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Anno III, n. 24, Agosto 2009
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Comunicazione e Sociologia (a cura di Pierpaolo Buzza) . Anno III, n. 24, Agosto 2009

Zoom immagine Quali prospettive per l’Italia
all’interno della situazione
geoeconomica dell’Europa:
dati e osservazioni rilevanti

di Mariangela Monaco
Un saggio che traccia le linee essenziali
della problematica. Da Carocci editore


Recentemente l’editore Carocci, da sempre attento alle tematiche sociopolitiche ed economiche attuali, come ben dimostra il ricco catalogo, ha dato alle stampe un saggio, curato da Alberto Vanolo, che rappresenta una sintesi di un più ampio rapporto che la Società geografica italiana ha dedicato all’Europa. Il volume, dal titolo Atlante dell’Italia nell’Unione Europea (pp. 140, € 16,00), attraverso quattro capitoli, fornisce una serie di interessanti riflessioni e di dati per comprendere la collocazione del nostro paese, soprattutto da un punto di vista economico e regionale, all’interno dell’Unione Europea, intesa in primis, oltre che come “gigante” economico, anche come spazio geografico, come unità territoriale.

Infatti, già nel primo capitolo, che traccia la sintesi della costruzione dell’integrazione europea (una sorta di indispensabile introduzione), si evidenzia subito questo aspetto, in quanto si offre una illustrazione dello Schema di sviluppo dello spazio europeo, un documento varato dai ministri europei responsabili della pianificazione territoriale, che considera il territorio comunitario come totalità e si pone perciò lo scopo di trovare un equilibrio delle attività economiche tra le aree. Scopo che a sua volta si articola in tre obiettivi fondamentali al suo raggiungimento: la coesione economica e sociale, una competitività più bilanciata, la salvaguardia delle risorse naturali e del patrimonio culturale. Si tratta, in sostanza, di realizzare politiche che perseguano simultaneamente tutti e tre questi aspetti, per dare vita ad uno sviluppo territoriale sostenibile ed equilibrato.

Nel rapporto si evidenzia che un simile approccio pone una serie di problematiche: «un primo nodo da sciogliere è costituito dal superamento del tradizionale dualismo tra città e campagna attraverso lo sviluppo, da un lato, di un sistema urbano bilanciato e policentrico (ossia non eccessivamente focalizzato su pochi centri di grandi dimensioni) e, dall’altro, di nuove funzioni e relazioni economiche tra aree urbane e rurali, al fine di contrastare la tendenza allo spopolamento e all’arretratezza economica di queste ultime».

Molto importante poi è la necessità di sviluppare delle reti di regioni metropolitane, aperte all’internazionalizzazione e alla diffusione di attività economiche e di servizi anche nelle regioni periferiche più densamente popolate.

E, ancora, uno sviluppo equilibrato e policentrico del territorio europeo passa dalla creazione di infrastrutture di trasporto e comunicazione su scala continentale (pensiamo ai noti corridoi europei), che non è solo un problema di tipo meramente materiale, in quanto «l’obiettivo è che le popolazioni di tutte le regioni europee abbiano pari opportunità di mobilità e di accesso alla conoscenza».

 

L’Italia tra europeizzazione e internazionalizzazione

Il secondo capitolo si occupa di focalizzare la posizione dell’Italia, e in particolare la sua economia, all’interno di quello che si può definire “sistema Europa”. Appurato che c’è una sorta di relazione molto stretta tra internazionalizzazione ed europeizzazione del nostro paese: la prima ha senza dubbio costituito l’ossatura della seconda, ma soprattutto è stata l’integrazione europea che ha favorito il processo di internazionalizzazione, attraverso specifiche modalità, dato facilmente dimostrabile tramite una serie di indicatori (uno su tutti: il numero delle imprese investitrici all’estero, modestissimo negli anni Ottanta, si è decuplicato tra la metà degli anni Novanta e il 2004).

