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Anno II, n° 16 - Dicembre 2008
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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno II, n° 16 - Dicembre 2008

Zoom immagine Tornatore svela
trucchi e segreti
di sceneggiatura

di Annalice Furfari
Nella raccolta di saggi edita
da Città del sole, il magico
mondo del regista siciliano


La maestria della tecnica e la sapiente limatura delle emozioni. È questa l’intima essenza delle opere di Giuseppe Tornatore, uno dei registi più celebri del cinema italiano contemporaneo. Il cineasta siciliano è indubbiamente uno fra gli artisti nostrani più acclamati oltreoceano. Tuttavia, in patria è spesso oggetto di vere e proprie diatribe, animate dai critici maggiormente accreditati, che si dividono tra coloro che ne esaltano e difendono l’operato aprioristicamente e coloro che, al contrario, si lanciano in costanti e accese filippiche, passando per quelli che si lasciano suadere dalle premesse ma poi restano delusi dal risultato. Ecco che, nonostante la gran quantità di lavori critici scaturita dalle considerazioni eterogenee sul cinema di Tornatore, si percepisce l’esigenza di un testo che passi dalla critica all’analisi, in modo tale da sgomberare il campo da visioni faziose di ogni sorta e valutare l’oggetto del contendere con la necessaria lucidità. È proprio questo l’obiettivo di Le parole di Tornatore (Città del sole edizioni, pp. 272, € 15,00), una raccolta di saggi curata da Federico Giordano. Una finalità certo ambiziosa quella di decifrare l’oscuro mondo tornatoriano, raggiunta grazie alla particolare strutturazione dell’opera: a fare da corollario a undici testi analitici, scritti da giovani studiosi di cinema che collaborano con svariate università italiane e con affermate riviste di settore, vi è, infatti, il prezioso contributo del regista stesso, che svela i segreti, l’arte e la tecnica della sua ultima fatica, La sconosciuta, film che ha rappresentato l’Italia agli Oscar 2008 nella sezione delle migliori pellicole straniere.

