amore con Viola non prende mai il volo, né mai mette radici. Rimane sempre, pur nella sua intensità e passione, qualcosa di autoreferenziale, soprattutto da parte del protagonista maschile. Il tormento che essa, come tante storie analoghe, genera, non viene mai rielaborato e affrontato, dando luogo ad una crescita nel rapporto amoroso e ad una conoscenza più profonda dell’altro, ma resta di contro una ossessione che cresce su se stessa e si autoalimenta in modo vorticoso.

 

Il teatro vero protagonista e immagine dell’amore

Le ansie, i ritardi e le inadempienze che scandiscono la preparazione dello spettacolo fanno da contraltare e specchio alla vita privata del protagonista che oscilla costantemente tra il senso del dovere dettato dalla sua professionalità e la tentazione di abbandonare per sempre quella instabile carovana di attori, assistenti, costumisti e raccomandati.

Riuscita simmetria con la vita, il teatro, e quindi il dramma, l’esasperazione, la farsa, diventano quasi protagonisti assoluti e indiscussi della storia, con i suoi meccanismi, i suoi linguaggi e codici, guidati da una forza sovraumana che ci fa sperare, quando ogni cosa ormai sembra perduta, in un intervento divino e provvidenziale che faccia andare incredibilmente tutto per il verso giusto e decreti il successo, casuale ma definitivo, della tormentata commedia umana.

L’intreccio quindi ci conduce, attraverso continui passaggi e salti dei piani della realtà, in atmosfere estatiche e trasognate, nelle quali l’immaginazione, soprattutto l’immaginazione dell’amore, si confonde e finisce per scontrarsi con la realtà. Viola resta, anche se persona concreta e consistente, soprattutto un’idea utopistica che vediamo ma continuamente ci sfugge, figura di un desiderio irrealizzabile, di un’ansia di possesso e completamento che contraddistingue ogni sentimento d’amore.

Ciò che fa da filtro alla narrazione vera e propria, cioè il teatro, che dovrebbe essere in realtà uno tra gli strumenti supremi e privilegiati di comunicazione, diventa invece metafora – sembra suggerirci l’autore – di una ineliminabile incomunicabilità tra gli esseri umani, o piuttosto di una insufficienza di strumenti e di aperture di cui disponiamo per entrare in relazione con altre individualità. Ognuno resta chiuso in se stesso e nel proprio piccolo recinto di sensazioni, sentimenti e visioni, pur anelando al raggiungimento dell’unione perfetta.

Scritto in una prosa estremamente elegante, a volte aristocratica e che fa uso di termini tecnici, presi ovviamente dal mondo e dal lessico dello spettacolo, Tra un anno al Caffè della Plaka è un libro affascinante anche se “graduale”, nel senso che ci conduce senza fretta verso il centro della storia, rivelandosi con sapienza e al momento giusto ricco di risvolti e retroscena. Il suo finale aperto e non definito dischiude, poi, più interrogativi di quanti ne chiarisca, ponendo come bandiera e contrassegno del romanzo la qui riportata citazione di Sant’Agostino: «Gaudeat etiam sic et amet non inveniendo invenire potius quam inveniendo non invenire te», ovvero: «Poco importa se non arrivi a capirlo! Sii contento lo stesso. E gioisci di trovarlo senza una spiegazione, piuttosto che fra tante sofisticate spiegazioni non trovarlo mai».

 

Valentina Burchianti

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 24, agosto 2009)

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