Homepage - Accesskey: alt+h invio
Editore: Bottega editoriale Srl
Società di prodotti editoriali, comunicazione e giornalismo.
Iscrizione al Roc n. 21969.
Registrazione presso il Tribunale di Cosenza
n. 817 del 22/11/2007.
Issn 2035-7370.

Privacy Policy

Direttore responsabile: Fulvio Mazza
Anno II, n° 12 - Agosto 2008
Sei in: Articolo




Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno II, n° 12 - Agosto 2008

Zoom immagine La questione dei bambini soldato:
appello ai disumani e crudi silenzi

di Alessandro Tacconi
Soldatini di piombo, edito da Feltrinelli, affronta in modo molto lucido,
terribilmente realistico, il difficile caso dei giovani guerriglieri africani


E il piccolo soldatino di piombo saltò nel fuoco per salvare la sua innamorata: la ballerina dagli occhi azzurri e dai capelli biondi. Quando il bambino vide che i suoi pupazzi stavano bruciando in fiamme che si appassionavano sempre più a quei due pezzi di stagno, iniziò a piangere e a chiamare la mamma, che arrivò di corsa pensando fosse accaduto qualcosa di grave al proprio adorato pargoletto. Non appena si accorse che stava piangendo soltanto per un paio di pupazzetti di piombo, lo carezzò dolcemente: «Te ne comprerò di più belli e più grandi». Il cucciolo d’uomo smise di piangere e con occhi lucidi e un sorriso enorme abbracciò la mamma, dimenticandosi immediatamente dei due giocattoli ormai fusi.

Ci sono storie, come questa, che conoscono tutti. Appresa da “cuccioli”, appunto. Che non ci commuovono più. E poi ci sono verità di altri Soldatini di piombo. La questione dei bambini soldato (pp. 160, € 8,00) raccontata da Giulio Albanese, edita da Feltrinelli, appresa da “grandi”. Ma anche questa pare non emozionarci più.

È il tempo che fa lo sgambetto alla nostra attenzione e compassione: «Ah sì, i bambini soldati. Quelli che si ammazzano perché vengono impasticcati e drogati fino alle orecchie. Eh, che brutta vita fanno quei poveri ragazzi». E si volta pagina. Sopravvivenza selettiva. «Non posso salvare tutto il mondo! Non sono responsabile delle nefandezze di quello che combinano i corrotti governi africani». E così possiamo tirare un sospiro di sollievo, succhiando la caramella balsamica delle nostre convinzioni occidentali. Perché è una storia già vecchia quella dei ragazzini che si sparano addosso e massacrano civili in villaggi grandi come un pugno. Ed è una storiaccia subito dimenticata. Una favola che ha solo una decina d’anni, ma il fuoco può, imperterrito, continuare a bruciare tutti i soldatini di piombo che gli vengono gettati in pasto. Tanto la mamma ha i soldi (e in parte sono il frutto delle ruberie avvenute proprio in terra africana) per comprare altri giocattoli.

 

Un coro possente che alza il proprio appello

Per riuscire a sopportare il lamento delle storie raccontate in questo “atroce” libro di Giulio Albanese, giornalista e missionario in Africa, è necessario uno sforzo incredibile per un lettore qualsiasi. Decine di voci, storie, sguardi e mani sembrano protendersi, infatti, dalle pagine di questo piccolo prezioso volume.

Ognuna delle testimonianze raccolte, parola per parola, come afferma spesso lo stesso autore, è il frutto di un viaggio ai limiti della sopravvivenza, dove il valore della vita viene ridotto allo zero (scusateci la banalità retorica di quest’ultima affermazione!). Dove il segno della brutalità e dell’indifferenza cadono come un tifone sulle teste di migliaia e migliaia di innocenti.

Da questo tragico coro, potentissimo per impatto emotivo, s’alza allucinato e spietato un cuore pulsante e vitalissimo di storie, lanciato a tutta velocità contro la nostra occidentale indifferenza. L’autore del volume, con pazienza, coraggio, al seguito di missionari che, quotidianamente, sfidano la morte per riuscire a ricucire le ferite di smisurati corpi spezzati dal dolore e dalla brutalità inferta, patita e subita, ci porta dentro la carne viva e martoriata dell’Africa. Terra meravigliosa, generosa madre, culla dei milioni di essere umani che soffrirono e continuano, ancora oggi, a pagare il prezzo dell’avidità, dell’abiezione e del potere che dimora anche molto distante da questo continente.

