Homepage - Accesskey: alt+h invio
Editore: Bottega editoriale Srl
Società di prodotti editoriali, comunicazione e giornalismo.
Iscrizione al Roc n. 21969.
Registrazione presso il Tribunale di Cosenza
n. 817 del 22/11/2007.
Issn 2035-7370.

Privacy Policy

Direttore responsabile: Fulvio Mazza
Direttore editoriale: Mario Saccomanno
A. XVIII, n. 199, aprile 2024
Sei in: Articolo




Home Page (a cura di La Redazione) . A. XVI, n. 180, settembre 2022

Zoom immagine Giacomo Mancini: lotte, successi
e sconfitte del “Vecchio leone”

di Mario Saccomanno
Nel libro di Leporace, edito Pellegrini,
strategie di un uomo politico di spessore


Lo scorso 25 aprile si è svolta a Cosenza la cerimonia inaugurale della scultura in bronzo raffigurante il leader socialista Giacomo Mancini, indubbio protagonista del panorama politico italiano che si spense l’8 aprile 2002, a ottantasei anni.
L’opera – promossa dalla fondazione a lui dedicata, che porta il suo nome, e realizzata dall’artista napoletano Domenico Sepe – è stata disposta all’inizio di corso Mazzini, nei pressi del Palazzo Bruzi, sede del Comune.
Indubbiamente, sia il giorno, sia il luogo non sono stati casuali. In effetti, disvelare i tratti della statua durante la festa della Liberazione, che commemora annualmente la fine dell’occupazione nazista e la caduta del regime fascista, ha assunto una forte valenza simbolica. Del resto, Mancini fu anche partigiano poiché scelse di unirsi ai tanti italiani che combatterono il nazifascismo dopo l’8 settembre 1943.
Ancora, collocare la scultura nei pressi del Comune significa riporla accanto al luogo in cui Mancini, in particolare nell’ultima fase della sua vita, trascorse gran parte dei suoi giorni, lavorando alacremente all’amministrazione della sua città natale.
L’inaugurazione dell’opera scultorea si basa sulla voglia di rappresentare la vicinanza tra il socialista e il popolo cosentino (e non solo) che, a distanza di vent’anni dalla morte, risulta essere ancora facilmente palpabile.
Di conseguenza, si tratta di una scelta che rispecchia un sentimento vivo che emerge a chiare lettere anche in molte pagine del testo Giacomo Mancini. Un avvocato del Sud (Pellegrini editore, pp. 112, € 13,00) del poliedrico giornalista e saggista Paride Leporace, di nuovo in libreria dopo la pubblicazione di Cosangeles, libro di cui si è avuto modo di sottolineare alcuni aspetti peculiari nei numeri precedenti della rivista (la recensione si può trovare qui: http://www.bottegaeditoriale.it/larecensione.asp?id=199).
I vari capitoli del testo presentano e decifrano le «diverse stagioni» che formarono la vita del leone socialista. A ben vedere, non si tratta di una biografia canonica, ma dell’esposizione di una serie di passaggi cruciali che vengono consegnati alla conoscenza collettiva dando modo di comprendere la vita e l’operato politico manciniano.
Del resto, gli intenti sono esposti a chiare lettere da Leporace stesso che riferisce di aver voluto scrivere sulla figura storica di Mancini «una sorta di pamphlet divulgativo con l’auspicio di riuscire ad arrivare anche alle giovani generazioni che non lo hanno conosciuto in vita ma anche di poter riaprire una discussione sulla Calabria e sul Mezzogiorno».

