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Anno II, n° 11 - Luglio 2008
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Comunicazione e Sociologia (a cura di Pierpaolo Buzza) . Anno II, n° 11 - Luglio 2008

Zoom immagine I principi politici di Constant
sono ancora di un’attualità
sorprendente: dalla libertà
personale all'autorità statale

di Anna Foti
Un trattato cardine del pensiero liberale
in una dettagliata edizione Rubbettino


Nessun potere di annientamento si concede al silenzio e all’oblio quando si abbattono su idee le cui gambe sono ancora in cammino. È il caso di quelle illustrate nel manoscritto, definito un grande trattato sistematico di filosofia politica, intitolato I Principi della Politica (Principes de Politique 1806). Il testo è opera del pensatore liberale Benjamin Constant, capo dell’opposizione ai tempi delle Rivoluzione francese e membro dell’Assemblea nazionale francese. Composto dalla sua penna nel 1806, riemerso tra i suoi manoscritti acquisiti dalla Biblioteca nazionale francese nel 1961, fu pubblicato per la prima volta nel 1980 e adesso ritrova nuova luce con i caratteri della Rubbettino (pp.  570, € 38,00) e con l’opera storiografica di Stefano De Luca, docente di Storia delle Dottrine politiche presso la Facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma.

Da una valutazione critica della carenza dei principi di libertà e sovranità ereditati dal Settecento, Constant elabora in questo scritto le sue nuove definizioni di libertà del mondo moderno, caratterizzata da un’ampia dimensione individuale, e di libertà del mondo antico, permeata da un forte intreccio con la sovranità collettiva. Un trattato che è una riflessione sul liberalismo moderno che Constant paga con le antipatie dell’Impero napoleonico e un esilio in Svizzera, durante il quale egli si dedica proprio alla stesura su carta di queste idee. Idee che, non a caso, hanno oggi da dire ciò che all’epoca è stato loro impedito.

Numerosi i riflessi attuali del pensiero constantiano, laddove il titolo completo dell’opera Principi della Politica applicati a tutte le forme di governo evidenzia la versatilità e la centralità degli stessi principi illustrati. Questa nuova pubblicazione pone in luce la portata sistematica del suo pensiero politico, una specificità di cui fino ad ora lo stesso autore non era stato fregiato. Una testimonianza che intreccia Storia e vicende storiche. A scandirle le tre fasi del periodo Termidoriano-Direttoriale, dell’epoca napoleonica e dell’età della Restaurazione. Oppositore del dispotismo di Bonaparte, Constant manifesta vivamente la sua indole repubblicana e filo-rivoluzionaria, divenendo così poco gradito all’Impero napoleonico. In questa dialettica conflittuale si incardina il suo pensiero liberale di cui il trattato I principi della Politica rappresenta un manifesto eloquente e altamente rappresentativo. Attraverso l’affermazione del ruolo del consenso, assolutamente trasversale sia nell’autoritarismo di Napoleone che nel fermento giacobino, Constant registra un mutamento del dato politico ereditato da Rosseau e Montesquieu a tale esperienza dedica questo e lo scritto sulla dottrina costituzionale, entrambi all’epoca riposti nel cassetto. Sono, infatti, temi cruciali della teoria politica quelli che affronta nei numerosi capitoli del trattato.

Leit-motiv significativo dell’intera opera, il riferimento ai diritti e ai doveri, non solo dei governati ma anche dei governanti. Un riferimento esemplificativo di ciò si rinviene nel capitolo dedicato alle imposte. «Ogni individuo acconsente a sacrificare una parte del suo patrimonio per far fronte alle spese pubbliche, il cui scopo è assicurargli il godimento di tutto ciò che gli rimane», scrive Constant.

 

Libertà individuale e sicurezza pubblica

Numerose le intersezioni analizzate e ancora oggi critiche e centrali nelle risoluzioni delle grandi questioni internazionali. Autorità statale e libertà individuale, sovranità nazionale e diritti del singolo, fanatismo e tolleranza, sacrificio economico e benessere, giustizia e sicurezza. Proprio su quest’ultimo binomio si articola uno dei riflessi più attuali del trattato. Esiste a livello mondiale, infatti, un animato dibattito che pone da un lato la lotta al terrorismo e dall’altro gli standard internazionali di processo equo e di trattamento dignitoso delle persone soggette

a restrizione della propria libertà. «Quando i crimini si moltiplicano – scrive Constant – o quando lo Stato sembra minacciato da qualche pericolo, si dice che bisogna abbreviare le forme giudiziarie, perché la loro lentezza comprometterebbe la sicurezza pubblica». Ecco che si intravede nitidamente in questa eccezione, tipicamente di stampo liberale e legittimata da circostanze di emergenza, ciò che oggi sta divenendo la regola. Si tratta del sacrificio dei diritti individuali per garantire la sicurezza e la difesa interna. Si tratta del diritto di vietare al singolo un’azione che potrebbe compromettere la sicurezza pubblica e la prerogativa di difesa. Il punto è che oggi non ci si difende da un’invasione straniera tradizionalmente intesa, ma da un nemico di cui non si conosce spesso il volto.

Nel suo scritto egli già anticipava questo abbassamento del livello di tutela. «Questo modo di procedere mi aveva molto colpito – scrive Constant – perché si basa su una singolare petizione di principio, ossia sulla pretesa di dichiarare in anticipo la colpevolezza di uomini che sono ancora soltanto imputati». Una restrizione delle libertà individuali in favore di un riconoscimento dell’autorità statale che anche in altri brani del trattato viene sottolineata. «I diritti individuali – scrive Costant – si compongono di tutto ciò che resta indipendente dall’autorità sociale». Tuttavia appare singolare il suo stupore nei confronti di questa tutela che scompare. Stupore che oggi è completamente superato, come se il concetto di libertà individuale e dignità della persona fossero principi secondari rispetto a quello della sicurezza.

Lo stesso Constant commenta lo spessore delle società moderne rispetto a quelle antiche (repubbliche greche e romane). Queste ultime, pur avendo restituito agli uomini la facoltà di sviluppare le proprie inclinazioni naturali “animati da un grande sentimento di energia e dignità”, hanno sacrificato l’individuo nell’insieme non riconoscendo ad esso alcuna autonomia. Se dunque la determinazione dell’azione individuale e la tutela di questi spazi costituiscono una conquista della modernità e se Constant già nell’Ottocento individuava nella possibilità di restringere nuovamente questi ambiti un concreto rischio di regresso, ci si dovrebbe chiedere perché quel rischio non è stato evitato dal momento che, attuali sistemi spesso anche ispirati all’ideologia liberale, violano le libertà fondamentali del cittadino. La politica e le ideologie che la ispirano, oggi, forse non sono più integre come un tempo. «Vi è una parte dell’esistenza umana – scrive – che necessariamente resta indipendente e individuale e che è di diritto sottratta alla competenza sociale». Un concetto carico di un significato che resiste al tempo e che oggi, più che mai, dovrebbe essere nuovamente valorizzato.

 

Anna Foti

 

(www.bottegascriptmanent.it, anno II, n. 11, luglio 2008)
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