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Problemi e riflessioni (a cura di La Redazione) . A. XVI, n.177, giugno 2022

La Volante Rossa:
una storia da ricostruire

di Mario Saccomanno
Per 4Punte edizioni un saggio
che fa luce sul secondo dopoguerra


Le elezioni politiche del 1948 videro la vittoria schiacciante della Democrazia cristiana. L’incetta di voti compiuta dal partito guidato da Alcide De Gasperi segnò uno spartiacque decisivo nella vita del paese. Il successo fu dovuto anche alla paura di una catastrofe economica e di un eventuale colpo di stato che avrebbe potuto portare la vittoria delle sinistre. Di conseguenza, dopo i risultati elettorali, la base comunista dovette registrare una sconfitta bruciante, quanto inaspettata.
Alle elezioni di aprile seguì uno scontro di classe ben più radicalizzato rispetto al periodo precedente. Infatti, tutte le forze borghesi che avevano ottenuto la larga maggioranza in Parlamento cercarono di completare la vittoria nel paese reale. Così, come reazione, in molte città si registrarono scioperi, occupazioni e scontri feroci sia nelle fabbriche e nei cantieri, sia nelle campagne.
Proprio in questo contesto la Volante Rossa – l’organizzazione antifascista che agì a Milano e dintorni dal 1945 al 1949 e che venne comandata da Giulio Paggio, il cui nome di battaglia era “tenente Alvaro” – decise subitaneamente di adeguare il modo di operare tipico della prima parte della sua storia alla nuova situazione venutasi a creare nel contesto italiano.
Per comprendere al meglio le decisive sfumature di cui si caricò un periodo storico tanto importante corre in soccorso il saggio La Volante Rossa (4Punte edizioni, pp. 176, € 18,00) scritto da Carlo Guerriero e da Fausto Rondinelli. Nell’analizzarne i contenuti, in primo luogo occorre riferire che si tratta di un lavoro che fa breccia nel silenzio gravato per lunghi decenni su alcuni aspetti legati alle vicende italiane inerenti quel contesto.

Il clima di tensione nell’Italia del secondo dopoguerra
Il 27 gennaio 1949, a Milano, esplosero cinque colpi di pistola dal finestrino di un taxi. Colpirono a morte Felice Ghisalberti, ex milite della Legione Muti, uno dei corpi militari della Repubblica sociale italiana. Le accuse mosse dalla Volante Rossa, che compì l’attentato, furono l’aver partecipato a numerosi rastrellamenti e l’aver ucciso il partigiano Eugenio Curiel, morto il 24 febbraio 1945, colpito da una serie di raffiche di mitra.
Lo stesso giorno, sempre a Milano, ma dalla parte opposta della città, altri sette colpi uccisero l’ex fascista e responsabile dell’ufficio stipendi della Olap Leonardo Massaza. Furono due azioni da inquadrare in un contesto più ampio, mutevole al punto che, come si vedrà, nel ricostruirle possono sembrare finanche anacronistiche.
S’è fatto cenno in apertura al clima di tensione, all’acuirsi degli scontri susseguenti le elezioni politiche del 1948. Ci sono altri eventi che vale la pena richiamare in modo da comprendere più a fondo il periodo a cui si sta facendo riferimento.
Intanto, il 14 luglio 1948 Antonio Pallante, ventiquattrenne studente di Giurisprudenza, esplose quattro colpi di pistola contro Palmiro Togliatti, segretario del Partito comunista italiano. Subito dopo venne arrestato e, come si legge nel saggio che si sta prendendo in esame, dichiarò di aver compiuto quell’azione poiché Togliatti era visto come un «agente di una potenza straniera» che ostacolava «il risorgere della Patria». L’altro motivo scatenante fu la volontà di «vendicare la morte di ex fascisti, uccisi dai partigiani dopo la Liberazione».
La risposta all’attentato fu un grappolo di accese proteste che vennero organizzate o spinte dai partiti di sinistra in tutto lo Stivale. Fu l’apice della tensione accumulata in quel periodo. Per esempio, a Milano, dove agiva la Volante Rossa, vennero occupare le fabbriche e i lavoratori dichiararono uno sciopero generale.
Guerriero e Rondinelli, ricostruendo con novizia di particolari gli eventi del luglio 1948, mettono in luce come questi strappi rivoluzionari compiuti dalle forze popolari e di sinistra furono «la loro ultima battaglia contro il processo di restaurazione» e, ancor di più, contro quel rapido riorganizzarsi del vecchio fascismo, iniziato già dal 1945, tramite una fitta serie di formazioni clandestine che ebbero «l’intento di attuare attentati e provocazioni, miranti a creare un clima di tensione nel paese per ostacolare il consolidamento delle nuove istituzioni democratiche».

