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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
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Home Page (a cura di La Redazione) . A. XVIII, n. 206, dic. 2024

Zoom immagine Il nuovo saggio di Fulvio Mazza
su veri e falsi fascisti e antifascisti

di Guglielmo Bussoletti
Emblematico è il sottotitolo del libro: Voltagabbana e irriducibili,
Trasformisti e dissociati. Pentiti e smemorati. Un testo che analizza
i profili di tredici politici calabresi fra eroismi, bugie e complicità


È in arrivo il nuovo libro dello storico e giornalista Fulvio Mazza, il quale, essendo anche il direttore della presente rivista, ci invita a segnalare subito il potenziale conflitto di interessi.
Adempiuto questo fondamentale passaggio, evidenziamo che si tratta di una pubblicazione e una nuova pubblicazione di tredici saggi di cui due inediti (come atti di convegni e in riviste o in vari giornali) su uomini politici calabresi della prima metà del Novecento. Alcuni di essi appartenevano alle fila antifasciste, altri a quelle fasciste, altri ancora – e qui sta il bello – a entrambe. Ciò è ampliamente analizzato e dimostrato dalle relative fonti di archivio. Il titolo è: Fascisti e antifascisti. Trasformisti e dissociati. Pentiti e smemorati. Tredici profili di politici in Calabria.
Un viaggio le cui vicissitudini e scelte politiche, talvolta coraggiose e rivoluzionarie, in altri casi furbe e omissive, delinea l’ambiente politico e sociale calabrese in cui operarono alcune delle maggiori figure che hanno fatto la storia della Calabria, e talvolta dell’Italia intera, in un periodo funesto come quello fascista.

Una raccolta di saggi pubblicati da autorevoli editori
Uno degli obiettivi del libro di Mazza è stato quello di raggruppare questi saggi sparsi in tante mini-pubblicazioni, al fine di offrire ai lettori un quadro il più possibile omogeneo del ceto politico calabrese durante la dittatura fascista. Tutte mini-pubblicazioni, che non difettavano di certo in autorevolezza (oltre che sulla stampa quotidiana regionale erano difatti uscite all’interno di opere collettive di case editrici che rispondono ai nomi di Pellegrini, Rubbettino, Treccani) ma che – sparse e sminuzzate quali erano – non potevano affrontare compiutamente i punti centrali della vicenda relativa all’antifascismo calabrese, che è quello che porta nella scarsa dinamicità la qualità dell’antifascismo stesso schiacciato dal potere fascista. Questo riguarda undici dei tredici profili. Due invece, firmati insieme a Mario Saccomanno, sono inediti: quelli relativi a Silvio Messinetti e Francesco Spezzano.

