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Anno III, n° 18, Febbraio 2009
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Biografie (a cura di Luisa Grieco e Mariangela Rotili) . Anno III, n° 18, Febbraio 2009

Zoom immagine Vita di Carlo Bianco:
spirito rivoluzionario
eroe fedele a Mazzini
spesso dimenticato

di Roberta Santoro
Carocci edita un intrigante volume:
nuove e valide teorie storiografiche
concernenti il Risorgimento in Italia


Quello che – lato sensu – possiamo definire Risorgimento, lungi dall’essere stato un movimento monolitico, come spesso una certa agiografia successiva vorrebbe farlo passare, fu in realtà ricchissimo di personalità e di “correnti” politiche spesso in netta antitesi tra loro. Una lettura un po’ stantia e scolastica spesso ha limitato a poche figure (Garibaldi e Mazzini su tutte) un periodo storico che in realtà fu più travagliato e complesso di come viene presentato e, ci si passi il termine, edulcorato. Insieme a personalità che, con i metri di giudizio della politica successiva potremmo definire liberaldemocratiche, vi furono veri e propri rivoluzionari: tra quest’ultimi non possiamo non citare due figure quali Filippo Buonarroti e Carlo Bianco. Mentre del primo «cospiratore di mestiere», come lo definì Montanelli, molto è stato scritto vista la sua partecipazione a quel celebre episodio della Rivoluzione francese passato alla storia come la Congiura degli eguali di François-Noël Babeuf, del secondo invece si sa poco o nulla. Il libro che oggi vi presentiamo “Terrorista per sistema, non per cuore”. Vita e pensiero di Carlo Bianco (Carocci, pp. 102, € 10,80), di Giuseppe Rizzo Schettino, laureato in Storia moderna alla Statale di Milano, aiuta a far luce sulla sua biografia e sulle sue idee, con particolare riferimento alle fasi della sua vita nel quale fu strettamente legato all’attività di Mazzini.

Angelo Francesco Chiaffredo Paolo Giovanni Bianco, secondo conte di Saint Jorioz, nasce a Torino il 10 aprile 1795, viene battezzato con questa sfilza di nomi ma sarà sempre chiamato Carlo. L’appartenenza della sua famiglia alla nobiltà di toga venne sancita l’11 febbraio 1791 quando Vittorio Amedeo III investì il padre di Bianco, Giovanni Battista, col titolo di conte del feudo di Saint Jorioz, situato nella regione della Savoia.

Uno degli intenti dell’agile volume è quello di dimostrare come Mazzini impedì che la linea politica della Giovine Italia si spostasse a sinistra, così da non precludersi l’appoggio della borghesia italiana. Infatti, come ben riassume l’autore: «Il ligure non volle essere confuso con chi era pronto a piantare alberi della libertà o, peggio, innalzare ghigliottine sulla pubblica piazza contro i nemici della rivoluzione nazionale».

 

La Giovine Italia

L’attività sovversiva costrinse Mazzini a rifugiarsi a Marsiglia, dove, nel 1831, organizzò un nuovo movimento politico chiamato Giovine Italia. Lo scopo dell’associazione era l’unione degli stati italiani in un’unica repubblica, visto come unico modo per liberare l’Italia dall’invasione degli stranieri. Per raggiungere questo obiettivo era necessario dar vita a un’insurrezione popolare.

La liberazione non si poteva auspicare con la partecipazione di pochi, ma solo grazie all’intervento delle masse. Rinunciando a ogni apporto esterno.

Il ligure fece entrare Bianco nella Giovine Italia innanzitutto per l’amicizia che univa i due, ma vi erano anche altri motivi che contribuirono al suo inserimento.

Bianco era un uomo dall’incorruttibile credo politico, saldamente democratico. Altro fattore determinante fu il fatto che il torinese godeva di un’esperienza rivoluzionaria e cospirativa decennale al servizio della patria. Egli era stato colui il quale ad Alessandria aveva scatenato il moto piemontese del 1821, grazie al suo blitz militare, che nel 1822-23 aveva guidato i “Lanceri Italiani” durante la lotta per la difesa della libertà costituzionale.

Principalmente però, Mazzini guardava Bianco come a colui che fu l’artefice del libro Guerra nazionale d’insurrezione per bande applicata all’Italia, molto amato dal ligure.

 

I timori di Mazzini

L’intenzione di Bianco, all’interno del movimento, era quella di portare gli Apofasimeni a essere una costola con “tendenze buonarrotiste” inserita nella Giovine Italia.

Alla ferma intenzione, da parte del torinese, di imporre un’impronta terroristica al Manuale pratico del rivoluzionario italiano, Mazzini si oppose fortemente. Egli non voleva che il suo movimento diventasse divulgatore di un manuale con tendenze terroristiche essendo inoltre uno scritto pratico di rivoluzione, rafforzato per di più da richiami all’ideologia giacobina, quali l’uso della violenza nei confronti degli avversari del rinnovamento e la teorizzazione della dittatura rivoluzionaria.

La paura maggiore di Mazzini era quella di irritare e intimorire la borghesia italiana. Fu così che reclamò per sé il diritto di redigere il manuale. E infatti sotto il controllo dal ligure l’opera acquisì un carattere prettamente teorico.

 

Mazzini e Buonarroti

Buonarroti aveva ben chiaro il fatto che la diffusione e la promozione di principi come l’uguaglianza e l’amore per la patria non potevano aver luogo senza una sostanziale rigenerazione umana. Egli aveva conosciuto, a Parigi, Robespierre e con lui aveva scorto i primi segnali della guerra fra i ricchi e i poveri e i primi contrasti sociali.

«Buonarroti era del parere che nei mali estremi si dovessero adoperare estremi rimedi e che il possibile caso di abusarne non era motivo sufficiente per mettere da parte codesti rimedi, allorché, a suo dire, era noto che soltanto per essi poteva la tirannide essere radicalmente disfatta». Queste idee Buonarroti le espresse in un suo articolo che inviò a Mazzini dal titolo Del governo d’un popolo in rivolta per conseguire la libertà. Il giacobino voleva ricordare la necessità di un’azione terroristica nel corso della rivoluzione della patria, onde evitare una controrivoluzione.

«Ad un passo dal tenere in pugno il tricolore in nome degli italiani Mazzini non voleva che le idee professate da Buonarroti glielo sottraessero ammantandolo di rosso». La sua risposta e la sua posizione furono prontamente chiarite. Egli censurò le ideologie dei due maggiori rappresentanti italiani di La queue de Robespierre. Soprattutto perché, avvicinandosi il momento dell’azione per il suo movimento, non voleva che questa si sottraesse al suo controllo.

Insomma, quello tra Mazzini e Bianco fu un rapporto dialettico sempre in tensione, nel quale il primo – futuro padre nobile della patria – sembra dover “strigliare” di continuo un animo libero e “barricadero” quale quello di Bianco, vero e proprio teorizzatore della guerriglia. Ben vengano, perciò, contributi come questo di Giuseppe Rizzo Schettino che servono a far luce su aspetti troppo spesso misconosciuti della nostra storia nazionale.

 

Roberta Santoro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 18, febbraio 2009)

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