Tornatore: regista eclettico, amante del melodramma e delle suggestioni noir
Per comprendere a fondo e senza pregiudizi la cinematografia del regista siciliano bisogna, innanzitutto, conoscere la sua storia, nonché le tappe fondamentali della sua carriera. Nasce il 27 marzo 1956 a Bagheria, il più grande comune della provincia di Palermo. Appassionato sin da ragazzino all’arte scenica, a soli sedici anni inizia ad allestire rappresentazioni teatrali tratte da opere di Luigi Pirandello ed Eduardo De Filippo. Il suo interesse per il mondo del cinema lo spinge a lavorare nei matrimoni come operatore di filmini girati in superotto. Si fa notare con il documentario intitolato Le minoranze etniche in Sicilia e viene ingaggiato dalla Rai, per la quale realizzerà inchieste televisive e cortometraggi, tra cui Diario di Guttuso, o programmi come Ritratto di un rapinatore, Incontro con Francesco Rosi e Scrittori siciliani e cinema: Verga, Pirandello, Brancati e Sciascia. L’incontro con il lungometraggio avviene nel 1984, quando collabora con il regista Giuseppe Ferrara per Cento giorni a Palermo, pellicola sull’ultima missione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa presso la Prefettura di Palermo. Tornatore lavora al film come produttore, co-sceneggiatore e regista della seconda unità. La curiosità analitica nei confronti dell’universo mafioso, che affligge la sua amata terra, riaffiora ne Il camorrista (1986), debutto ufficiale del regista sul grande schermo, storia del “professore di Vesuviano”, boss intenzionato a riformare la camorra campana e a diventarne il capo indiscusso. La prima pellicola firmata da Tornatore convince pubblico e critica e gli fa ottenere il “Nastro d’argento” (antico premio assegnato annualmente dal Sindacato nazionale dei giornalisti cinematografici italiani) come migliore regista esordiente. Tuttavia, ispirato alle imprese di Raffaele Cutolo e con riferimenti non particolarmente velati al rapimento dell’assessore regionale Ciro Cirillo, Il camorrista suscita anche aspre polemiche, tanto da essere querelato e ritirato dopo soli due mesi di distribuzione. Inoltre, avendo per modello Il Padrino ma tentando di coniugare il cinema sociale alla Francesco Rosi con il melodramma e il giallo d'azione, l’obiettivo di denuncia del regista siciliano viene tutt’ora troppo spesso frainteso. Il film è, infatti, diventato un vero e proprio cult tra i ragazzi del napoletano legati all’organizzazione criminale camorristica. La consacrazione del successo tornatoriano giunge ben presto, nel 1988, con quello che è da molti considerato il suo autentico capolavoro, Nuovo cinema Paradiso. Non è, però, l’Italia a incoronare il regista di Bagheria. Nel nostro paese, il film viene ignorato e la sua proiezione bloccata dopo il primo fine settimana in tutte le sale cinematografiche, tranne che a Messina. È all’estero che la storia della crescita del piccolo Totò, sullo sfondo di un cinema della provincia siciliana nell’Italia del secondo dopoguerra, tocca i cuori di critica e pubblico, aggiudicandosi un importante riconoscimento al Festival di Cannes e conquistando l’Oscar come miglior film straniero. Così, Nuovo cinema Paradiso ridesta attenzione anche in patria, ottenendo un notevole successo. Nel 1990, Tornatore torna dietro la macchina da presa per girare Stanno tutti bene, che segna una delle ultime interpretazioni di Marcello Mastroianni, nei panni di un anziano padre che intraprende un viaggio alla ricerca dei figli sparsi per l’Italia. La pellicola conferma l’affezione del cineasta nei confronti del cinema del dopoguerra e dei toni da melodramma sentimentale e malinconico. L’anno successivo è la volta de Il cane blu, un episodio del film collettivo La domenica specialmente, narrazione poetica del rapporto surreale di amore e odio tra un cane randagio e il barbiere romagnolo Amleto. Uno dei film più riusciti di Tornatore è sicuramente Una pura formalità (1994), prodotto di una svolta artistica nella regia del siciliano. Abbandonando i graditi accenti del melodramma, il cineasta firma, infatti, un’opera dall’impianto tipico di un thriller e dalle suggestioni metafisiche, un vero e proprio esercizio di stile che si avvale delle interpretazioni di due grandi del cinema internazionale, Gerard Depardieu e Roman Polanski. Nel 1995, il regista di Bagheria si cimenta con il documentario, firmando Lo schermo a tre punte, un’antologia filmica sulla storia della Sicilia. Nel corso dello stesso anno, Tornatore torna a parlare della sua terra di origine con il lungometraggio L’uomo delle stelle, metafora dei sogni che si trasformano facilmente in illusioni deluse in luoghi che non offrono le opportunità di valorizzazione del proprio talento. La pellicola, leggera e sentimentale, si aggiudica il “David di Donatello” e il “Nastro d’argento” per la migliore regia. Ma il successo di Nuovo cinema Paradiso viene bissato solo con La leggenda del pianista sull’oceano (1998), tratto dal monologo teatrale Novecento (1994) di Alessandro Baricco. La storia di Novecento, che si aggrappa al suo transatlantico, emblema e teatro di esistenze al confine tra la terra e l’oceano, commuove le platee e fa incetta di premi, anche se resta il rimpianto per un Oscar solo sfiorato. Desta, invece, non poche polemiche Malèna (2000), che sfrutta la bellezza fisica e mediterranea di Monica Bellucci per comporre l’epopea di un’ossessione erotica sullo sfondo di una Sicilia in piena Seconda guerra mondiale. Nel 2005, il regista si dedica a una produzione storica, Leningrado, sull’attacco nazista alla roccaforte sovietica. L’ultimo successo del cineasta di Bagheria è La sconosciuta (2006), film che, per certi versi, segna un ritorno all’ispirazione nera di Una pura formalità. Le atmosfere thrilling servono qui per affrontare un tema spinoso: la schiavitù sessuale delle ragazze che si addentrano nel nostro paese dall’Europa dell’Est. Attualmente Tornatore sta lavorando a Baaria – La porta del vento, pellicola che narrerà un pezzo di storia della sua città natale (Baaria, infatti, nel dialetto siciliano significa Bagheria).

