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Anno III, n. 24, Agosto 2009
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Problemi e riflessioni (a cura di Francesca Rinaldi) . Anno III, n. 24, Agosto 2009

Zoom immagine Un viaggio analitico,
tra passato rimosso,
presente tralasciato
inseguendo il futuro

di Antonietta Zaccaro
Da Edizioni associate un nuovo Zeno
condannato alla terapia psicanalitica


Un flusso di pensieri, Joyce lo definirebbe stream of consciousness, in cui Rinaldo Boggiani ci porta per mano. Sono i pensieri di un prigioniero in un carcere che per difendersi dall’accusa di omicidio è costretto ad andare in analisi e scavare nel suo passato costellato da pranzi in famiglia in cui la madre non è la figura buona che ci si aspetta ma una donna che ad ogni complimento rivolto a suo figlio risponde: «se lo porti via!». Domani ero (Edizioni associate, pp. 104, € 11,00) è il diario di questa analisi. Come un novello Zeno Cosini, il protagonista ci riporta nel conto alla rovescia precedente alla sua sparizione, per poi lasciare la parola e il compito di raccontare la sua storia ad un altro prigioniero, l’unico con il quale lui riusciva a parlare mentre svolgeva la mansione di lavapiatti nella cucina del carcere. A quest’ultimo è affidata la sezione finale del libro, Il presente, preceduta dalle due riguardanti il futuro e il passato. A curare la presentazione è Romano Biancoli, psicoanalista, che fa una sorta di analisi freudiana del volume: «Domani ero ci aiuta a non arrenderci all’omologazione replicante, a resistere all’attrazione magnetica del già avvenuto».

 

Il passato per comprendere il futuro

«Facciamo tutto per il futuro quasi dimentichiamo il presente. Del passato poi non se ne parla». Il viaggio tra i pensieri del protagonista inizia con una riflessione sul futuro. È così importante conoscere il proprio futuro? Le cartomanti impazzano sui volantini che calpestiamo per strada e sulle reti private, promettendo una lettura della mano o dei fondi di caffè per scoprire cosa sarà di noi, della nostra vita sentimentale ecc.

È come se l’uomo non riuscisse a resistere alla tentazione di conoscere il proprio futuro, pur essendo impossibile.

Dal futuro l’attenzione si sposta al passato, ai ricordi di una vita: la mente ritrova la nonna che con la sua cadenza dialettale suscitava il suo riso da bambino, al nonno e al vuoto lasciato dalla sua morte, ad Alberto «morto per un eccesso di vita». Compare per la prima volta la figura del padre e il senso di colpa del protagonista per non avergli dato in vita tutto l’affetto che meritava, costretto ora a riversarlo su di una tomba fredda.

Il tempo passa, scolora i ricordi, ma è giusto «mettere una pietra sopra» al passato? – si chiede il nostro novello Joyce – ed ecco comparire la professoressa di Lettere al liceo, il ricordo di un tema valutato male, la frustrazione da alunno e, nel presente, il suo riscatto. Un riscatto, però, non totale, sempre velato da una vena malinconica identificabile, forse, con la mancanza di autostima. Questa carenza lo porterà a pagare la sua prima analisi e ad arrivare alla conclusione che non sarà un’auto a condurci nel futuro, ma un vinile di Battisti comprato al mercatino dell’usato e ascoltato su una vecchia piastra Grunding “Dual 1219”. «Tutti credevamo nel futuro non ci crediamo più ma crediamo tutti in quel passato».

 

L’analisi

Siamo in una cucina di un carcere. Ad osservarsi ci sono due uomini addetti al lavaggio delle pentole. Come parlando a queste ultime, il primo prigioniero inizia a raccontare la sua storia: «ho sparato la notte di Natale di otto anni fa. La giustizia ha voluto tutto il mio futuro perché quello che diceva “sono il tuo avvocato” non è riuscito a dimostrare che non c’entravo granché con quello sparo». Il suo avvocato consiglia una terapia psicologica, che scavi nel suo passato, per meglio comprendere l’animo del suo assistito e la scintilla che lo portò a sparare. Senza passato non ci può essere difesa. Egli inizia così l’analisi, con una sorta di diffidenza a far entrare nel suo trascorso uno sconosciuto, ma con la voglia di uscire di prigione: «se l’analisi può aprirmi ‘sta porta o darmi una cella più grande vado in analisi anche se non ho ben capito come funziona questa analisi perché non la pago io l’analisi e l’analisi funziona solo se a pagare sei tu».

Ora il flusso di pensieri viene scandito dalle sedute analitiche, dai sogni del protagonista e dai racconti narrati durante il suo lavoro in cucina.

Il medico inizia ad entrare nel suo passato: compare la figura paterna che dimentica il figlio alla lezione di pattinaggio, suscitando una fobia dell’abbandono che lo perseguiterà per tutta la vita.

In rispetto al metodo freudiano iniziano i racconti onirici, segno visibile del nostro subconscio. In uno dei sogni vi è una donna che, senza dare spiegazioni, dà una scadenza: 3 mesi o 90 giorni, terminati i quali al protagonista succederà qualcosa di particolare. Cambia così la scansione temporale: inizia il conto alla rovescia.

Andando indietro con i ricordi, mentre si avvicina il novantesimo giorno, compare la guardia carceraria che lo soggioga, calpestando ripetutamente i suoi libri, provocando così in lui quella ossessione per la pulizia rimasta latente per anni. Appaiono i suoi ricordi scolastici e la paura di essere nominato capoclasse, per non avere responsabilità, per lasciare il «lavoro sporco» agli altri.

Passeggiando tra i ricordi arriva l’ultimo giorno del suo conto alla rovescia, di lui non si saprà più niente, scompare nel nulla e il suo unico amico si ritrova da solo a pulire le pentole. Egli conosce molte cose del prigioniero scomparso e il medico, considerando il caso «mooolto interessante», gli chiede di continuare l’analisi al posto suo. Inizia così la sezione dedicata al presente in cui cambia la voce narrante, ma non il protagonista.

Si affaccia il racconto del problematico rapporto con la madre, sempre attenta al giudizio altrui, che prova un piacere quasi morboso a mettere suo figlio sotto pressione, a farlo sentire sempre inadatto alla scuola, all’università, alla vita. Compare di nuovo la figura paterna e la sua ossessione perché il figlio diventi prima geometra, poi ingegnere, senza tenere conto delle sue reali capacità e aspirazioni. Egli intraprenderà prima gli studi di ingegneria per poi passare alla filosofia, suscitando la delusione del padre, laureandosi con il massimo dei voti. Una volta diventato dottore, la figura paterna e quella materna vengono sostituite dal professore che lo tiene come assistente e gli impone la scrittura di un libro. Lui, con la sua solita meticolosità, inizia il lavoro di scrittore, per poi essere deluso dal suo mentore, troppo impegnato a seguire le sue pubblicazioni, ma, come per la professoressa del liceo, egli riesce ad avere il suo riscatto, pubblicando il libro con successo.

Arriva l’ultimo giorno di analisi, il dottore entra con in testa una domanda per il suo paziente. Dopo il primo imbarazzo decide di indagare sul perché egli si trovi in prigione: «anch’io Dottore ho sparato in una notte di Natale per uscire di prigione», scoprendo così un improbabile collegamento con il prigioniero scomparso. E ora? Il presente cosa prospetta? Il gioco del tempo che ora non c’è più, «perché la fine non ha tempo. Come Dio. E Dio perdona».

 

Antonietta Zaccaro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 24, agosto 2009)

 

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