Le diverse stagioni di una vita intensa
Mancini nacque a Cosenza il 21 aprile 1916. Per ricostruirne in modo proficuo la sua figura occorre in primo luogo riportare anche qualche rapida informazione riguardante suo padre, Pietro Mancini. Fu lui che nel 1904 costituì la prima sezione socialista a Cosenza per poi subire, negli anni successivi, le persecuzioni del fascismo e le amarezze di chi scendeva a patti col regime (si veda, per esempio, il caso dei fratelli Spezzano). E ancora, in seguito, assumere entrambi, in periodi diversi, dagli anni del Regno del Sud a quelli dell’intera Prima Repubblica, la carica di ministro diventando punti di riferimento nazionale. In merito Leporace passa in rassegna il profondo legame tra i due riferendo, tra le altre cose, che «il figlio penerà non poco a raggiungere le qualità comizianti del suo genitore».
Giacomo Mancini, l’avvocato socialista del Sud, come si definì lui stesso, combatté diverse battaglie nel suo lungo e articolato percorso politico. A tal proposito, ancorandosi ai contenuti del testo che si sta analizzando, si può prendere come riferimento un’affermazione espressa proprio dall’autore che sottolinea il ruolo fondamentale e multiforme svolto dal politico calabrese: «Giacomo Mancini è stato un socialista che ha cambiato lo stato di molte cose. Non mancarono i difetti e le tare. Ma il saldo è a suo favore».
Così, Leporace, nei vari capitoli del libro, analizza tutti gli aspetti più significativi che hanno contrassegnato la carriera politica di Mancini. In tal modo, dal vaccino Sabin si passa, per esempio, alla lotta contro l’abusivismo edilizio o alla realizzazione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, senza tralasciare l’esperienza di sindaco a Cosenza.
Dai numerosi elementi tracciati nel testo si deduce con semplicità il ruolo essenziale che ricoprì. Il dirigente socialista riuscì a svolgere una funzione decisiva soprattutto per il Sud, in particolare per la Calabria. L’isolamento dalle infrastrutture e dal dibattito nazionale sarebbe stato incolmabile senza i risultati raggiunti da Mancini. Così, riferisce Leporace, è «grazie soprattutto a lui se Cosenza e la Calabria hanno potuto avere un accompagnamento al miracolo italiano, che, altrimenti, non ci sarebbe mai stato».

Il vaccino per debellare la poliomielite e le barriere architettoniche
Il temperamento e la personalità di Mancini emersero in diversi momenti cruciali delle sue esperienze politiche. Indubbiamente, la sua intransigenza risultò decisiva in alcune scelte e Leporace le traccia in dettaglio nel testo.
Un caso emblematico fu il suo modo di imporre il vaccino per la poliomielite. Per le generazioni del Dopoguerra e, soprattutto per i bambini che nacquero negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, questa grave malattia infettiva fu un vero e proprio incubo. L’Italia non ne fu affatto esente, tutt’altro: l’emergenza, che cominciò sin dalla fine degli anni Trenta, raggiunse l’apice nel 1958, quando i nuovi casi registrati furono più di ottomila. In quel momento, erano già state iniettate diverse dosi del vaccino Salk, senza che questo avesse dato gli effetti sperati.
Fu proprio in quel contesto che Mancini risultò determinante per l’attuazione di alcune scelte che portarono a sconfiggere il morbo. Il piano d’azione che organizzò si basò sulla verifica dell’efficacia del nuovo vaccino Sabin oltre che, ovviamente, sulla sua impossibilità di nuocere.
Per convincere la popolazione fu necessaria anche una capillare campagna di sensibilizzazione. Da lì a qualche anno, i dati sulle persone colpite dalla poliomielite calarono drasticamente. Per questo motivo, nel 1965 Mancini e Luigi Mariotti, che continuò il percorso iniziato dall’avvocato calabrese, ricevettero una medaglia d’oro come riconoscenza per aver salvato dal contagio diversi giovani.
Un’altra vicenda che può essere presa come riferimento per comprendere il modo d’agire manciniano è l’interesse che l’avvocato socialista riservò nei riguardi dei disabili, in particolare la sua preoccupazione che mirava a garantire a tutti «il libero accesso nei luoghi pubblici».
Da qui, il problema delle barriere architettoniche, cioè di tutti gli ostacoli (scale, marciapiedi senza rampe o porte fin troppo strette) che impediscono la fruibilità degli spazi. Con Mancini iniziò a tutti gli effetti il dibattito pubblico che oggigiorno risulta ancora impellente. Infatti, nella circolare 425 è contenuto il bisogno di una progettazione diversa, tendente a migliorare gli aspetti qualitativi e quantitativi delle barriere architettoniche, così da ridurre al minimo le difficoltà che una persona incontra nella sua quotidianità.