Le tematiche del cinema tornatoriano: memoria, Sicilia, morte, corpo, sguardo
Il libro curato da Giordano (giovane reggino, laureato presso il Dams di Bologna e dottorando di ricerca in Studi audiovisivi presso l’Università di Udine) ha l’indubbio merito di ricostruire la filmografia tornatoriana affrontando gli argomenti e le suggestioni prevalenti nelle opere del cineasta. Ogni saggio, infatti, è incentrato sull’analisi degli spunti tematici dominanti nel cinema del regista siciliano, sviscerati con approcci metodologici differenti (filosofico, sociologico, psicologico, critico, semiotico), in modo tale da conferire una visione articolata del “fenomeno Tornatore”. Il contributo dello stesso Giordano, intitolato Nostos/Sud, si occupa del «“ritorno” e della sua dimensione sul recupero paesaggistico dei luoghi del Sud», evidenti soprattutto nei film L’uomo delle stelle e La leggenda del pianista sull’oceano. Tuttavia, secondo l’autore, la presenza della Sicilia è una costante del cinema tornatoriano, anche quando essa non è presente sullo schermo e osservata non solo da un punto di vista fisico ma pure da una prospettiva esistenziale, che si riflette nel pessimismo razionale e materialistico, connesso al senso di morte tipicamente siciliano. Il saggio di Angelita Fiore, Figur/Azione, evidenzia la centralità della fotografia nella formazione artistica del giovane Tornatore e l’influenza delle tecniche e consuetudini fotografiche nella sua successiva carriera di regista. Questa “poetica dello sguardo” emerge, in particolare, in Nuovo cinema Paradiso, L’uomo delle stelle, La leggenda del pianista sull’oceano e La sconosciuta. Il testo di Maurizio Buquicchio, Perturbante, si sofferma sulle zone d’ombra dell’opera di Tornatore, evidenti in Una pura formalità e La sconosciuta e in netto contrasto con le immagini della luminosa Sicilia della prima metà del Novecento, dominanti in altre pellicole. Sono proprio queste zone oscure e luttuose che consentono di rintracciare «l’essenza contraddittoria e i tratti di un universo pulsionale latente in tutto il cinema dell’autore». L’apporto di Francesco Di Chiara, intitolato Generi cinematografici, indaga il rapporto del cineasta con il gangster movie, il melodramma e il noir, generi attraversati e sottoposti a sperimentazione ne Il camorrista e La sconosciuta. Marina Rossi, in Corpo/Genere, affronta il tema della costruzione del fisico femminile in Malèna, evidenziando come la riduzione della donna a corpo, operata nel film, serva a tratteggiare l’identità di genere tanto per l’essere femminile, creato per essere guardato, quanto per quello maschile, che afferma la propria virilità guardando. Il saggio di Francesca Saffioti, Soggetto, effettua un’analisi nietzschiana de La leggenda del pianista sull’oceano, il cui protagonista incarna la soggettività del XX secolo, «mobile, costretta al viaggio, migrante per necessità». Giorgio Bacchiega, in Memoria, si occupa di un tema focale all’interno della cinematografia tornatoriana, quello del ricordo, manifesto in Nuovo cinema Paradiso, Una pura formalità e La sconosciuta. Il contributo di Maurizio Gagliano, Metafisica, sviscera le profonde suggestioni trascendenti di Una pura formalità, in cui l’incubo dell’interrogatorio rappresenta un tentativo di ricostruzione dell’identità perduta. Sara Martin, in Architetture, passa in rassegna i paesaggi barocchi dell’opera tornatoriana, nonché il suo uso simbolico della passeggiata e della sala cinematografica. Il saggio di Marco Benoit Carbone, Torna(u)tore, analizza la marca autoriale delle pellicole del regista di Bagheria. L’interessante Passaggi, di Salvatore D’Amico, effettua un parallelismo tra le figure di corpo de La sconosciuta e quelle di alcuni esponenti dell’arte contemporanea, in particolare della body art. Infine, l’ultimo saggio è una trascrizione della Lezione di scrittura cinematografica: un’analisi de La sconosciuta, tenuta dallo stesso regista alla Cineteca di Bologna nell’aprile 2007. Qui Tornatore, che è anche soggettista, sceneggiatore, montatore e produttore delle sue pellicole, racconta con passione la genesi e gli espedienti che consentono la stesura di soggetto, scaletta, struttura, sceneggiatura e trattamento, rivelandosi artista “carpentiere”, ossessionato dalla coerenza logica dei particolari, e maestro in grado di armonizzare sapientemente la tecnica retorica e il pathos delle emozioni. Insomma, è un Tornatore a 360 gradi quello che emerge dalla lettura di queste pagine, semplici e rigorose al contempo, che appassioneranno tanto l’esperto di cinema quanto il semplice curioso. Entrambi, infatti, avranno la possibilità di approfondire la conoscenza di questo cineasta amante della «deflagrazione sentimentale», retore barocco provocatore di polemiche e contrassegnato da fulgore mediterraneo, dominio ferreo della trama, magniloquenza esuberante, concettismo e richiamo al proprio vissuto memoriale e cinematografico.

Annalice Furfari

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 16, dicembre 2008)

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