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Comunicazione e Sociologia (a cura di La Redazione) . A. XVI, n. 181, ottobre 2022

Zoom immagine L’India come
luogo di pace

di Emiliano Peguiron
Autoriflessioni
e sofferenza in un
libro Città del sole


L’autobiografia può essere considerata un’arma a doppio taglio. Da una parte, infatti, in un mondo editoriale che è abbondantemente popolato da questo genere letterario, può risultare un azzardo e può fare un rapido salto nel vuoto; dall’altra, invece, una che riesca a coinvolgere il lettore e offra degli spunti di riflessione può, se non cambiare delle vite, arricchirle di persone sconosciute e luoghi difficilmente raggiungibili: insomma, di esperienze irripetibili.
L’emporio delle ridondanze (Città del sole edizioni, pp. 112, € 12,00) di Mimma Mollica, insegnante al liceo di storia e filosofia, è un’autobiografia che appartiene di diritto al secondo tipo. Ciò è reso possibile dallo stile dell’autrice, da una scrittura tagliente e ironica, capace di ridere di sé, di scherzare in maniera costruttiva anche e soprattutto sulle proprie disavventure.
Ed è probabilmente questa forza d’animo che l’ha portata prima a superare paure e blocchi emotivi e, in un secondo momento, a scrivere un testo di questo livello.
Infine (ma, per quanto concerne l’opera, dal principio), vi è l’India, luogo e argomento d’eccellenza, senza dubbio fulcro del discorso di Mollica. Ma di questo e altro si parlerà una volta che ci saremo addentrati nella struttura di quest’opera forte, come l’autrice che l’ha realizzata.

Un titolo enigmatico
Un’autobiografia preziosa, dunque, che arriva dritta al cuore di chi legge. Mollica attraverso riflessioni sulla sua vita, che in più occasioni raggiungono la profondità filosofica, tocca in realtà quella di ognuno di noi. L’impressione è che proprio l’attaccamento alla propria storia la porti, con un grande sforzo stilistico ed emotivo, a sorvolare la propria vita. A tratti sembra come che riuscisse a essere spettatrice delle proprie vicende dall’alto, probabilmente perché nel momento in cui si è apprestata a scrivere la sua memoria si è fatta totalmente consapevole.
Andrebbe fatta anche un’analisi circa il titolo. Quest’ultimo, infatti, è composto da due termini chiave: emporio e ridondanze. Il secondo merita un approfondimento più cospicuo anche se è contenuto dal primo. Quando si parla di ridondanza, effettivamente, ci si riferisce a una sovrabbondanza, a qualcosa di troppo. L’emporio è il contenitore e va a immagazzinare le ridondanze. Il termine si ripete in diverse circostanze e in diverse declinazioni, ma è di particolare impatto nel momento dell’ennesima fuga dell’autrice, in questo caso costretta ad andarsene dall’India: «Compresi tutt’a un tratto, col sussulto di chi si sveglia di colpo, che questa volta esperire la ridondanza mi sarebbe costato lacrime e sangue, prigionia e patimento e decisi per la fuga, che realizzai precipitevolissimevolmente».

Un luogo d’eccezione: l’India
Il paese che, per l’autrice, rappresenta la chiusura momentanea col mondo d’origine e l’apertura a nuove sfide, nuove usanze del tutto lontane, nuove concezioni del tempo e della lingua e, infine, una spiritualità dalle sfaccettature completamente differenti, è l’India.
Mollica di questo contraddittorio (agli occhi di un occidentale) e meraviglioso luogo offre al lettore molteplici interpretazioni, punti di vista che cambiano con il variare della narrazione e delle esperienze che l’autrice compie. Pittoresca è la prima descrizione dell’India: «Luogo con mille porte per entrare ma nessuna per uscirne. Fosse un nove verticale di cinque lettere, prima del luglio di qualche anno fa, avrei scritto “erebo”; oggi non ricorrerei alle mie reminiscenze mitologiche e non esiterei: scriverei “India”».
Sempre riguardo a questo luogo, colpisce particolarmente la definizione del tempo che si lega alla questione semantica: «In un Paese dove kāla significa tanto “ieri” quanto “domani”, non capisci mai cos’è stato o cosa potrà o dovrà essere. […] il tempo, che in questa parte del mondo è una delle misure più reali del re, lì non possiede dimensione né senso».
Un paese che ha lasciato tanto all’autrice, la quale ha avuto il grande merito di riuscire a trasportare i lettori, attraverso i propri sensi e le immagini “esotiche” descritte con cura, in una situazione che a mano a mano diviene familiare.

La forza di rialzarsi sempre
L’ultimo capitolo, intitolato Scarti, fardelli, mostri e falene, rappresenta una capitolazione degna di nota. Giunge infatti il momento di fare i conti con il sé, radicalmente mutato e arricchito dall’esperienza indiana. Forte di alcune conquiste ma sempre pronto a mettersi in discussione
Ciò che è sempre presente nella scrittura di Mollica è un dittico pervasivo in tutta la sua opera: da una parte la sensibilità che a ogni frase colpisce il lettore, dall’altra la potente ironia sprigionata dalla sua penna. Ridere di sé con stile, autocritica consapevole, costante ricerca interiore, tutto ciò si trova in quest’autobiografia preziosa.
Perché una delle cose che l’autrice de L’emporio delle ridondanze ci insegna è: bisogna trovare, talvolta nei meandri della propria speranza, anche a forza di scavare come forsennati o di pazientare e attendere, la forza di rialzarsi sempre.

Emiliano Peguiron

(www.bottegascriptamanent.it, anno XVI, n. 181, ottobre 2022)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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