La Legge Ponte e l’Autostrada del Mediterraneo
Gli elementi che mostrano la caparbietà e la forza politica di Mancini sono innumerevoli. Paradigmatico fu il suo modo d’agire subito dopo il 19 luglio 1966, giorno in cui un vasto movimento franoso investì Agrigento demolendo un numero enorme di abitazioni e lasciando intere famiglie senza un tetto.
Nei giorni seguenti Mancini si recò sui luoghi del disastro annunciando il bisogno di istituire una commissione tecnica d’indagine in modo da «accertare le responsabilità che hanno provocato quella catastrofe».
Leporace mostra come non si trattò affatto di un annuncio pletorico. Al contrario: la Commissione Martuscelli, in meno di tre mesi, consegnò una relazione al ministro avente un contenuto esplosivo che mostrava tutta la gravità della situazione urbanistico-edilizia.
Mancini riuscì a far approvare la Legge Ponte. In merito, Leporace riporta nel testo le parole emblematiche del giornalista Francesco Erbani che riferiscono come la legge fu «esemplare non solo nel campo dell’urbanistica, ma per altri settori della vita pubblica, in virtù dei molti elementi di programmazione e di pianificazione che intendeva introdurre nel sistema».
Altro tassello discusso ampiamente nel libro è quello riguardante l’autostrada Salerno-Reggio Calabria (oggi Autostrada del Mediterraneo) che attraversa la Campania, la Basilicata e la Calabria. Giacomo Mancini è riconosciuto come il padre della realizzazione di questo tratto autostradale. Del resto, il cambio di passo decisivo avvenne proprio negli anni di maggior potere politico di Mancini, cioè «tra il 1964 e il 1971 quando ricopre due volte l’incarico di ministro dei Lavori pubblici e diventa segretario del Psi».
Senza alcun dubbio, la Salerno-Reggio Calabria ridusse quel distacco enorme che intercorreva tra i territori del Sud e il resto d’Italia. Non a caso, realizzare infrastrutture adeguate fu uno dei tasselli su cui Mancini insistette molto.

La Rivolta di Reggio Calabria, il lavoro culturale e il confronto con Craxi
Leporace chiarisce come Giacomo Mancini e Riccardo Misasi, accanto al democristiano catanzarese Ernesto Pucci, al ministro dell’Interno Franco Restivo e al presidente del Consiglio Emilio Colombo divennero i principali bersagli della rovente rivolta di Reggio Calabria.
Un’altra bufera fu quella del Candido, la storica rivista di destra, ideata e diretta da Giovannino Guareschi. Fu Giorgio Pisanò a iniziare una campagna stampa contro Mancini in cui, come riferisce Leporace, «lacerti di verità conditi di false notizie, pettegolezzi, vignette e slogan indovinati» resero popolare il magazine e fecero attecchire e funzionare quella «campagna di fango». Così, di questi aspetti «ne pagherà il conto alle elezioni successiva al suo precedente trionfo. Il combinato disposto Rivolta e Reggio e scandalo Anas frenano molti suoi ex elettori».
Analogamente importante è lo spazio che nelle pagine del libro viene dedicato al lavoro culturale che compì Mancini. Del resto, Leporace sottolinea a più riprese come proprio l’agire culturale fosse legato a stretto giro con le sue mosse politiche. Delle azioni culturali sono sintomi palesi il Premio Sila, Telecosenza, il Giornale di Calabria, Calabria Oggi, il finanziamento della casa editrice Lerici e quello a una libreria Feltrinelli nel centro storico di Cosenza, tutti elementi discussi ampiamente nel testo.
Oltre agli aspetti finora passati in rassegna, Leporace non manca di tratteggiare le differenze e le analogie che intercorsero tra il Psi nazionale a trazione Mancini e quello guidato da Bettino Craxi, «due figure, tra i principali personaggi del Pantheon di un partito che, tra contese e intuizioni, ha disegnato la nostra storia nazionale».

Un punto di riferimento per la Calabria e per il Sud
Ovviamente, ampio spazio è riservato anche alle ultime stagioni manciniane vissute da sindaco della città dei Bruzi. Sebbene avesse sempre mostrato un’attenzione al ruolo di amministratore della città, Mancini non era un municipalista. Eppure, afferma Leporace, «sapeva che un uomo delle sue capacità, che aveva fatto il ministro, poteva rivoltare come un calzino quella città che aveva sempre amato».
L’importanza assunta da questo punto di vista, come richiamato in apertura, è lampante. Mancini è tuttora ricordato «come uno dei principali protagonisti del municipalismo meridionale degli anni Novanta».
Al di là di questo, nell’agire manciniano non mancarono errori. Leporace sottolinea soprattutto il voler puntare esclusivamente «sui propri discendenti diretti» per la sua eredità politica. Sta di fatto che, nelle conclusioni volutamente aperte del testo, che sottendono il bisogno di continuare a discutere di questa importante figura, Leporace afferma perentoriamente tramite il suo testo che «i meriti superano le colpe di gran lunga».

Mario Saccomanno

(www.bottegascriptamanent.it, anno XVI, n. 180, settembre 2022)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
Progetto grafico a cura di: Fulvio Mazza ed Emanuela Catania. Realizzazione: FN2000 Soft per conto di DAMA IT