Tra irriducibili e voltagabbana: alcune menzioni
I personaggi scelti da Mazza (qui elencati in ordine cronologico) sono: Giuseppe De Nava, Nicola De Cardona, Pietro Mancini, Michele Bianchi, Luigi Nicoletti, Fausto Gullo, Florindo De Luca, Luigi Filosa, Falcone Lucifero, Nino Wodizka, Silvio Messinetti, Giulio Nicoletta e Francesco Spezzano.
Si tratta di tredici profili assai variegati, come anticipa anche la citata titolazione. Volendo effettuare un rapido viaggio al loro interno cominciamo dai socialisti e poi comunisti, Nicola De Cardona e Fausto Gullo che rappresentano un po’ i dissociati, coloro i quali, per chiarirci, rimasero fedeli all’impronta antifascista ma limitarono molto, anche e soprattutto a causa della stretta vigilanza poliziesca, il proprio attivismo.
Passiamo poi ai socialisti (minimalisti) Florindo De Luca e Falcone Lucifero che, al pari dei precedenti, non svolsero un’effettiva vera lotta politica clandestina anche se talvolta, come nel caso di De Luca, furono a capo di diverse iniziative specifiche. Riguardo al futuro ministro della Real Casa, Falcone Lucifero, segnaliamo la sua poca familiarità alla lotta clandestina e la sua contemporanea attività antifascista fatta di tentativi di costruzione di reti antifasciste. Qualche parola in più necessita per un altro socialista, il massimalista Pietro Mancini, che tentò di tessere diversi collegamenti antifascisti che non sortirono però un granché di effetti ma che gli valsero due assegnazioni al confino di polizia e un’ininterrotta vigilanza poliziesca. Collegata a questa vicenda vi è la polemica circa la data che Mancini appose alla lettera di richiesta a Mussolini per l’uscita anticipata dal confino. Tale data oltre al numero arabo (1929) era scritta anche con la data dell’era fascista (VII). Riconosceva, così, intellettualmente il fascismo non come semplice governo, ma anche come nuovo e accettato sistema politico. Qui entra in ballo il concetto di smemoratezza che va attribuito alla generalità degli storici che, scrivendo del periodo fascista e dell’atteggiamento assunto da Mancini, “dimenticano” tale particolare. Che mero particolare non è. Gli storici dell’Istituto calabrese di storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea sono stati, lo segnaliamo con rammarico, negli anni/decenni scorsi, a capo di tale deliberata omissione. Proseguiamo poi con i trasformisti, governativi a prescindere, segnaliamo che, nell’analisi di Mazza, il loro “campione” è il reggino Giuseppe De Nava. Questi dopo qualche breve riflessione accettò le avances di Michele Bianchi candidandosi alle elezioni maggioritarie del 1924. Riguardo Nicoletti notiamo che egli pur limitando la propria azione cospirativa, non esitò, come nel caso delle leggi razziali, a schierarsi, come direttore del giornale diocesano “Parola di Vita” pubblicamente e fortemente contro tale abominio.
Un mondo a sé è rappresentato da Nino Wodizka quale integerrimo esponente antifascista che visse il Ventennio costantemente tra carcere e confino e che ritroviamo in Calabria in quanto, al momento della caduta del fascismo, sua ultima sede di confino.
Michele Bianchi emerge come il prototipo del potere fascista, in tutte le sue accezioni, ricordiamo che fu fondatore del partito fascista, segretario generale dello stesso, quadrumviro della marcia su Roma e segretario del ministero dell’Interno. Nel testo viene però descritto un caso storico serissimo ma anche un po’ comico: si tratta della vicenda del busto bronzeo del Quadrumviro. Tale monumento il 25 luglio del 1943 fu abbattuto come avvenne in tutta Italia, ma nel nostro caso, non fu distrutto. Preservato dai comunisti di Camigliatello, sede della sua installazione, fu difatti nascosto e custodito, più o meno amorevolmente, per decenni.
Di Giulio Nicoletta si evidenzia invece la sua coerenza che lo portò, giovane ufficiale sbandato dell’esercito, a comandare un’importante divisione partigiana in Piemonte.
Anche se non sempre esplicitato, il termine voltagabbana si confà ai personaggi di Silvio Messinetti e Francesco Spezzano, con i relativi capitoli. In entrambi i casi emergono le loro compromissioni col fascismo celate, nel caso di Spezzano, da una storiografia complice (anche e soprattutto, come per Mancini, proveniente dai vertici dell’Istituto calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea) e, nel caso di Messinetti, da una forte volontà omissiva voluta dal Pci. Elementi comuni tra i due sono anche l’essere stati prima socialisti (prima del ventennio) e poi comunisti; di essere stati entrambi sindaci del proprio comune (Messinetti di Crotone e Spezzano di Acri) e, per anni, rappresentanti parlamentari della popolazione di Crotone (Spezzano al Senato e Messinetti alla Camera).
La figura di Spezzano viene dipinta da Mazza e Saccomanno anche per un altro elemento: quello della smemoratezza. Nella sua ricostruzione degli eventi, difatti, la sua memoria fu fallace. Per esempio quando – proprio nel descrivere in un suo libro, in maniera dettagliata, le vicende del fascismo e dell’antifascismo calabrese dinnanzi al Plebiscito del 1929 – dimenticò, guarda caso, di inserire, tra coloro che fecero propaganda e che votarono al Plebiscito del 1929, il suo stesso nome e quello di quell’importante nucleo socialista rappresentato dalla sua famiglia. Così come per analoga dimenticanza, il nostro “Smemorato di Acri” non disse nulla riguardo alla propaganda fascista e guerrafondaia che effettuò pubblicamente nel 1940.
Rimane un elemento del tutto anomalo quello di un altro irriducibile al massimo livello: il repubblicano e rivoluzionario Luigi Filosa, che fu analogamente voltagabbana, ma al contrario. Difatti fu fascista quando al governo stavano i liberali e comandò le squadre d’azione cosentine alla marcia su Roma, con il “grado” di federale di Cosenza. Ma fu antifascista quando il fascismo andò al potere e fece attività clandestina alleandosi anche con la militanza del comunista Cesare Curcio e degli altri attivisti della Presila a lui legati; fu nuovamente fascista a partire dalla primavera del 1943 quando i fascisti si organizzarono nella fuga dalle proprie responsabilità politiche e propugnò, dalle colonne di Calabria fascista, l’alleanza fra l’Unione sovietica e l’Italia proletaria e fascista, divenne capo della “Resistenza fascista” contro gli angloamericani nel 1943-44; fu missino quando tale partito si connotava per un’opposizione granitica; fu antimissino quando il Msi si avvicinava, lusingato dalle avances democristiane, al potere.

Ma, si badi bene, non fu un politico squilibrato senza agganci nella popolazione tant’è che fu eletto, nel 1948, nel primo Parlamento italiano (che fu poi dichiarato decaduto è un’altra storia).

La coerenza come ago della bilancia?
È proprio la coerenza delle azioni dei singoli rispetto a quanto da loro dichiarato, il maggior filo conduttore dell’intero libro, nonché il corpus intrinseco del testo. Ma il Paratesto non è da meno: citiamo in tal senso la Prefazione di Paolo Palma, presidente dell’Istituto calabrese per la storia dell’antifascismo dell’Italia contemporanea dal titolo Questioni del notabilato politico calabrese tra storia nazionale e storia locale, e la Postfazione di Pantaleone Sergi, storico e saggista (e predecessore di Palma come presidente dell’Icsaic), dal titolo Il saggio ritrovato di Pietro Mancini e tredici uomini nella storia del ’900 in Calabria. Ma citiamo, e con forza, anche la pubblicazione, dopo cento anni di oblio, del prezioso saggio Stato corporativo e Stato operaio scritto da Pietro Mancini durante i primi anni del regime e sequestratogli dalla polizia fascista.
Da non sottacere la presenza dell’Indice analitico, non un mero indice dei nomi ma ben di più. Testi così ricchi e dettagliati, senza adeguati indici, sono quasi inutile carta imbrattata.br> Per ultimo, ma non per importanza evidenziamo che l’autore non ha scelto ancora l’editore col quale affrontare il pubblico dei lettori e degli studiosi: gli editori potenzialmente interessati si facciano avanti...

Guglielmo Bussoletti

(www.bottegascriptamanent.it, anno XVIII, n. 206, dicembre 2024)

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