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Anno III, n° 18, Febbraio 2009
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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno III, n° 18, Febbraio 2009

Zoom immagine La nostra Costituzione
analizzata e commentata

di Mariangela Monaco
Rubbettino, in collaborazione con Rai-Eri, edita
un volume per conoscere le norme fondamentali


Il 1948 è una data fondamentale della storia italiana per diversi motivi. Il più importante è certamente l’entrata in vigore, il 1° gennaio, della Costituzione, di cui si sono, appunto, festeggiati recentemente i 60 anni. Nata dalla catastrofe del Ventennio fascista prima, e della Seconda guerra mondiale poi, e in molti aspetti frutto di un compromesso tra i democristiani e comunisti (con mediazioni liberali e socialiste), si tratta di una Carta che, già “moderna” all’epoca, conserva un impianto di estrema validità. Probabilmente andrebbe aggiornata in alcuni passi, soprattutto sull’organizzazione amministrativa dello stato, sebbene la riforma del 2001 del Titolo V abbia introdotto importanti novità, ma sicuramente non va stravolta, come taluni esponenti del mondo politico chiedono. E se alcuni di loro la tacciano di “vecchiaia”, basti pensare che la Costituzione degli Stati Uniti d’America sta lì dalla fine del Settecento, ed è stata emendata pochissime volte, tra l’altro in passi non fondamentali, e nessuno si sogna, in quella che è considerata la più grande democrazia esistente, di modificarla.

Anche allo scopo di permettere una maggior comprensione, oltre che conoscenza, della nostra Carta fondamentale, la Rubbettino, con Rai-Eri, ha dato alle stampe un interessante volume di Fabio Massimo Cestelli, La Costituzione per tutti e di tutti (Prefazione di Publio Fiori, pp. 208, € 12,00). Si tratta di un commentario: per ognuno dei 139 articoli, e per ciascuna delle 18 Disposizioni transitorie e finali, l’autore fornisce delle risposte alle domande e alle problematiche che quella specifica previsione pone, oltre che alla sua ragion d’essere.

 

Principio personalista e laicità dello stato

Alla luce delle polemiche più attuali (dai diritti delle coppie di fatto, al caso di Eluana Englaro, con il corollario della laicità) la nostra Carta offre una base normativa di partenza abbastanza chiara per il legislatore. Peccato che proprio su tematiche così delicate manchino le leggi, potremmo dire, seppur in modo improprio, “di attuazione”, ovviamente per il mancato accordo in sede politica.

Nell’art. 2 trova evidente espressione il principio personalista: «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo». Nota Cestelli: «riconosce non crea, tali diritti hanno dunque una radice preesistente alla Costituzione stessa e sono definiti inviolabili in quanto talmente importanti da essere sottratti a qualsiasi forma di eliminazione o compressione, finanche alla stessa revisione costituzionale». Di analoga importanza l’art. 3, che, evidenzia l’autore, è un vero e proprio inno al basilare principio di uguaglianza, sia in termini formali che sostanziali. Ciò significa che si tratta di un principio di valore etico, sociale e religioso, di ampia estensione. Nello stesso articolo è proclamato anche il principio della pari dignità sociale, «con una formula altamente innovativa che è stata recentemente rivalorizzata con l’identificazione in essa di un vero e proprio corollario dei principi di libertà ed eguaglianza, nella convinzione che nello Stato contemporaneo le libertà del singolo possano essere garantite e sviluppate solo in una dimensione collettiva, attraverso l’organizzazione sociale, politica ed economica del Paese».

Nell’art. 7 è sancita la netta scelta della laicità fatta dai Padri costituenti, laddove si specifica che chiesa e stato sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. Coerentemente, la successiva disposizione stabilisce l’eguaglianza di tutte le confessioni religiose davanti alla legge, e quindi la libertà di culto. In merito, nota l’autore, c’è una forte discontinuità con lo Statuto albertino, che prevedeva quella cattolica come unica religione di stato, mentre gli altri culti erano semplicemente “tollerati”.

 

Bicameralismo e presidente della Repubblica

Altro tema caldo – sebbene momentaneamente uscito dal dibattito politico – è quello delle riforme del sistema politico. Ci pare opportuno, dunque, nell’illustrare il testo in oggetto, ricordare cosa prevede la Costituzione in alcuni aspetti, suffragati dalle annotazioni di Cestelli.

