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Anno I, n° 2 - Ottobre 2007
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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno I, n° 2 - Ottobre 2007

Zoom immagine Nello Rosselli: divenuto un eroe
venne poi dimenticato nell’ombra

di Daniela Graziotti
La vita e gli studi del meno politicizzato dei due fratelli. L’incontro
con Salvemini e le sue ricerche in un testo pubblicato da Rubbettino


L’antifascismo italiano è da sempre legato al nome dei fratelli Rosselli, Carlo e Nello. Quest’ultimo, all’anagrafe Sabatino, a sessant’anni dalla sua uccisione continua tuttavia a restare nell’ombra, pur essendo stato vittima come il fratello dello stesso assassinio. Più che un politico impegnato, Nello fu, infatti, soprattutto uno storico. Alessandro Levi, che li conosceva bene, ne ha delineato il carattere: Carlo sarebbe stato «maggiormente dedito all’azione», mentre Nello, «di natura più mite, era incline allo studio». Riporta ora queste parole un nuovo testo di Giovanni Belardelli, docente di Storia del pensiero politico contemporaneo, dal titolo Nello Rosselli (Rubbettino, pp. 218, € 15,00). In precedenza lo stesso studioso si era occupato già del ruolo scomodo degli intellettuali durante e subito dopo il periodo di dittatura fascista con due altri testi: Il Ventennio degli intellettuali (Laterza), di cui è autore, e Lettere dall’Italia perduta 1944-1945 di Gioacchino Volpe (Sellerio), di cui è curatore.

 

La tesi del fascismo contraddittorio: tolleranza e repressione?

Belardelli usa il genere biografico per affermare una propria tesi sul fascismo. Basandosi in particolare sulla constatazione della libertà di movimento di cui evidentemente Nello Rosselli godette nel periodo in cui sul fratello pesavano forti accuse di cospirazione antifascista, Belardelli afferma che il regime di Mussolini fu contraddittorio perché, da una parte, fu moderato, permettendo a Rosselli di andare all’estero pur sapendo degli incontri col fratello Carlo, che era un fuoriuscito politico; dall’altra, fu repressivo, come dimostrerebbe chiaramente l’assassinio dei due fratelli.

Al lettore curioso di notizie strettamente biografiche è dedicato poi il capitolo su La giovinezza in cui si descrive l’ambiente e la conseguente formazione del protagonista. Gli amici e parenti che frequentavano casa Rosselli erano di quelli che contano: Giulio Zabban, uomo di vasta cultura, e la moglie Giorgina («zio Giù» e «zia Gì»), il già citato Levi, socialista, lo storico Guglielmo Ferrero e la moglie Gina Lombroso, lo zio (fratello della madre) Gabriele Pincherle, presidente di sezione del Consiglio di stato e dal 1913 senatore del Regno, di orientamento liberale. L’ambiente di casa era per lo più improntato a un nazionalismo di stampo risorgimentale. Allo scoppio della guerra furono tra l’altro interventisti, spinti molto probabilmente da un diffuso sentimento antiaustriaco. E il terzo fratello “intervenne” per davvero, partecipando alla guerra, e in guerra trovò la morte, nel 1916.

 