La spietata realtà è che questi bambini soldato e i loro comandanti, di qualche anno più grandi di loro, alla fine possono solo essere considerati come pedine in un campo di gioco molto più grande di quello che loro stessi non sono in grado di immaginare. Le tribù che si disputano il controllo delle risorse in terra africana, come ha affermato un altro missionario che vive a Nairobi, padre Renato “Kizito” Sesana, vengono da lontano, addirittura da oltre oceano (Atlantico e Pacifico). E cosa dire di chi trae profitti astronomici dalla compravendita di armi. Anche l’Italia degli scandaletti alla calciopoli ha il suo bel guadagno nella produzione di strumenti di distruzione di massa. Ops, strumenti per la realizzazione di operazioni di pace.

Conosciamo la favola, dirà qualcuno, è vecchia! E allora è tempo di ascoltare qualche “brandello” del coro. Ma è detto e ridetto anche questo! No, questi ultimi, spesso e malvolentieri, muoiono… mai troppo giovani!

 

Cantami o diva, i disumani silenzi dei giovanissimi corpi…

«Vennero di notte nel mio villaggio, distrussero tutte le capanne e le diedero alle fiamme. Mia madre fu massacrata a colpi di panga (arma bianca) e tre miei fratellini furono bruciati vivi. Io fui catturato con una decina di miei coetanei. Gli Olum ci costrinsero a camminare giorno e notte per quasi un mese [ … ] Fummo sottoposti a un impietoso indottrinamento. Dovevamo cancellare dalla mente i nostri ricordi e affetti. Rinascere nella comunità degli ‘eletti’ [ … ] Quando andavamo a combattere avevamo tutti paura. Ci si muoveva in piccoli gruppi, di dieci-quindici ragazzi. I primi tempi non riuscivo a sparare con precisione e allora,  per paura di colpire i miei stessi compagni, alzavo la canna in altro, tanto per spaventare il nemico. Sapevamo che la parola d’ordine era una sola: nekare (uccidere). Uccidere la nostra stessa gente».

Il bottino più ambito delle guerriglie intestine africane sono, infatti, i bambini.

Questo prezioso “elemento” viene sfruttato in modo sfrenato e cinico dai comandanti dei vari commando. Senza famiglia, massacrata al momento dell’irruzione nel villaggio, senza casa, distrutta e incendiata, i cuccioli di uomo subiscono un vero e proprio condizionamento della personalità e della volontà.

Nelle credenze dei gruppi guerriglieri, i bambini più giovani (6-8 anni) sono quelli che portano vitale invulnerabilità ai combattenti più anziani (12-15 anni). Attraverso dozzinali cerimonie d’iniziazione e riti propiziatori per la battaglia, i combattenti hanno la possibilità di attingere direttamente alla loro purezza.  

Il “lavaggio completo” della mente avviene nell’abiezione e nella violenza più cruenta. Esso viene integrato adoperando droghe di ogni tipo (perfino la polvere da sparo, mescolata a cocaina) e rituali alla Wanna Marchi, a cui si aggiunge il plusvalore delle continue abluzioni nel sangue dei massacri perpetrati nei villaggi di Sierra Leone e Uganda.

«Presero mia madre e le chiesero se voleva la manica corta o la manica lunga: doveva scegliere se farsi amputare la mano o il braccio. Lei non rispose e allora le tagliarono via la mano. Altre dieci persone furono mutilate. Infastiditi da qualsiasi implorazione, i ribelli tagliarono le labbra a quanti gridavano che avrebbero preferito morire piuttosto che vivere senza mani. Con sarcasmo e disprezzo rispondevano che se volevamo nuove mani avremmo potuto rivolgerci al presidente Kabbah, visti i tanti amici ricchi che ha all’estero», ricorda una giovane vittima.

Il catalogo delle testimonianze raccolte da Albanese è davvero sconcertante. Rimandiamo senz’altro a quella che ci pare una necessaria lettura per approfondire non solo l’argomento, ma anche il proprio modo di concepire questa favola “già nota”, trovando magari il pungolo per compiere un gesto anche minimo, ma necessario, di solidarietà. 

Ci piacerebbe chiudere in modo conciliante e rasserenante questo nostro modesto invito alla lettura, ma le parole di uno dei più attivi missionari e operatori di pace, monsignor Biguzzi, forse sono più indicate: «Il dramma umano è tale che si tratta di compiere un vero e proprio miracolo, spesso i segni delle malvagità subite o esercitate rimangono incisi nel cuore e sulla carne: nel cuore perché impressi nel profondo sotto forma di traumi psicologici e sulla carne come tatuaggi che rimangono a testimonianza indelebile dell’odio premeditato e insensato degli adulti nei confronti di creature innocenti».

E non troppo lontano, le impalcature del cielo iniziarono a scricchiolare.

 

Alessandro Tacconi

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 12, agosto 2008)

Progetto grafico a cura di: Fulvio Mazza ed Emanuela Catania. Realizzazione: FN2000 Soft per conto di DAMA IT