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Anno I, n° 2 - Ottobre 2007
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Comunicazione e Sociologia (a cura di Pierpaolo Buzza) . Anno I, n° 2 - Ottobre 2007

Zoom immagine Un caso di Unione Europea
degli anni Trenta. Da Briand
a Mussolini. Tra incoerenze,
antitesi profonde e illusioni

di Alessandra Morelli
La contro-proposta fascista al progetto
di cooperazione intereuropea francese


Gli anni tra le due guerre mondiali furono attraversati da antitesi profonde che, alimentando sempre più quella logica dualistica che poneva da una parte gli stati vincitori e dall’altra gli stati vinti, accresceva gradualmente la tensione diplomatica tra le nazioni europee. Elementi quali il tracollo finanziario dovuto alla crisi economica del 1929, gli accesi nazionalismi, la nascita di nuovi regimi autoritari ispirati ad ideologie tutt’altro che democratiche, avrebbero condotto l’Europa verso «l’epilogo drammatico del settembre 1939». In questo quadro, che sembra non lasciare spazio ad un progetto di unificazione e di pace, si colloca invece la proposta dell’illustre statista francese Aristide Briand – racchiusa nel Mémorandum sur l’organisation d’un régime d’Union fèdérale europeénne del 1930 – di istituire un’Unione europea, una nuova frontiera morale europea. Il progetto, destinato a fallire per via delle contingenze estreme degli anni Trenta, mirava a coinvolgere tutti gli stati europei e trovava nell’Italia fascista un interlocutore molto particolare. Quest’ultima infatti, non solo lavorava al sabotaggio delle trattative in gioco, ma giunse ad ideare delle proposte concorrenziali a quelle del memorandum Briand: elaborò una sorta di progetto antieuropeo, una visione dell’Europa ispirata ai valori del fascismo italiano.

Le due iniziative vengono argomentate da Simona Giustibelli – studiosa di Storia moderna e contemporanea che si è specializzata all’Ecole des Hautes Etudees en Sciences sociales di Parigi – nel suo testo Europa, Paneuropa, Antieuropa. Il dialogo tra Francia democratica e Italia fascista nell’epoca del memorandum Briand (1929-1934). (Rubbettino, 12,00, pp. 158).

 

Il “Piano Briand”.

In un clima in cui la crisi del sistema europeo degli stati nazionali sovrani si andava aggravando, soprattutto dinanzi alla crescita di nuove potenze mondiali come gli Usa e l’Unione Sovietica, l’idea dell’unità europea sembrava la risposta ad un problema politico tangibile e reale.

Proprio il 9 settembre del 1929 Briand, il pellegrino della pace, presenta ai ventisette stati europei membri della Società delle nazioni (Sdn) la sua iniziativa europea, a cui il 17 maggio 1930 avrebbe fatto seguito un vero e proprio programma di lavoro che l’avrebbe descritta e articolata nelle sue caratteristiche più specifiche, e in merito al quale il ministro francese avrebbe dovuto ricevere risposta da tutti gli interlocutori interpellati il 15 luglio dello stesso anno.

Il memorandum, passato alla storia anche come “Piano Briand”, si poneva l’obiettivo di creare un «vincolo di cooperazione europea tale da garantire la pace e favorire il progresso economico del continente» attraverso l’uso di mezzi concreti, politici e istituzionali, quali una Conferenza europea, un Comitato politico, un Segretariato.

Si sottolineava, inoltre, che il coordinamento generale dell’Europa dovesse essere perseguito di volta in volta in piena collaborazione con tutti gli stati o raggruppamenti di stati interessati al mantenimento della pace mondiale; lo scopo era quello di «favorire un primo contatto di natura pratica, un inizio di collaborazione effettiva, solidale e costante tra i governi europei».

All’interno del testo si individuano tre proposizioni culturali e politiche fondamentali: la responsabilità collettiva ovvero il principio dell’unione morale europea, difatti l’invito ad entrare a far parte della futura comunità continentale era esteso anche a quei paesi che si chiamavano fuori dal punto di vista morale (ad esempio l’Italia fascista); la percezione geografica dell’unità europea, infine la sicurezza o meglio la subordinazione del problema economico a quello politico.

Le risposte dei governi interpellati furono più o meno unanimi: pur riconoscendo il declino cui l’Europa andava incontro, e quindi l’esigenza di nuovi valori, nessuno avrebbe messo in discussione la centralità dello stato e l’intangibilità della sovranità nazionale.

 

L’Antieuropa fascista.