I fallimenti editoriali: la collana e la rivista

Anno importante è il 1924. Appena laureatosi, Nello Rosselli pubblicò un primo saggio (che è sostanzialmente un riassunto della sua tesi), sulla Nuova rivista storica, e comincia a collaborare con la Società editrice “La Voce” (con sede a Firenze), impegnandosi nel progetto di una collana, Dibattiti, piuttosto originale: ogni volume avrebbe dovuto contenere infatti tre scritti che rappresentassero altrettanti punti di vista sui problemi aperti della vita politica. Nello, scrivendo una lettera ad Adriano Tilgher, ebbe a spiegare a tal proposito: «Considereremo riuscito quel volume che varrà a dare al profano un’idea del punto di chiarificazione cui un determinato problema è giunto». Il progetto della collana, ricostruibile attraverso alcune lettere tra Nello e il repubblicano Oliviero Zuccarini, non si realizzò. Più tardi la casa editrice assunse addirittura un orientamento nettamente filofascista, tanto da suscitare un amaro commento di Rosselli che riteniamo sia valido per ogni tempo: «Passano gli uomini disinvoltamente da un partito all’altro; passano i giornali, passano anche le Case editrici». Altro fallimento editoriale fu successivamente il progetto della Rivista di storia europea, il quale, nelle intenzioni, portava in sé motivi già presenti nei precedenti volumi su Mazzini e Pisacane. L’idea iniziale, che puntava su una rivista antiaccademica, non si realizzò anche a causa delle piccole miserie che da sempre attraversano proprio il mondo accademico.

 

L’importanza dei maestri: Gaetano Salvemini

Particolarmente importante per Nello fu però l’incontro con Gaetano Salvemini. Ma il rapporto fu positivo per entrambi. Salvemini, ricordando gli anni in cui furono a più stretto contatto, quelli cioè dal 1919 al 1925, disse di Ernesto Rossi e dei due fratelli Rosselli: «Quei tre giovani […] furono la mia nuova gioventù. Mi infondevano fede e coraggio nelle ore di sconforto, e io davo loro quel tanto di esperienza che avevo raccolto negli studi e nella vita».

Il primo libro di Rosselli fu pubblicato dall’editore Bocca di Torino nel 1927. Affrontava il tema delle origini del movimento operaio in Italia e il confronto acceso tra le posizioni, fortemente contrastanti, di Michail Bakunin e Giuseppe Mazzini. Quest’ultimo, attraverso Sara Nathan, sua grande amica, aveva tra l’altro conosciuto la famiglia Rosselli a metà dell’Ottocento, legandosi ad essa in un rapporto molto stretto, tant’è che proprio in casa Rosselli (precisamente di Pellegrino) morì nel 1872. Il tema del libro era lo stesso della tesi di laurea, aggiornata da alcune ulteriori ricerche. Infatti, Nello aveva potuto compiere, nel periodo successivo alla stesura della tesi, importanti approfondimenti recandosi a Berlino: aveva così potuto consultare la biografia di Bakunin scritta da Max Nettlau, i verbali del Consiglio della Prima internazionale dei lavoratori, nonché il carteggio fra Engels e i corrispondenti italiani. L’interesse per gli ultimi anni della vita di Mazzini era stato forse influenzato da una critica che Salvemini aveva rivolto a se stesso nella prefazione del 1925 alla quarta edizione de Il pensiero religioso politico sociale di Giuseppe Mazzini, opera pubblicata per la prima volta nel 1905: Salvemini si era autoimputato di aver considerato il genovese come «immobile nel suo pensiero definitivo». L’invito a occuparsi di Mazzini e Bakunin era partito, nella primavera del 1920, secondo una sua testimonianza proprio dall’intellettuale pugliese: «Progettava di dedicarsi alla storia e mi domandava i miei consigli […] “C’è un argomento,  gli dissi su due piedi, che sembra fatto proprio per te: l’ultimo periodo della vita di Mazzini dal 1860 al 1872 quando egli morì a Pisa ospite di un tuo prozio […] La lotta fra Mazzini e Bakunin. Argomento bellissimo, quasi intatto. Ecco la tua tesi di laurea”».

