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Anno III, n. 22, Giugno 2009
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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno III, n. 22, Giugno 2009

Zoom immagine Giacomo Mancini,
il leone socialista,
il politico inquieto

di Andrea Vulpitta
Densa intervista di Matteo Cosenza,
in un volume edito dalla Rubbettino


Le persone ingombranti, in particolare i protagonisti della vita politica, lasciano dietro di loro, anche a distanza di anni dalla propria scomparsa, una scia e un alone di mistero e interesse che, specie nelle piccole comunità, si avvertono anche nelle produzioni letterarie. È il caso del testo che abbiamo letto a cura di Matteo Cosenza, Giacomo Mancini un socialista inquieto (Rubbettino pp. 194, € 10,00) che riprende, a distanza di dieci anni, una lunga intervista realizzata da Cosenza con l’aggiunta di un saggio che l’attuale direttore de il Quotidiano della Calabria ha realizzato sugli ultimi anni di vita del vecchio leone socialista.

L’autore, nel corso dell’intervista, mostra una dettagliata conoscenza dello scenario politico in cui si è mosso Giacomo Mancini, frutto probabilmente di una sua personale passione, che lo ha visto anche calcare le scene della politica in qualità di consigliere provinciale di Napoli e assessore all’urbanistica di Castellamare di Stabia, suo comune natio.

L’intervista è molto lunga, spazia nella varia e prolifica vita del leader socialista e possiamo affermare che, partendo dalla Calabria, viaggia verso Roma per tornare e concludersi in Calabria. Crediamo di non far torto all’autore se diciamo che la prima parte dell’intervista è quella che ci è piaciuta di più, perché racconta di una città, Cosenza, racchiusa nel suo odierno centro storico dove si avvertiva il peso della famiglia Mancini e il piccolo Giacomo iniziava a crescere a pane e politica; narra dell’Antifascismo, del rapporto con il comunista Fausto Gullo, degli studi a Torino e dell’impegno politico che sfocia nella conquista del seggio in Parlamento nel 1948.

 

La politica socialista e l’esperienza di governo

L’autore si addentra poi nei meandri della storia politica di quegli anni e in particolar modo in quella del partito socialista, chiarendo rapporti personali, politici e di strategia, errori e vittorie che si rifanno all’epoca delle correnti all’interno del partito. Ci tiene a precisare Mancini come, per la sua formazione personale e politica, esista una differenza tra stima e convergenza politica e lo fa quando ricorda, ad esempio, che la stima nei confronti di Pietro Nenni, da parte del padre Pietro, fosse cosa separata dalle critiche alla sua linea politica.

La prima esperienza di Giacomo Mancini al governo, in qualità di Ministro della Sanità, dura solo sei mesi, ma come ricorda lui stesso passò alla storia per aver introdotto la vaccinazione antipolio e ottenuto, con grandi attacchi da parte dell’industria farmaceutica, la riduzione del prezzo dei farmaci. Ormai Mancini ha un peso importante all’interno del partito così pochi mesi dopo, il 22 luglio del 1964, il governo presieduto da Aldo Moro gli conferisce l’incarico di ministro dei lavori pubblici, incarico che ricorda con orgoglio, in particolare, ma non solo, per aver, contro tutti e tutto, voluto e realizzato in tempi ridotti l’importante autostrada Salerno-Reggio Calabria. Certo fa sorridere leggere di un’epoca non poi lontanissima, con le tecnologie del tempo, in cui la realizzazione da parte dell’Iri (Istituto per la ricostruzione industriale), a capitale interamente pubblico, di un’opera così complessa, potesse avvenire rapidamente senza lotti, appalti, spezzettamenti e tempi biblici di realizzazione come sta avvenendo per l’ammodernamento dei nostri giorni con la sola costruzione della corsia d’emergenza.

 

Mancini segretario socialista

L’autore, successivamente, si sofferma sul breve ma intenso periodo in cui Mancini resse le sorti del partito socialista in qualità di segretario e vengono ricordati i fatti salienti di quel periodo (1970-1972) caratterizzati in Italia dalla stagione delle bombe e dalla strategia della tensione e, in Calabria, dalla rivolta di Reggio Calabria e dalla fallimentare, ma difesa sul piano ideale, esperienza della decisione di costruire nella piana di Gioia Tauro il quinto centro siderurgico. Colpisce in questa parte del testo il modo in cui il protagonista spiega all’intervistatore come nella fluidità della politica il cambiare idea e non rimanere attaccati a tesi e proposte ad oltranza sia una caratteristica della politica fatta negli interessi della collettività e anche verso equilibri e vantaggi del partito di appartenenza.

 

Bettino Craxi e il nuovo Psi

Non poteva mancare una lunga parte dell’intervista incentrata sul rapporto con Bettino Craxi che, seppur con venti anni di differenza, proviene dallo stesso gruppo e, infatti, ne vengono ricordate le frequentazioni presso casa Mancini e il rapporto con i figli. Un affetto e una crescita che, viene sottolineato, appartengono ad un dato momento storico e non possono essere cancellate dalle future divergenze di natura squisitamente politica dovute ad una trasformazione non solo del partito e delle sue classi di riferimento, ma anche dal mutamento della società con l’avvento di una certa politica spettacolo, quella dei grandi e fastosi congressi.

 

Il garantismo, la magistratura e le domande impossibili

Il discorso scende poi sulla strada dell’esperienza garantista della distinzione tra terrorismo rosso e nero e delle ultime esperienze che lo hanno visto al fianco di Franco Piperno e in prima fila al processo in cui fu imputato (imputazione poi archiviata dalla camera dei deputati) di essere l’anello di congiunzione tra terrorismo e ’ndrangheta.

Il testo termina riproponendo la presentazione all’edizione del 1988 a cura di Alfonso Madeo e con la prefazione di Matteo Cosenza, sempre al testo del 1998.

Si avverte, alla fine della lettura, la mancanza di alcune risposte a domande che, siamo certi, Cosenza oggi avrebbe posto al vecchio leone socialista: sulla scelta, con il senno di poi, di chi lo ha seguito come Sindaco di Cosenza, Eva Catizone, una donna con «la stoffa del Sindaco», da lui fortemente voluta, altra domanda ineludibile sull’attuale stato della città, visibilmente indietreggiata rispetto alla sua gestione e infine se lui, che mai avrebbe «abbandonato il suo partito», avesse seguito o avallato la scelta del nipote oggi passato con la destra italiana.

 

Andrea Vulpitta

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 22, giugno 2009)

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