Si passa poi ad esaminare la salute dell’economia italiana, in sé e in una prospettiva comparata all’interno dell’Unione Europea, con particolare attenzione alla bilancia commerciale (che com’è noto registra le esportazioni e le importazioni di merci) e all’industria dei manufatti (caposaldo delle nostre piccole e medie imprese), il cui saldo è sempre stato un problema per l’Italia. Dall’analisi, molto ricca di dati e grafici, emergono due risultati: il primo è costituito dai segni di debolezza della nostra economia, caratterizzata da una perdita di competitività, dovuta anche all’introduzione dell’euro che ha provocato un apprezzamento della valuta nei confronti del dollaro (con ripercussioni negative sulle esportazioni); il secondo è rappresentato dalla moneta unica, grazie alla quale «si è stabilita una concentrazione geografica dei flussi commerciali che conferma l’assoluta priorità dello scambio interno ai confini dell’Unione Europea».

Le difficoltà del nostro sistema si evidenziano anche quando si va ad indagare la situazione per quel che riguarda i fattori su cui bisogna puntare nel futuro: tecnologia, ricerca e innovazione. In particolare, dalle cifre analizzate, emerge che «in molti ambiti tecnologici [...] l’Italia assume un ruolo di “subordinazione” rispetto all’estero. Si tratta di una condizione da cui è poco probabile si possa uscire in tempi brevi: considerando il solo campo dei brevetti, la distanza dai paesi europei più dinamici è davvero notevole». E medesima situazione si ha nel campo della diffusione della ormai fondamentale Ict (Information and communication technology).

Dal punto di vista della ricerca – che dipende enormemente dai finanziamenti dell’Unione Europea in quanto lo stato italiano latita – essa è concentrata per oltre l’80% nelle mani delle imprese di grandi dimensioni, modesto è il contributo delle medie (intorno al 12%), praticamente irrilevante quello delle piccole (5,6%). Un’attività di ricerca che poi rappresenta anche un’altra, ennesima faccia della frattura Nord-Sud che contraddistingue negativamente l’Italia.

 

Lo sviluppo regionale e il caso del Mezzogiorno

Il terzo capitolo si occupa invece delle politiche più direttamente legate al territorio, e quindi della politica regionale europea – della cui evoluzione offre una puntuale sintesi – e di quelli che sono gli strumenti principali in sede europea per favorire lo sviluppo, nel segno di una coesione economica e sociale che interessi tutte le aree in maniera uniforme (le zone rurali sono indicate espressamente tra quelle meno favorite e in cui quindi bisogna intervenire). Tali strumenti sono i Fondi strutturali, la Banca europea per gli investimenti e i prestiti e le garanzie Euratom, che «hanno consentito non solo di disporre di risorse aggiuntive ma anche di rivolgere le politiche nazionali verso una chiara direzione integrativa e un’esplicita concentrazione regionale degli impieghi, secondo un criterio che risponde a un’evidente razionalità di ordine geografico». In questo quadro risalta, per la sua complessità e contraddittorietà, il Mezzogiorno: nel periodo 1999-2003 è cresciuto maggiormente del resto d’Italia (i redditi del Sud sono aumentati in media dell’1,7% contro l’1,2% nazionale), e quindi teoricamente il divario è diminuito, ma restano gravissime carenze: di ordine infrastrutturale, di smaltimento dei rifiuti, di accesso al patrimonio culturale, di ricerca. Chiude l’analisi oggetto di questa parte del volume una riflessione su una politica fondamentale a livello europeo: quella agricola. Si evidenzia come l’Unione Europea, in particolare negli ultimi quindici anni, ha contribuito fortemente alla trasformazione e al miglioramento del settore agricolo, e di ciò ha beneficiato anche il Sud Italia.

Infine, il libro termina con un agile capitolo sulle implicazioni geopolitiche e geoeconomiche poste dall’allargamento a est del 2004 (che, com’è noto, hai coinvolto Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria) e con un’interessante Appendice, di ben 17 tavole a colori, a mo’ di breve riepilogo e supporto di quanto analizzato.

 

Luigi Grisolia


(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 24, agosto 2009)

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