 

Marx, l’anti-Mazzini: il problema della concretezza

Rosselli aveva analizzato pertanto gli scritti di Mazzini confrontandoli con quell’evento importante della storia sociale italiana che fu la nascita del movimento operaio, mettendo in evidenza conseguentemente i limiti della teoria sociale mazziniana. Scriveva: «Se proprio si guarda alla sostanza delle cose […] bisogna riconoscere che, dall’unificazione politica in poi, Mazzini fu un elemento di conservazione assai più che di vero rinnovamento. Parla di rivoluzione, caccia questa parola in tutti i suoi scritti, ma non pensa a organizzarla sul serio». L’arrivo di Bakunin in Italia segnò allora, secondo Rosselli, una ventata d’aria fresca per quegli stessi mazziniani che vivevano con disagio gli aspetti forse più retrivi della dottrina religiosa del maestro italiano. Grande era tuttavia l’ammirazione di Rosselli verso Mazzini, al quale rimproverava certo poca concretezza, che, d’altra parte, riconosceva invece ai teorici comunisti: «Rovesciamo Mazzini […] e si avrà qualcosa di molto simile a Marx: freddo, preciso, logicamente impeccabile, concreto». Tuttavia, in una precedente discussione con Rodolfo Mondolfo, Rosselli aveva sostenuto la propria personale concezione che si basava sulla necessità di avere «un po’ più di fede e un po’ meno di scienza», memore forse della vecchia lezione del fondatore della Giovine Italia.

Tante furono le critiche positive che il mondo degli intellettuali rivolse al libro di Rosselli. In particolare Mondolfo, in qualità di recensore, invitò l’autore a ricostruire il periodo che aveva preceduto la nascita del movimento operaio, ossia il «formicolare di idee socialiste in Italia tra il 1815 e il 1860». Rosselli aveva però preceduto tale invito avendo già iniziato a studiare la figura di Carlo Pisacane. Nel settembre del 1932 pubblicò dunque il libro Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano. Rosselli coglieva il disaccordo teorico tra Mazzini e Pisacane: quest’ultimo aveva mantenuto un giudizio critico verso la tattica mazziniana dell’«azione ad ogni costo», che in qualche modo, e paradossalmente, egli stesso seguì forse con la sventurata spedizione di Sapri. L’analisi teorica di Pisacane era però di grande modernità, a giudizio di Rosselli: legare la soluzione del problema nazionale italiano all’attuazione di una rivoluzione sociale, «grande idea-forza capace di scuoter le fibre delle masse proletarie».

 

Un eroe poco eroico: i rimproveri del fratello

Il capitolo su Ustica, Ponza, Londra, oltre a raccontarci della sua vita costretta in soggiorno forzato, ci mostra un Rosselli non a suo agio sotto le pressanti richieste del fratello e di alcuni amici (o compagni di lotta) che avrebbero voluto da parte sua un maggiore impegno politico. I panni in cui si trovava meglio furono senz’altro, ripete spesso Belardelli, quelli di storico. A Londra, dove era giunto per lavorare alla ricerca assegnatagli dalla Scuola di storia moderna e contemporanea, diretta da Gioacchino Volpe, non sembra che siano stati tanti i rapporti che volle stringere in vista di un’azione antifascista. Una curiosità: tra gli incontri in terra inglese ci fu quello con il cugino Alberto Moravia, che si era già affermato in quegli anni come scrittore di successo per aver pubblicato il romanzo Gli indifferenti.

Una piccola nota finale. Parlando del fallito progetto della collana editoriale, si fanno i nomi dei vari possibili collaboratori: tra quelli, tutti famosi o quasi, di Gaetano Salvemini, Agostino Gemelli, Lionello Venturi, Giorgio Pasquali e Federico Enriquez, compare un certo Curzio Suckert. Una pagina dopo, vengono citate le parole di Rosselli con cui prendeva di mira, nella sua critica agli intellettuali filofascisti, la «monumentale collezione di Problemi del Fascismo» associata al nome di Suckert. Ebbene, riteniamo che l’autore o i redattori avrebbero dovuto, magari anche solo in una noticina, avvertire il lettore distratto che quel Curzio Suckert altri non è che il celebre scrittore Curzio Malaparte, di cui un’altra grande icona dell’antifascismo (al pari dei fratelli Rosselli), ossia Piero Gobetti,  aveva già tessuto le lodi su La rivoluzione liberale.

 

Bonaventura Scalercio

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno I, n. 2, ottobre 2007)
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