La nuova modalità d’azione della Volante Rossa dettata dal contesto politico
Anche la Volante Rossa uscì nuovamente allo scoperto e, dopo la crisi di luglio, mantenne il ruolo ufficiale svolto all’interno del Partito Comunista che prevedeva funzioni di sostegno nelle attività svolte, tra cui il servizio d’ordine.
Sta di fatto che, agli eventi del 1948 appena evidenziati, seguì un biennio «di pesante e violenta repressione poliziesca». Come riportato anche nel saggio, sarà il dirigente, nonché memorialista del Partito comunista italiano, Pietro Secchia a tracciarne il bilancio in un intervento al Senato in cui affermò: «Sessantadue lavoratori uccisi dalle forze dell’ordine, più di tremila feriti, più di 90.000 arrestati e quasi ventimila condanne, per complessivi 7.598 anni di carcere».
È in questo contesto che vennero assassinati Ghisalberti e Massaza. Dopo i due “delitti del taxi”, gran parte dei componenti della Volante Rossa vennero arrestati nel giro di due settimane.
A questo punto occorre dar risalto a un aspetto decisivo a cui si è già fatto cenno brevemente: questi due delitti appaio differenti dalle azioni che contraddistinsero la Volante Rossa in quel periodo.
Infatti, le due vittime non erano esponenti incanalabili nel nuovo fascismo organizzato. Così, da questo punto di vista, gli attentati possono risultare a tutti gli effetti anacronistici. Nel saggio, questo aspetto viene accostato anche al ruolo decisivo svolto Eligio Trincheri, un operaio che «si era avvicinato alla Volante Rossa solo da pochi mesi».
Nel testo viene mostrato come l’azione mossa contro Ghisalberti e Massaza fosse stata progettata in precedenza, per la precisione più di un anno prima, in piena guerra contro il neofascismo, in un contesto ben distante da quegli ultimi eventi.
Dunque, il panorama politico-sociale italiano dettò una nuova modalità d’azione anche nella Volante Rossa. Senza alcun dubbio, in questo secondo periodo, le azioni non furono più isolate, mosse contro singoli individui, ma seguirono «le tendenze e le lotte del movimento operaio, rispondendo sempre ad attacchi neofascisti e padronali».
Inoltre, dalla seconda metà del 1948 l’attività della Volante Rossa si ridusse notevolmente, mentre le forze dell’ordine ricevettero «l’autorizzazione ad agire liberamente contro ogni forma di illegalità di natura politica». Da questi assunti, Guerriero e Rondinelli spiegano la capillarità con cui si svolsero le indagini sui “delitti del taxi”. In merito, si legge nel testo: «L’obiettivo è quello di non limitarsi all’arresto dei responsabili diretti, ma di infliggere un colpo pesante agli ambienti dell’estremismo partigiano e operaio».

Raccontare una storia scomoda
Guerriero e Rondinelli mostrano a chiare lettere come la storia della Volante Rossa sia scomoda, come del resto lo è tutto quello che inerisce all’estremismo partigiano e operaio, compresi i rapporti intessuti col partito. È un aspetto estremamente interessante, da tenere in forte considerazione nell’approcciarsi alla lettura del saggio.
Quanto appena affermato può essere riassunto proprio con le parole degli autori: «È stato sempre molto fastidioso e imbarazzante, per un partito comunista che aveva accettato il capitalismo, la democrazia parlamentare e poi anche la NATO, sentirsi ricordare un passato in cui buona parte dei propri militanti parlava di rivoluzione, economia socialista ed esaltava Stalin e l’URSS».
Inoltre, nelle pagine del libro gli autori sottolineano come questa scomodità abbia riguardato anche gli stessi protagonisti delle vicende legate alla Volante Rossa che videro in poco tempo mutare l’opinione sul loro operato. Si passò dall’osannarli a considerarli veri e propri capri espiatori, «assassini messi alla gogna, disprezzati e abbandonati».

Le motivazioni degli eventi come antidoto alle strumentalizzazioni
In base a quanto sottolineato fino a questo momento si può affermare che il libro è in primo luogo, così come del resto riferisce anche Massimo Recchioni nella Prefazione, un tentativo di dissipare la nebbia omertosa in cui è stata rinchiusa a lungo la storia della Volante Rossa.
Nel compiere questa azione, Guerriero e Rondinelli ricostruiscono minuziosamente il secondo dopoguerra italiano cercando di mostrare ai lettori le cause dei vari avvenimenti più importanti che scossero la vita italiana di quel periodo.
Tra le altre cose, nel testo viene mostrata dettagliatamente anche la contraddizione di fondo che segnò l’agire del Partito comunista di quegli anni. Accanto all’obiettivo dell’istaurazione del socialismo, riferiscono gli autori, si nota l’allearsi con la borghesia e l’accettare, «in nome degli interessi nazionali, il sistema capitalista».
Dunque, quello che Guerriero e Rondinelli offrono ai lettori è un lavoro prezioso che mira a ricordare, a cercare le motivazioni degli eventi così da non incappare e non dare adito ad altre strumentalizzazioni di varia natura.
Perentoriamente, nel testo si legge in merito una frase che può riassumere il senso dell’intero lavoro qui passato in rassegna: «La memoria sia un potente antidoto all’inciviltà».

Mario Saccomanno

(www.bottegascriptamanent.it, anno XVI, n. 176, maggio 2022)

Collaboratori di redazione:
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