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A. XVIII, n. 199, aprile 2024
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Dibattiti ed eventi (a cura di Natalia Bloise)

L’alto significato morale
del mandato di arresto
spiccato contro Bashir,
ma privo di risvolti reali

di Mariangela Monaco
La decisione della Corte penale internazionale rischia solo di avere effetti
controproducenti sul difficile processo di pace (?) in Darfur. Ecco perché


La Corte penale internazionale ha spiccato un mandato di arresto per il presidente del Sudan Omar Al Bashir, per crimini contro l’umanità e crimini di guerra, per i massacri commessi in Darfur. Le imputazioni, ex art. 7 e 8 dello Statuto della Corte, sebbene manchi quella di genocidio (art. 6) per insufficienza di prove, sono gravissime (per il testo, clicca qui).

Il presidente ha reagito accusando la Corte, ma più in generale l’Occidente, di nuovo colonialismo, mentre Cina, Egitto e Yemen si sono affrettate a chiedere alle Nazioni Unite di sospendere l’arresto, la Russia l’ha definita una decisione inopportuna, la Lega araba e l’Unione africana hanno protestato.

Nuovo colonialismo anche perché, in questo caso, la Corte, il cui Statuto è entrato in vigore nel 2002 alla ratifica del sessantesimo stato (attualmente le ratifiche sono 104 su 192 paesi membri Onu), dopo la firma a Roma nel luglio del 1998, ha agito su deferimento del Consiglio di sicurezza, e non di sua iniziativa, visto che il Sudan non è una nazione che la riconosce.

In realtà, il mandato d’arresto ha certamente un forte valore morale, teoricamente anche giuridico, ma, dal punto di vista pratico, nullo. Bashir, per essere consegnato al Tribunale de L’Aja, dovrebbe essere arrestato dalle proprie guardie. All’estero, il discorso è analogo. Lo Statuto stabilisce che se il Capo di stato incriminato rappresenta un paese che lo ha ratificato, se commette uno dei crimini per cui è competente la Corte, allora può essere trascinato davanti al tribunale perché perde le immunità di cui gode. E quindi, se va in Francia, le autorità francesi lo possono arrestare. Ciò non accade, però, come nel caso del presidente sudanese, se rappresenta un paese che non ha ratificato lo Statuto.

C’è un modo per ovviare a questo, nel caso in cui sia stato, come è accaduto per Bashir, il Consiglio di sicurezza a deferire un organo di uno Stato alla Corte: il Consiglio stesso può obbligare i paesi membri dell’Onu a togliere all’incriminato le immunità. Ma per il Darfur non è stato fatto questo, e il Consiglio si è limitato solamente ad imporre un mero obbligo di cooperazione con la Corte.

Pertanto, a ragione si tratta, come ha ben evidenziato Antonio Cassese, presidente della Commissione Onu sul Darfur, sulle pagine de la Repubblica, di «giustizia impossibile».Fermo restando l’alto valore morale di condanna delle azioni criminose commesse da questo individuo (e da chi per lui), sembra che la Corte abbia agito in maniera quantomeno inopportuna. Intanto, il procuratore Luis Moreno-Ocampo aveva già da diversi mesi sbandierato ai quattro venti che la Corte si stava muovendo, che avrebbe incriminato Bashir eccetera (mettendone in dubbio, agli occhi di alcuni stati musulmani, l’imparzialità). Una mediatizzazione inutile ed evidentemente controproducente, che ha alimentato la tesi, ovviamente falsa, fomentata dallo stesso Bashir di complotto occidentale et similia. E sorprende, come nota Ludovica Poli nel suo Ispi Policy Brief sull’argomento, che la richiesta di mandato d’arresto non sia stata sottoposta a segreto istruttorio: infatti tale modalità, di solito, aumenta le probabilità di arresto dell’imputato, che, ignaro del mandato, si reca anche in paesi che collaborano con la Corte (come è accaduto, per esempio, Jean-Pierre Bemba Gombo, ex-vicepresidente del Congo, arrestato in Belgio).

Poi, questo mandato di arresto, oltre, inevitabilmente, ad inasprire i rapporti, già difficili, del Sudan con i paesi occidentali, sicuramente avrà ripercussioni negative sul già complicatissimo processo di pace (sempre se c’è un processo di pace, il che è in forte dubbio – per questo motivo abbiamo messo quell’interrogativo nel sottotitolo) in Darfur, per una guerra che ha già provocato migliaia di vittime (300.000 secondo l’Onu) e oltre due milioni di profughi. E, infatti, come prima reazione Bashir ha espulso alcune organizzazioni umanitarie, tra cui “Medici senza frontiere”, “Save the Children” ed “International Rescue Committee”, e ha intimato a tutte alle varie Ong e ai Caschi blu di rispettare la legge sudanese.

Forse, come suggerisce Cassese, sarebbe stato meglio porre in essere un mandato di comparizione, cosicché Bashir si sarebbe potuto presentare a L’Aja a spiegare le sue (pseudo) ragioni, esercitando su di lui una forma di pressione ben diversa, meno esposta, e sicuramente, perlomeno in teoria, più efficace

Il problema è che la Corte penale internazionale deve necessariamente ragionare anche in termini di opportunità politica, soprattutto perché non è riconosciuta (cioè il suo Statuto non è stato ratificato) da tutti gli stati esistenti. E questo per cercare di perseguire al meglio l’obiettivo di porre fine ai crimini che persegue se questi sono ancora in atto, che è, dovendo per forza di cose fare una stupida e pragmatica scala gerarchica, obiettivo più importante, nell’immediato, di catturare i responsabili di tali crimini. Insomma, si deve ragionare in termini di efficacia. Se anche il presidente dell’Assemblea generale dell’Onu, Miguel d’Escoto Brockmann, ha definito il mandato una decisione motivata più da ragioni politiche (il Sudan è uno stato musulmano, sostenuto, tra gli altri, da Iran e Siria) che dalla causa della giustizia, qualcosa vorrà dire!

In effetti, è già di per sé un sogno creare quell’ordine cosmopolitico tanto vagheggiato dai filosofi (e di cui Immanuel Kant, con la sua Per la pace perpetua, e, sulla sua scia, Jürgen Habermas ne sono l’esempio più noto), ma nell’epoca del capitalismo sfrenato e globalizzato si tratta di una vera e propria utopia, molto più di quanto non lo fosse in tempi precedenti. Del resto, per quale motivo nessuno si sogna di incriminare la Cina per i crimini e il genocidio in Tibet tuttora in corso?

 

Luigi Grisolia

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 20, aprile 2009)

Collaboratori di redazione:
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