Come già accennato, la posizione dell’Italia riguardo al progetto paneuropeo fu abbastanza sui generis. La questione venne affidata al ministro degli Esteri Dino Grandi il quale, pur privilegiando una linea diplomatica e societaria ma convinto che il “Piano Briand” fosse «un subdolo espediente d’oltralpe per conservare lo status quo continentale», il 4 luglio 1930 rispose tramite il Contro-progetto italiano di Unione europea. Da una parte si escludeva ogni idea di Unione europea che potesse abbattere le sovranità nazionali ma, dall’altra parte, ci si dichiarava propensi a collaborare, in vista di un ordine e di una pace continentale, all’attuazione di un regime di unione federale tra gli stati europei.

Si ponevano però alcune condizioni irrinunciabili per l’Italia come la revisione dei trattati in modo da garantire un’effettiva uguaglianza tra stati vinti e vincitori; si rifiutava il principio in base al quale solo i membri della Sdn avrebbero dovuto prendere parte al progetto europeo (secondo l’Italia anche Turchia e Unione Sovietica avrebbero dovuto avere un loro ruolo nell’iniziativa); estendere la solidarietà continentale a livello mondiale in modo da evitare la formazione di stati contrapposti e ledere all’unità organica dell’istituto di Ginevra (la Sdn).

Grandi, usando un linguaggio pacifista e societario, venne accusato di poca coerenza ideologica col fascismo (nel 1932 fu allontanato dalla sua carica) però attirò il favore di quei paesi ostili alla Paneuropa. Ma, non è nel linguaggio e nella visione peculiarmente europea del ministro degli Esteri che dobbiamo ricercare la vera espressione europea del fascismo quanto nella propaganda mediatica avviata dal regime in difesa dell’Antieuropa.

Era tramite le due riviste di punta del momento Antieuropa e Politica che si diffondevano i concetti di ordine, giustizia, autorità e antieuropa attraverso i quali si respingeva il progetto di Briand e se ne negava il contenuto democratico.

Il fascismo, nato contro l’Europa attuale ossia democratica, societaria e comunista nonché ispirato ai valori della Roma antica, aveva una missione antieuropea: l’Italia doveva distaccarsi dall’Europa sociale e politica e, dopo aver salvato se stessa, salvare anche la civiltà europea spirituale nella sua essenza più pura e semplice ovvero quella romana, inseparabile dal destino italiano.

Quindi l’eredità della Città Eterna faceva dell’Italia la guida ideale della nuova Europa.

 

Il Convegno Volta.

Tale visione venne ripresa e approfondita durante il Convegno Volta. Tra il 14 e il 20 novembre 1932 si tenne a Roma (in concomitanza col decennale della rivoluzione fascista) un congresso scientifico internazionale sull’Europa che fu promosso, con l’aiuto della Fondazione Volta che aveva il compito di promuovere annualmente riunioni di scienziati e studiosi per trattare argomenti scientifici, letterari e artistici, dalla Reale accademia d’Italia, il più prestigioso istituto di cultura italiana.

L’obiettivo era quello di inserire il fascismo all’interno della riflessione sull’unità europea come alternativa radicale alla visione democratica e anche quello di avviare «una pomposa macchina propagandistica inneggiante al mito della romanità».

«Se riuscirà al Convegno di Roma di additare con romana saggezza vie nuove per fondare una nuova sintesi storica dell’Europa per creare un ordine europeo nuovo, che sostituisce alle lotte intestine devastatrici l’imperativo della solidarietà feconda; il Convegno avrà ben meritato delle civiltà del mondo». Con ciò, quanto recitato nell’Indirizzo col quale si spiegavano le motivazioni e i temi dell’iniziativa ai partecipanti (tutte personalità di estrazione politica quali diplomatici, statisti ecc.), si affermava il fondamento latino della civiltà europea e si impostava una misura romana alle nuove identità del continente.

In sostanza tutti i temi trattati (crisi economica, pace, guerra, minoranze nazionali, Sdn) affrontarono la questione europea più come concetto che non come progetto, demarcando tra le posizioni in campo da una parte la lezione federativa e pacifista dei francesi, dall’altra la visione fascista che vedeva nella rilettura del mito romano la via d’uscita dalla crisi europea.

Sebbene fu un momento culturale di rilevante importanza, il Convegno Volta chiuse i propri lavori lasciando aperta la discussione sugli Stati Uniti d’Europa, senza aver apportato elementi che spingessero verso una convergenza delle ideologie contrastanti né verso la realizzazione concreta del memorandum Briand. Quindi tutto rimase vago. Infine nel 1932 la morte del pellegrino della pace e nel 1933 l’ascesa di Hitler, che avrebbe condotto al secondo conflitto mondiale, misero a riposo le idee di pacificazione e unificazione tra le potenze europee che sarebbero state riprese alla fine degli anni ’40 e, giunte a maturazione, avrebbero spinto finalmente alla reale nascita della Comunità Europea.

 

Alessandra Morelli

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno I, n 2, ottobre 2007)

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