Com’è noto, il nostro è un sistema bicamerale: tale apparato era già previsto nello Statuto albertino, nella convinzione che così si sarebbe meglio bilanciata l’autorità del re, mentre durante il periodo fascista fu completamente svuotato di significato con l’istituzione nel 1939 della Camera dei fasci e delle corporazioni. Per i Costituenti si trattò di decidere, dopo il referendum, tra Repubblica presidenziale e parlamentare: la scelta cadde sulla seconda, anche per sostanziale continuità storica, e per un maggiore bilanciamento dei poteri (non bisogna dimenticare l’esperienza della dittatura, che condizionò tutto il lavoro in Assemblea costituente). La critica che si fa è che si tratta di un sistema troppo farraginoso e che non c’è una rappresentanza delle Regioni.

Non è un caso che nella controversa proposta di riforma costituzionale, poi respinta dal referendum del 2006, la previsione di un Senato delle Regioni era fra le meno criticate da costituzionalisti e avversari politici. Non bisogna dimenticare però che per rimediare a tale problema – i testi approvati dalle due Camere devono essere identici, altrimenti, per la parte cambiata, si ritorna alla Camera precedente – ci sono gli istituti della legge-delega e del decreto-legge. E inoltre il bicameralismo italiano trova una giustificazione nel fatto che i provvedimenti, essendo letti almeno due volte, sono sottoposti ad una maggiore attenzione. Infine, la diversa età di eleggibilità passiva (25 anni per la Camera dei deputati e 40 per il Senato) e attiva (18 e 25) mira a soddisfare l’esigenza di non avere una semplice duplicazione di organi.

Tra i poteri del presidente della Repubblica, molto importante è quello di scioglimento anticipato delle Camere (art. 88), sottoposto a tre limiti: non può avvenire nel “semestre bianco”, cioè gli ultimi sei mesi di mandato, a meno che tale periodo non coincida con i sei mesi finali della legislatura; il presidente deve sentire il parere dei presidenti di Camera e Senato; l’atto di scioglimento, come tutti gli atti presidenziali, deve essere controfirmato. La controfirma (art. 89), nota Cestelli, «individua un momento di accertamento della costituzionalità dell’atto deliberato dal Governo e a sua volta il Governo, nel controfirmare gli atti presidenziali, ne verifica la legittimità costituzionale in una sorta di controllo reciproco che ne assicura l’equilibrio».

Fino alla riforma costituzionale del 1992, che ha modificato l’art. 79, il presidente della Repubblica, su delega delle Camere, aveva anche il potere di concedere l’amnistia e l’indulto; la previsione è stata eliminata per porre un freno all’abuso di ricorso ai provvedimenti di clemenza, come nota puntualmente l’autore.

Il Capo dello stato è anche presidente del Consiglio superiore della Magistratura: perché decisero così i Costituenti tra «le figure ritenute idonee a ricoprire tale incarico c’erano il Ministro della Giustizia e il Primo presidente della Corte di Cassazione [...] per varie ragioni. Innanzitutto si riteneva che la sua figura potesse conferire al Csm una forte dignità. Inoltre, il ruolo del Presidente della Repubblica è da sempre ritenuto super partes, perfetto quindi per conferire un’ulteriore garanzia di indipendenza e autonomia alla magistratura. Infine, il Presidente della Repubblica rappresenta il punto di congiunzione fra i tre poteri dello Stato (quello legislativo, esecutivo e giudiziario), la sua presidenza favorisce, quindi, un legame della magistratura con le altre forze, evitandone un completo isolamento, da alcuni ritenuto pericoloso».

 

Curiosità sul Molise

Infine, Cestelli riporta e commenta anche le Disposizioni transitorie e finali. In merito ad esse, in questa sede ricordiamo alcune curiosità poco note riguardanti il Molise.

La disp. IV prevede che per la prima elezione al Senato il Molise sia considerato come Regione a sé stante. Questo perché, nel 1948, il Molise, sebbene già si fosse espresso per “il divorzio”, era parte dell’Abruzzo. La disposizione era limitata alla prima elezione perché si pensava che in tempi brevi la nuova Regione sarebbe stata creata. Invece ciò accadde solo nel 1963, e così nelle elezioni per il Senato precedenti a quell’anno Abruzzo e Molise ritornarono ad essere un’unica circoscrizione elettorale. Tra l’altro, l’istituzione come regione del Molise avvenne, come ricordato, nel 1963, ma sulla base della disp. XI, che stabilisce una deroga affinché si possano istituire Regioni con leggi costituzionali senza il concorso delle condizioni previste dall’art. 132 (soglia minima di abitanti, referendum ecc.). Questa deroga, però, era applicabile fino a cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione, cioè fino al 1954. Ma il termine fu prorogato proprio per consentire l’istituzione della Regione Molise, dato che il territorio non rispettava uno dei requisiti dell’art. 132 (popolazione di almeno un milione di abitanti).

 

Luigi Grisolia

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 18, febbraio 2009)

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